The Darkness - Every Inch Of UK Tour
25/11/11 - HMV Hammersmith Apollo, Londra


Articolo a cura di Alessandro Casarotti
A Glam Friday Night.

Per chiudere l'“Every Inch of UK Tour” nella loro terra natia, i The Darkness hanno scelto un tempio del rock londinese: l'Hammersmith Apollo, dove Ziggy Stardust ha dato l’addio alle scene, i Thin Lizzy hanno registrato “Live And Dangerous” ed i Queen erano di casa, così come altre centinaia di miti della storia della musica. E’ il tour che precede l’uscita del terzo album (nel 2012, come annunciato durante il concerto) e pubblicizza la reunion della formazione originale: oltre al ritorno di Justin Hawkins alla voce (dopo il periodo in clinica per disintossicarsi, un singolo da solista con lo pseudonimo British Whale e un album con gli Hot Legs), si rivede anche Frankie Poullain, bassista del primo album (della sua mancanza ne ha sofferto il secondo), più Ed Graham (batterista) e Dan Hawkins (fratello di Justin) sempre presenti, dagli esordi come Empire fino alla parentesi come Stone Gods.

Non poteva che essere l’ex teatro degli anni trenta in stile art decò ad ospitare un venerdì sera glam: decadente, con rifiniture e colorazioni un po’ kitsch, da operetta contemporanea; dove rievocare i fasti del rock che ha spopolato tra glitter, tutine e falsetti a cavallo degli anni settanta e ottanta. Luci soffuse accolgono un pubblico eterogeneo che in fila ordinata, assolutamente British, pian piano occupa le prime file sotto il palco. Tempo mezzora e i Crown Jewel Defense hanno l’onore di alzare il sipario; purtroppo per loro i volumi sono totalmente sbagliati, rendendo incomprensibile e fastidioso il suono che esce dai microfoni.  Nonostante i tentativi del frontman della band californiana di ravvivare la situazione atteggiandosi a rockstar vissute, il pubblico non risponde e si accalca al bar; probabilmente insieme ai tecnici del suono, visto che in venti minuti di concerto non sono riusciti a migliorare la situazione. Se si volesse dare un voto, sarebbe “non giudicabile”.

Tocca ai Foxy Shazam riscaldare la freddezza di 5000 persone accorse solo ed unicamente per i Darkness, senza troppo interesse per un evento glam nella sua totalità. La vena teatrale del gruppo di Cincinnati emerge fin dall’ingresso: capriole, vestiti demodé e capigliature riproposte da “Edward Mani di Forbice”, in un’atmosfera dark. Definitely Foxy Shazam (i.e. cool)! Il frontman Eric Sean Nally non rifiata un momento, un’acrobata del palco: prima è in piedi sulla batteria, subito dopo a testa in giù, poi dialoga col pubblico, al posto dell’assolo racconta storie; insomma, fa cabaret. L’attenzione va tutta a lui, troppa: riceve un bicchiere di birra volante che riesce a schivare e finisce addosso al batterista, da sketch comico. Le sei canzoni proposte nella mezzora di performance sono quasi tutte estratte dal loro ultimo omonimo album (il primo con una major label), a parte una dall’album in uscita nel 2012, “The Church Of Rock And Roll”. A confronto dei CJD l’acustica è già meglio e sulle note di “Oh Lord” e “Unstoppable” i Nostri cercano di far risvegliare la fede nell’arte che con raffinatezza ed edonismo sa esprimere la rabbia, il disagio sociale e il desiderio di evadere questo mondo. Nonostante Eric Nally si atteggi col microfono come Roger Daltrey e la voce sia estroversa quanto il suo carattere, manca il carisma per renderlo un reverendo del rock. Troppo istrionico.

