Time Machine I: Metallica
26 Settembre 1986, Solnahallen Arena, Stoccolma, Svezia


Articolo a cura di Isadora Troiano - Pubblicata in data: 27/09/16

Dimenticatevi i Metallica odierni, quei cinquantenni scafati con migliaia di show all'attivo. Piuttosto immaginate l'adrenalina che doveva scorrere all'epoca di uno dei loro primi tour mondiali da headliner. La cornice della seconda data svedese del Damage Inc. Tour è quella di una fredda serata scandinava, vigilia della tragedia che avrebbe irreversibilmente stravolto la band.

 

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Ignaro di essere testimone di uno show che farà da triste spartiacque nella storia dei Metallica, il pubblico riunito alla Solnahallen Arena è pronto a riservare ai californani un degno benvenuto: il palazzetto è gremito. Complici le undici tracce proposte dagli Anthrax in apertura (tra cui la nuova "I Am The Law", un'anteprima dell'album "Among The Living" che sarebbe stato pubblicato l'anno sucessivo), la folla di nordici metallari in sala è pronta a pogare e a dislocarsi le vertebre cervicali a furia di headbanging. Bastano le prime note di "The Ecstasy of Gold" di Ennio Morricone per far esplodere in un boato quell'atmosfera già satura di elettricità e aspettativa. L'attesa sta finalmente per concludersi: i Four Horsemen stanno per calare, come un pesante martello, sul trepidante pubblico di Stoccolma. Le ultime note del Maestro nostrano sfumano mentre la folla inneggia alla band e a ruota parte l'intro di "Battery". Scoppia il delirio, totale e furioso. La velocità è subito impostata al massimo dai californiani e la opening track di "Master Of Puppets" si trasforma in una tiratissima e furiosa cavalcata di puro thrash. Il pubblico è in estasi, il pogo comprende praticamente tutto il parterre e centinaia di pugni si alzano al cielo al grido di "Master! Master!"

 

La band sembra in ottima forma, nonostante questo sia uno dei primi show di James Hetfield dopo l'infortunio al polso che l'ha tenuto lontano dalla chitarra per oltre due mesi. È la chimica tra i quattro sul palco a trasformare ogni nota una potente scarica di adrenalina. Lars Ulrich e Cliff Burton sono infatti capaci di creare, insieme, un muro sonoro altissimo e impenetrabile su cui le chitarre di James Hetfield e Kirk Hammett piazzano i loro affilatissimi riff e degli assoli a velocità assassine. Qualche minuto di respiro con un'acida e implacabile "For Whom The Bell Tolls": il brano è introdotto dal riff di basso eseguito da Burton e non si può fare a meno di restare un incantati dall'agilità delle dita del musicista che, consapevole del suo talento, se la ride nascosto dalla cascata di lunghi capelli. È poi il turno della funerea "Welcome Home (Sanitarium)", accolta con fortissima approvazione dal pubblico, a dimostrare come l'ultimo album dei Metallica abbia già fatto centro nei cuori dei fan e li stia portando dritti verso l'olimpo dei grandi del metal. Si torna a premere forte sull'acceleratore con una "Ride The Lightning" da antologia, farcita di assoli sporchi e feroci, culminata con Hetfield che incita il pubblico svedese a fare casino.


L'alchimia che unisce band e audience è ormai cementata e il frontman tiene la folla in pugno quando la esorta a salutare e a godersi un altro bell'assolo di basso. Eccolo lì, quel ragazzo appena ventiquattrenne, sornione e scatenato, con la maglia sdrucita dei Blue Öyster Cult e i jeans a zampa che tanto stridono con il look classico del metallaro in spandex. Lui che aveva quel suo modo unico di suonare con il mignolo destro dritto, inutilizzato a causa di un incidente di pesca avuto da ragazzo. Come in ogni show dei Metallica che si rispetti, Burton non si risparmia e dona al pubblico un lungo e intricato virtuosismo come solo lui sa fare. Tra scale e tapping furioso, la folla dimostra ampiamente il suo apprezzamento e Cliff scatena la propria creatività facendo correre a velocità incredibile le dita sulla tastiera del suo amato strumento. Dal flusso incontenibile di note, viene fuori un pezzo dello "The Star-Spangled Banner", l'inno nazionale Americano, che poi si trasforma nella parte centrale di "Anesthesia (Pulling Teeth)", uno dei capolavori compositivi del bassista.

 

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La band è così pronta a tornare alla carica con una "Whiplash" che è, come dice il nome stesso, un colpo di frusta, ripetuto e violento. Anche qui le chitarre si rincorrono a rotta di collo mentre Ulrich pesta come un dannato sulle pelli. La scaletta spazia tra i tre lavori della band e così, da "Kill 'Em All" si passa repentinamente all'oscura "The Thing That Should Not Be" che fa riprendere un po' di fiato al pubblico, ormai totalmente invasato, per poi continuare sulla stessa china con la malinconica "Fade To Black" impreziosita dalla bravura tecnica di Hammett e Hetfield. Conclusosi questo momento di relativa tranquillità, i Metallica calano i carichi da novanta per chiudere il set: "Seek and Destroy" e "Creeping Death". Le voci di band e pubblico si confondono e diventano cosa sola al grido di "Die! Die! Die!" e fanno da coro a un Hetfield ruvido e un po' rauco, che inizia a mostrare qualche segno di cedimento vocale.

 

I Metallica escono di scena ma il pubblico, che li richiama a gran voce, verrà premiato con "The Four Horsemen" e la cover "Am I Evil?", intermezzate da uno spettacolare e ipnotico momento solista di Hammett. Quindi sul pubblico ubriaco di sudore ed endorfine si abbatte come un tuono "Damage Inc." e un secondo encore affidato a "Fight Fire With Fire" e la cover "Blitzkrieg". Cala così il sipario sull'arena Solnahallen al termine di una serata davvero impegnativa sia per la band che per i fan. Gli spettatori tornano a casa appagati e contenti mentre gli altrettanto soddisfatti Metallica risalgono sul tour bus alla volta della Danimarca.

 

Nessuno di quei metallari, sazi di metal e birra, avrebbe mai potuto figurarsi che lo spettacolo a cui avevano assistito non si sarebbe mai più ripetuto, almeno non in quella stessa forma. Di lì a poche ore Cliff Burton, con il suo tatuaggio dei Misfits e un talento sconfinato, sarebbe scomparso. Non vittima di eccessi da rockstar viziata, quelli non facevano per lui, piuttosto di un fato beffardo che se lo porta via in pochi istanti quando il tour bus si ribalta in circostanze mai chiarite del tutto. Colpa di una cuccetta giocata a carte.

 

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Ne sono state dette tante su quella notte di settembre di trent'anni fa e, al di là di ogni speculazione, quanto è certo è che il destino di una delle più grandi band metal di sempre sia stato irrimediabilmente mutato da quegli eventi. Così come vennero stravolti gli stessi James, Lars e Kirk, indelebilmente segnati dalla morte di chi aveva ancora così tanto da offrire non soltanto alla band ma all'intero mondo della musica.

 

A chi c'era quella sera a Stoccolma resta un ricordo preziosissimo, quello di un'ultima e grandissima performance di Cliff Burton. Mentre a noi che non eravamo presenti non resta che ascoltarsi i numerosi bootleg presenti in rete per capire l'apporto di Cliff (anche) a quella data. Oppure tirare fuori "Master Of Puppets" e, per una volta, saltare direttamente alla traccia numero sette: destinazione Orione.


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