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Enslaved – Heimdal

I’ve been the one who listens
Now I’ll be the father of wars

Il movimento black metal norvegese è senza dubbio uno dei più famosi (o famigerati) a livello mondiale. Tralasciando i fatti di cronaca, negli anni ’90 una manciata di band ha istituito i canoni di un genere che ancora oggi gode di grande vita, espanso in innumerevoli scene e sottogeneri. Alcuni rimangono fedeli ai dettami; altri, tuttavia, decidono di evolversi. È il caso degli Enslaved, che sfornano dopo ben 30 anni di carriera il loro sedicesimo album in studio: “Heimdal“. Reduci dal successo di “Utgard” (2020) e da un EP pubblicato l’anno dopo (“Caravans to the Outer Worlds“, che anticipava un brano dell’album), il gruppo nato black/viking e cresciuto progressive decide di superarsi ulteriormente.

Gli Enslaved sfruttano un personaggio appartenente, in tutti i sensi, al passato. Heimdal è Il guardiano del Bifrǫst, ovvero il ponte che collega la Terra al regno degli Dei, ed è uno dei più celebri eroi della mitologia norrena; mitologia che funge da immaginario per la band sin dagli esordi (“Heimdallr”, altro nome attribuito al dio, dà il titolo a un pezzo del loro primo album). Ma non facciamoci ingannare, non si tratta di un ritorno a suoni già esplorati: “Heimdal” non è assolutamente un disco viking metal. O almeno, non lo è in senso stretto, perché in realtà i temi sono sempre quelli, ma musicalmente è molto, molto di più.

La cura nei dettagli da parte degli Enslaved raggiunge stavolta picchi d’eccellenza. A partire dall’aspetto visivo, sempre ben curato dalla band, capiamo che siamo di fronte a un’opera di straordinario spessore: la fotografia in copertina è sinistra, quasi ipnotica, così come i videoclip dei singoli che avevano anticipato l’uscita del disco.

Tutto inizia con un gravissimo suono di corno (riferimento al Gjallarhorn, posseduto dal protagonista della leggenda) e di remi che attraversano l’acqua: “Behind the Mirror” è la cavalcata che ci introduce al viaggio oscuro di Heimdal, un viaggio all’insegna della conquista, della distruzione e della trasformazione del guardiano in guerriero spietato. Il chitarrista ritmico e leader Ivar Bjørnson dà così vita alla sua creatura più notevole, dove le sue chitarre e quelle di Arve Isdal si destreggiano tra riff strettamente extreme metal (“Kingdom”), altre più arabeggianti (“Forest Dweller”), tantissime parti acustiche, che a volte rimangono anche solo in sottofondo, come contorno, per poi diventare protagoniste solo in certe sezioni (“Congelia”) e assoli in diversi stili (il più particolare forse quello presente nella title track, fortemente ispirato a Steve Vai).

Grutle Kjellson, fondatore insieme a Bjørnson, non si risparmia: il suo basso detta le regole in “The Eternal Sea”, mentre vocalmente mostra come mai prima d’ora la versatilità tra parti di puro scream e sezioni invece più tranquille, dove il suo cantato diventa onirico (“Forest Dweller”). Håkon Vinje si dimostra fondamentale, mettendo le proprie tastiere al servizio di ogni traccia, laddove serve supporto alla melodia (“Kingdom”) piuttosto che dove occorre la presenza di trame elettroniche (“Heimdal”, “Forest Dweller”). Iver Sandøy, membro più recente di questa line-up, al suo secondo lavoro con la band, non si limita a sfoggiare le sue abilità dietro le pelli, tra blast beat (“Congelia”) ed esecuzioni più strettamente progressive (“Caravans to the Outer Worlds”). In mezzo a tutto ciò, riesce a donarci parti vocali per nulla scontate (“Forest Dweller”), al limite dell’immaginabile se si combinano le due cose.

Oltre alle performances dei singoli, il gruppo mostra una coesione impeccabile, dimostrata soprattutto in “The Eternal Sea” e “Caravans to the Outer Worlds”. La musica si spinge oltre tutti i confini, quelli della band e non solo: thrash, folk, viking, progressive, ambient, e sì, ovviamente anche black. “Heimdal” è tutto questo ma allo stesso tempo non lo è.

Una band nata black/viking, cresciuta progressive e che ora invecchia nei meandri oscuri e indefiniti del post-black. Un’opera d’arte all’insegna dell’esplorazione sonora, con pochi ma solidissimi brani che offrono ad ogni ascolto spunti diversi, dimostrando perfino ai blacksters più rigidi come l’uscita dagli schemi, anzi, l’assenza di essi porti a un’elevazione artistica incontenibile.

Tracklist

01. Behind the Mirror
02. Congelia
03. Forest Dweller
04. Kingdom
05. The Eternal Sea
06. Caravans to the Outer Worlds
07. Heimdal

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