I quattro di Lowestoft (sopra Cambridge, pura Inghilterra) si fanno attendere, una decina di minuti di ritardo. La musica d’intermezzo si ferma improvvisamente, aumenta il volume e le note di “The Boys Are Back in Town” dei Thin Lizzy, cominciano a risuonare facendo vibrare i lampadari decò ai lati del palco (Dan si presenta sempre con maglietta o polsini della band irlandese, ndr). Il pubblico canta a seguito, si riscalda l’atmosfera, si abbassano le luci. L’ingresso dei The Darkness è accompagnato dalle cornamuse della titletrack degli Abba “Arrival”, come a voler riportare in vita le leggende gotiche di Camelot così i quattro cavalieri del glam rock hanno cavalcato per tutto il Regno Unito fino alla corte della Regina; come a dire: “siamo British, siamo Glam, siamo tornati!”. Sullo sfondo compare il loro inconfondibile logo, entrano in scena tutti assieme lentamente, trasmettendo sicurezza, prendono le proprie posizioni. Justin agguanta il microfono e si avvicina al pubblico con un frac di pelle grigia, un look alla Robert Plant. L’apertura viene lasciata, come sempre, alle bacchettate roventi di “Black Shuck”, seguita dall’incontenibile “Growing On Me” e dal rock and roll di “Best Of Me”, un trio frenetico, che indiavola il pubblico e si chiude con la prima esplosione. Sarà uno spettacolo (anche) pirotecnico. Justin Hawkins è tornato più in forma che mai: fisico asciutto che entra nei suoi tipici “costumi di scena”,  falsetto riabilitato e molto più spazio al fratello sia negli assoli che sul palco. Un altro rispetto all’affaticato che avevamo lasciato a Milano nel lontano 17 Marzo 2006, in una delle sue ultime apparizioni come frontman dei Darkness (nonché l’ultima in Italia) prima di entrare in riabilitazione. La scaletta ripropone tutti i pezzi del primo album, e qua si conferma la centralità della figura di Poullain sia nella composizione sia in scena: carismatico nel suo stile che ricorda Phylip Lynott. Del secondo album vengono suonate solo “One Way Ticket” (perfetta per spiegare il loro excursus artistico dal 2006 ad oggi) e “Is It Just Me?”, gli unici due singoli realmente rappresentativi del loro stile. Mentre viene dato largo spazio alle canzoni in uscita nel 2012, ben quattro che, in una coreografia di fiamme, nebbia e fuochi d’artificio, sembrano promettere un ritorno sulle orme di “Permission To Land”.

Ma è l’encore che trasforma questo concerto in un altro degli eventi che rimarrà nella storia degli “Hammy-O” show, non solo per la qualità della reunion. Luci verdi e neve finta accompagnano il riff da shopping natalizio di “Christmas Time (Don’t Let The Bells End)”. Tempo di pulire il palco e i Darkness rientrano in scena suonando la strumentale “Bareback” accompagnati da uno dei cavalieri della Regina (The Queen): Commander of the Order of the British Empire Brian May. Di una sorpresa avevano parlato nel pomeriggio su Twitter, ma nessuno avrebbe mai immaginato di tale portata. Il boato è assordante, si fa fin fatica a sentire la cover di “Tie Your Mother Down”, la folla inglese è in visibilio. Chiudere il tour di reunion in patria, a Londra, all’Hammersmith Apollo, con Brian May, è un avvenimento di per sé ineguagliabile. Se ci si aggiunge che il chitarrista dei Queen, nel frastuono acclamante il suo nome, chiede: “How happy are we that the Darkness are back together?”, per poi attaccare con il loro singolo più famoso “I Believe In A Thing Called Love”, da una parte li consacra dall’altra li responsabilizza nel perpetuare il glam rock ed un’eredità come quella di May & co. Certamente la scelta è avvenuta pure per commemorare “nella chiesa del Brit rock” il  ventennale della morte dell’unico (ed ispiratore) Freddie Mercury (24 Novembre 1991), sta di fatto che sono stati “riabilitati alla corte della Regina” con un concerto-cerimonia imperioso, soprattutto per il pubblico anglosassone. Come sempre la chiusura viene lasciata a “Love On The Rocks With No Ice”, durante la quale Justin Hawkins si prende il bagno di folla meritato, facendosi portare sulle spalle di un bodyguard in mezzo al pubblico mentre suona l’assolo, e nell’intermezzo viene anche accennata “We Will Rock You”. L’esplosione finale cala il sipario! The Darkness are back in town! 


Setlist

The Boys Are Back In Town (Thin Lizzy song)
Arrival (ABBA song)
Black Shuck
Growing On Me
Best Of Me
One Way Ticket
Nothing's Gonna Stop Us
Get Your Hands Off My Woman
Out Of This World
Holding My Own  (Acoustic version)
Love Is Only A Feeling
Concrete
Friday Night
Cannonball
Is It Just Me?
Street Spirit (Fade Out) (Radiohead cover)
Givin' Up
Stuck in a Rut
Christmas Time (Don't Let the Bells End)

Encore

Bareback (with Brian May)
Tie Your Mother Down (Queen cover) (with Brian May)
I Believe In A Thing Called Love (with Brian May)
Love On The Rocks With No Ice


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