Gotthard (Leo Leoni)
I Gotthard hanno tutto quello che ci si aspetta da una band rafforzata dagli anni ottanta: energia, positività e un passato tanto travagliato quanto interessante. Di seguito le nostre quattro chiacchiere con Leo Leoni, che ci racconta i primi venticinque anni di vita della band. 
Articolo a cura di Marta Scamozzi - Pubblicata in data: 11/01/17
Iniziamo parlando di “Silver”, l’album in uscita a Gennaio. Il titolo è un semplice riferimento al venticinquesimo anniversario della band, oppure c’è qualcos’altro dietro?
 
Mah, in realtà non c'è niente dietro! "Silver" ci è venuto in mente perché a un certo punto, questo album aveva bisogno di un nome e ci siamo chiesti: come lo chiamiamo? Avremmo potuto chiamarlo “George”! In realtà, non abbiamo pensato seriamente al titolo finché non abbiamo finito con la registrazione. A quel punto, realizzando di avere tra le mani un disco ancora completamente anonimo, ci siamo radunati e abbiamo discusso un po’. Abbiamo realizzato che l’album sarebbe uscito a gennaio 2017, venticinquesimo anniversario della band, il nostro “Silver Wedding”. A quel punto, siamo passati da “George” a “Silver”. 
 
Rispetto a “Bang”, tra le note di “Silver” emerge una band molto piú coesa. Mi ricorda “Need To Believe”, per certi versi. Tu cosa ne pensi?
 
Non penso ricordi “Need To Believe”, perché credo che ogni disco sia diverso dall’altro. Più maturo, quello sì; nella misura in cui può essere maturato il terzo disco con un cantante nuovo. In questi cinque anni con Nic abbiamo prima registrato “Firebirth”, album con cui i Gotthard cercavano di rimettere insieme i pezzi, per confermare che è ancora fattibile il tutto. A “Bang”, invece, è stato cucito addosso un abito fatto dal sarto, prendendo Nic come modello. Dopo questi ultimi anni in cui abbiamo cercato di capire cosa fare come band, ora la situazione è sicuramente più bilanciata: un’integrazione delle nostre due parti (Nic e il resto dei Gotthard, ndr). Di conseguenza, direi che i Gotthard che vengono presentati con "Silver" sono i Gotthard del 2017 e degli anni a venire!
 
Trova una parola per definire questi Gotthard del 2017. 
 
Gotthard! (ride, ndr)
 
Parlando più approfonditamente di "Silver": ho già detto che l’ho trovato un lavoro molto maturo, contenente molti pezzi assolutamente validi. Ce n’è uno che stuzzica la mia curiosità in modo particolare: “Tequila Symphony N. 5”. Dopo i primi ascolti, sembra di avere a che fare con il racconto in diretta di una fantastica notte brava. Puoi spiegarmi cosa si cela dietro i versi di questo brano?
 
Penso che sia un po’ il tuffo nella vita di un musicista. Innanzitutto, quel “N. 5” si riferisce alla sinfonia di Beethoven, quindi non è che, con il titolo, stiamo inventando l’acqua calda. Tutti noi musicisti passiamo la vita a tentare di raggiungere qualcosa di musicalmente ineccepibile. Il punto di riferimento, potrebbe essere Beethoven: ognuno di noi sogna di realizzare un’opera d’arte incredibile nella propria vita, come la sinfonia n. 5 che, in questo caso, è utilizzata come punto di riferimento enfatizzato, in senso ironico. 
Il succo della cosa è che, quando cerchi ispirazione per scrivere la tua personale sinfonia numero cinque…  dove la trovi? Be’, va sempre a finire in una serata brava a suon di tequila. Questo succede soprattutto quando ancora non hai trovato nessuno che crede in quello che fai, quindi devi arrangiarti con altri mezzi. 
Ora; teniamo bene a mente  la “Sinfonia N. 5” di Beethoven come un modello musicale assoluo. In ambito rock, nonostante di base tutti ci proviamo, l’unico che è riuscito a produrre qualcosa di un’importanza musicale simile è, secondo me, Ritchie Blackmore. Con la sua “Smoke On The Water”, ha creato un riff che tutti provano a suonare appena toccano la chitarra. Non vorrei essere frainteso dicendo questo ma, immagino, parlando di melodie che rappresentano la musica classica, il “ta ta ta taaa” che introduce la sinfonia numero cinque sia una delle prime cose che balzano alla mente. 
Questa orecchiabilità è importantissima; è un sogno, ed è difficile da raggiungere per noi rockettari di turno. 
 
Quindi c’è una forte connessione tra la musica classica e il rock ‘n’ roll.
 
Mah, assolutamente sì. La connessione c’è sempre; spesso è l’essere umano che tenta di dividere le cose quando in realtà sono amalgamate. Che sia fatta con un violino, con una chitarra o con un pianoforte, la musica è sempre musica. Se proprio vogliamo fare una distinzione, la facciamo in “musica grandiosa” e “musica un po’ meno grandiosa” … quella che chiamano “cacofonia”.
 
Parliamo ora dei vostri testi in modo più filosofico. Una cosa che ho sempre notato, è che essi ruotano intorno a due tematiche principali: l’amore e il senso di comunione con l’universo.  Dove si incontrano questi due filoni? 
 
gotthard_foto_concerto_alcatraz_milano_20142.L’amore per la vita è quello che unisce tutto. L’amore per la vita è l’amore per tutto quello che ti sta attorno, per il mondo intero, per te stesso, soprattutto. Questa vita chiamata “gioco”, o questo gioco chiamato “vita”, è poi quello che arricchisce qualsiasi esperienza, quello che contribuisce all’energia positiva universale. Nel nostro piccolo noi, con la nostra musica, cerchiamo di fare questo: essere portavoce di questa energia positiva, di cui le nostre canzoni sono impregnate. Nel nostro piccolo tentiamo di portare qualcosa di positivo al mondo… o comunque, non negativo. C’è talmente tanta violenza e tanto odio, che quello che ci sentiamo di fare noi è portare un po’ di amore e di pace, non di violenza. In questo disco, che potrebbe sembrare un cliché, abbiamo semplicemente messo un po’ di quello che amiamo e ci dà pace, senza pretendere di aver scoperto l’acqua calda. Cosa che ha già fatto Lennon, ha già fatto Bob Dylan, che hanno già fatto milioni di musicisti.  
 
A proposito di questo amore per la vita, e questa positività che impregna in modo così totale le vostre canzoni, c’è una cosa che bisogna assolutamente riconoscervi: la vostra indiscutibile resa live. Il mio ultimo concerto dei Gotthard fu lo Stars Of Sound a Murten, nel 2012. Eravate di supporto agli Scorpions e, a fine concerto, ricordo il commento di un amico, estremamente deluso: “non è possibile guidare cinque ore per andare ad un concerto degli Scorpions in un'altra nazione, e ritrovarsi un gruppo spalla che suona dieci volte meglio”. Quali sensazioni vi investono quando vi ritrovate a supportare band storiche a cui, in qualche modo, rubate la scena? 
 
(Ride, ndr) Mah, sai, penso che gli Scorpions fossero consapevoli di quello che abbiamo fatto dal vivo e quello che facevamo prima. Dopotutto, noi suoniamo da 25 anni, loro suonano da più di quaranta, quindi l’energia fisica non può che essere diversa. Sì, è vero: ci sono stati dei momenti, durante i concerti con gli Scorpions, in cui loro in qualche modo erano i nostri supporter. È vero che noi non siamo mai arrivati al “grande passo” e, se ci siamo arrivati, ci siamo arrivati parzialmente. Questo “parzialmente” ci ha dato la possibilità di suonare live con diverse band più famose. Quando ti ritrovi in questa situazione, sia che tu suoni prima che tu suoni dopo, sai che il paragone ci sarà. Nel caso della data con gli Scorpions a Murten, che si esibivano immediatamente dopo di noi, è chiaro che il rischio era che non fossero all’altezza. È un po’ la legge della giungla, no?
 
In quanto svizzeri, siete legati all’Italia da diversi fattori. Puoi spiegarmi i divari culturali maggiori che percepite quando varcate il confine? In cosa si distingue l’approccio del pubblico italiano rispetto a quello svizzero? 
 
Il pubblico italiano è sicuramente un grande pubblico. La situazione musicale in Italia, tuttavia, è simile a quella della Francia: è piuttosto difficile per noi entrare nel vostro mercato. C’è infatti molta attenzione da parte delle radio nei confronti degli artisti italiani in Italia, giustamente; questo fa sì che per qualcuno che viene da fuori sia molto difficile inserirsi. La maggior parte di artisti internazionali, da quello che vedo, arriva in Italia e fa due, tre o al massimo quattro date. Detto ciò, nel momento in cui fai una data in Italia, che molto probabilmente sarà una data a Milano, trovi un pubblico estremamente entusiasta. Numericamente, però, i fan rimangono piuttosto limitati: è difficile riempire i locali e, comunque, finché la tua unica data italiana è a Milano, chi viene dalle altre parti d’Italia non verrà mai a sentirti. Il problema è quindi sempre non essere supportati dalle radio e, quindi, dal sistema. Ci sono tante nazioni dove la musica indigena è la parte più importante, a livello di libertà. 
Ho paragonato l’Italia alla Francia; la Germania, invece, ha un approccio differente, in quanto ha sempre avuto una tradizione rock molto più radicata. 
In Italia c’è una mentalità più chiusa per quanto riguarda il rock. Quante rock band italiane ci saranno, storicamente, famose sul vostro territorio nazionale? Me ne vengono in mente quattro o cinque. La PFM, innanzitutto. 

In 25 anni di carriera si cresce e si cambia molto. C’è una vostra caratteristica appartenente al passato che avete abbandonato e di cui sentite la mancanza e, d’altro canto, c’è qualche vostra caratteristica che siete contenti di esservi lasciati alle spalle?
 
Di punti dolenti sulla nostra carriera penso che ce ne sia uno solo. Purtroppo non si è potuto fare niente per evitarlo, o per tornare indietro. Quindi, abbiamo dovuto arrenderci a questo e cercare di andare avanti. Questo punto dolente è stata la perdita di Steve: non c’è più, non avremmo mai voluto che non ci fosse più. Quello è, probabilmente, l’unico giorno che vorrei dimenticare di questi 25 anni. Detto questo, in questi 25 anni abbiamo fatto quello che pensavamo fosse giusto fare per arrivare ai venticinque anni! Abbiamo vissuto momento per momento, facendo quello che sentivamo in ogni istante.
 
Alleggerendo un po’ la domanda….  ci sono abitudini,  magari estreme, che siete contenti di avere abbandonato andando avanti con l’età, per una questione di sopravvivenza?
 
Non so se sia sopravvivenza o no: io penso che se volessi sopravvivere non farei rock ‘n’ roll. Probabilmente farei un altro lavoro per cercare di sopravvivere alla vita quotidiana. Nel nostro caso, penso che siamo stati abbastanza fortunati. Detto ciò, mi viene da pensare una cosa molto importante: c’è il periodo in cui tu hai vent’anni e la pensi in una maniera, a venticinque la pensi pressappoco ancora nella stessa maniera; se a cinquant’anni pensassi ancora la stessa cosa che pensavo a vent’anni, probabilmente il mio cervello non avrebbe lavorato tanto bene. Che poi si pensi sempre ad avere diciott’anni dentro… sì, ok, è vero. Ma la realtà è un'altra. E meno male che si evolve! Invece, quando si tratta esclusivamente di fare musica ci sono cose che facevi a vent’anni e possono funzionare ancora oggi, assolutamente. Se ascolto “Silver” mi sento come se ascoltassi il nostro secondo, o terzo disco! Anche allora c’era una melodia ben definita di fondo, e anche allora c'era questa “energia positiva”. 
 
Buoni propositi per il 2017?
 
A livello di band, cercheremo di proporre al meglio il nostro “Anniversary Tour”, dove sicuramente ci saranno diversi richiami a tutti i 25 anni passati, anche diverse sorprese.
 
Buoni propositi a livello personale, invece?
 
Mi auguro che il problema del terrorismo finisca, che si trovi una soluzione, che non ci si fossilizzi su questa situazione. Nel frattempo mi auguro che ci si continui a divertire, ad andare ai concerti… mi auguro che tutti noi continuiamo a cercare il nostro attimo di pace.
  
Grazie mille per quest’intervista, Leo! 
 
Grazie a te. Se permetti, vorrei ringraziare i fan che ci hanno supportato, i media che ci hanno supportato negli ultimi venticinque anni. Senza di loro non saremmo qui.
      
   



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