Paradise Lost - The Plague Within Tour
02/11/15 - Live Club, Trezzo Sull'Adda


Articolo a cura di Fabio Rigamonti

Vi era una grande curiosità, da parte del sottoscritto, di rivedere all'opera i Paradise Lost, dato il gran numero di voci che vedeva la seminale band inglese totalmente svecchiata non solo grazie ad una discografia sempre più orientata con lo sguardo al 1991, ma anche ad una presenza sul palco compatta ed energica. Nulla di meglio, dunque, che l'unica data italiana del "The Plague Within Tour", con il Live Club di Trezzo Sull'Adda quale tempio in cui celebrare l'esclusivo rito.

 

Addirittura in anticipo di qualche minuto sull'orario comunicato, ad aprire la serata ci pensano gli anglo-tedeschi Lucifer i quali ci fanno capire quanto l'hard rock satanico settantiano che fa tutto Black Sabbath sia prepotentemente tornato di moda in questo 2015.


Seguendo la scia dei Ghost, la band capitanata dalla sinuosa e mesmerizzante Johanna Sadonis ci propone una musica di genere, piuttosto didascalica e sterile nell'interesse se non fosse che la band è, invero, piuttosto pittoresca.

 

Senza scendere negli eccessi della teatralità dei Ghost (che, peraltro, sono anche musicalmente interessanti per la loro deriva prog-melodica), i Lucifer possiedono svariate note curiose: dall'avere una frontwoman in una forma di heavy rock che è tendenzialmente sempre stata prerogativa maschile, ad un chitarrista che sembra una versione stoner di Kerry King (Gaz Jennings), passando nel mezzo per un bassista (Dino Gallnick) che sembra uscito da una sleazy rock band capitolata nel mezzo di un circo.

 

Una manciata di brani a disposizione per loro - tutti sulla medio-lunga durata - dai due lavori discografici sinora rilasciati dalla band, per uno show che, al netto delle sgargianti note di immagine, risulta gradevole, ma di certo non sconvolgente.

Un efficientissimo Live Club permette quindi un rapido cambio di palco, e puntuali alle 22 salgono sul palco i Paradise Lost. Purtroppo, la prima parte dello show verrà caratterizzata da problemi di volumi nella resa della voce di Nick Holmes, letteralmente inghiottita nel potente sfondo sonoro, un difetto che, sporadicamente, farà capolino anche nel resto della serata, risultando fastidioso, ma non insopportabile. Anche perché, per il resto, dal punto di vista della tecnica non c'è da dire nulla: sia a livello di luci, che di resa generale del suono, con la chitarra sanguinante di Mackintosh sempre in primo piano, com'è giusto che sia quando si parla di Paradise Lost, tutto è stato offerto con deliziosa perizia di mestiere.

 

Quello che, invece, preme di sottolineare in questo reportage è l'assoluta conferma dello stato di grazia del frontman della band inglese. Per 20 anni siamo stati abituati ad avere un Nick Holmes non solo fermo costantemente su se stesso durante i concerti, ma anche piuttosto incerto nella resa vocale lungo lo svolgimento degli stessi. Bene, se del cantante di "Anatomy Of Melancholy" serbate il ricordo, sono lieto di comunicare che di quell'Holmes pare non esserci quasi più traccia. Oggi Nick è estremamente versatile e sicuro sia nella presenza sul palco, che nella resa vocale. Scherza persino a più riprese col pubblico, sia quando maledice la platea per essersi spoilerata la scaletta su Setlist.fm, sia quando afferma che loro hanno appena fatto un disco, e che spera piaccia perché, se così non fosse, la serata sarebbe stata problematica.

 

 

paradiselostlr201501
 

 

Due battute chiave che permettono di esprimere altrettante profonde riflessioni: dalla carriera dei Paradise Lost, alla loro resa live.

 

Innanzitutto, la "questione" scaletta. Che i Paradise Lost attuali siano particolarmente in fissa con l'obiettivo di tornare alle loro origini più oscure, violente e doom è un fatto che avevamo capito analizzando gli ultimi 3 parti in studio di registrazione; certo, questo non giustifica una scaletta occupata per quasi la metà dall'ultimo "The Plague Within", soprattutto se condita da estratti dai primi 3 incisi della formazione inglese.


I Paradise Lost, difatti, sono una band che in 25 anni di carriera ha assunto molte pelli, eppure ad assistere agli show di questo tour non si direbbe, e questo è discretamente mortificante sia per loro, che per quella parte di pubblico che in loro ama la trasversalità, e non il loro essere totalmente metal straight-in-your-face.

 

Quindi, il loro essere istituzione. Da una band che si appresta felicemente a coronare il trentennale di carriera, non ti aspetti questo essere così aderenti ad una setlist che è sempre la stessa da molte date a questa parte (così perlomeno ci dice il tanto detestato da Holmes Setlist.fm), oltretutto quando tale scaletta comporta - al netto dei break - 80 minuti scarsi di musica.
Certo, è tutto nello standard. Ma di band nate nel 2013 e che hanno due dischi all'attivo magari, non certo di una band con una corposa storia alle spalle.

 

Ciò detto, il concerto dei Paradise Lost è stato estremamente energico e vitale. Il pubblico di un pieno ma non ripieno Live Club ha risposto con decisa enfasi sugli episodi in cui si poteva cantare a squarciagola ("Erased", "Faith Divides Us - Death Unites Us", la chiusa oramai storica nonché maggiore successo commerciale della band "Say Just Words") e sull'unico episodio concesso al seminale "Draconian Times" ("Enchantment"), dimostrando che non importa quanto metal il concerto sia: se c'è della melodia, a noi italiani piace enfatizzarla a prescindere con i cori. Punto.
Per il resto, Holmes splendidamente viscerale e gutturale nei growl, quanto potente ed espressivo nel clean, ed il resto della band precisa come un orologio svizzero nell'esecuzione della musica, con un Mackintosh che, come già detto, non è più protagonista del palco, ma nondimeno splendido nell'essere chitarrista tecnico ed espressivo al contempo, in una resa che, di fatto, rende i Paradise Lost i Paradise Lost.

 

Si poteva chiedere di più alla band? Certamente sì, ed era quasi lecito, visto il loro contesto.
Si è quindi usciti insoddisfatti dal concerto? No, perché la forma era smagliante e la performance convincente, al netto delle restrizioni della setlist.

 

Si spera di vederli di nuovo in azione presto, magari più liberi dai vincoli di dover essere i Paradise Lost a tutti i costi. Sarebbe delizioso ed interessante, non credete?

 

Setlist:

01. No Hope In Sight
02. Widow
03. The Painless
04. Terminal
05. Erased
06. Praise Lamented Shade
07. Victim Of The Past
08. Enchantment
09. Flesh From Bone
10. Beneath Broken Earth
11. AS I Die
12. Requiem

Encore:
13. Return To The Sun
14. Faith Divides Us - Death Unites Us
15. An Eternity Of Lies
16. Say Just Words




Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool