Nile
At The Gate Of Sethu

2012, Nuclear Blast
Death Metal

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 25/06/12

La caduta degli dei. Il settimo album dei Nile coglie impreparate le numerose truppe (ovviamente cammellate) di fan accaniti, estimatori e addetti ai lavori, con il primo vero tonfo della pluriennale carriera di Karl Sanders e soci. Se l’altalenante “Ithyphallic” era fino all’altro ieri l’inciso meno efficace degli americani, seppur comunque di tutto rispetto, privato di tutta l’epicità insita nel sound dei nostri, il nuovo “At The Gate Of Sethu” spodesta quello che fu il debutto su Nuclear Blast sul gradino più basso della piramide, alla cui sommità rimangono inarrivabili (per tutti) “Black Seeds of Vengeance” e “In Their Darkened Shrines”.

Un peccato, perchè se già in “Those Whom the Gods Detest” era evidente una minuziosa opera di riciclo e rimodellamento dei più classici tratti peculiari della band, in un calderone di “già sentito” mosso però da un’ispirazione importante e da una rinnovata freschezza, qui invece i Nile si sono fermati malamente alla fase di raccolta del meglio del proprio repertorio, ripresentandolo un po’ furbescamente sotto spoglie lievemente mutate, ma non in modo sufficiente da ingannare le orecchie degli ascoltatori più attenti. Certo, diamo in mano a un neofita “At the Gate of Sethu” e molto probabilmente si sbrodolerà nei calzoni dopo un paio di minuti, ma per chi segue la band da sempre, il compitino non basta.

Cosa manca a questo disco? A nostro parere manca quel “qualcosa da dire”. Cioè ascoltando l’album si ha come la sensazione che “At the Gate of Sethu” sia stato confezionato a metà strada tra il mero fanservice e l’adempimento contrattuale, senza una reale motivazione di base. Così un disco che di norma dovrebbe essere ben oltre che un lavoro death iperviolento e ipertecnico, diviene un mirabile esercizio di stile, appunto iperviolento e ipertecnico, che all’alba del 2012 e con almeno due capolavori e altri due/tre album superlativi, risulta superfluo. Non troviamo infatti alcun brano che possa competere col passato della band, nessun guizzo, nessun passaggio da rimanere a bocca aperta, nessuna trovata “mediorientaleggiante” degna di nota, anzi, il tutto sembra abbastanza arido, a partire dalla produzione poco corposa, fino ad arrivare alle prestazioni singole: buone le chitarre (solo buone per essere Nile, molto buone rispetto alla concorrenza), con assoli senza troppa fantasia, voci meno gutturali del solito, non sempre convincenti, più che sufficiente la prova di George Kollias, sempre velocissimo e precisissimo, ma altrettanto piatto, senza le caratteristiche dinamiche messe in mostra in passato.

Difficile dire cosa sia successo al terzetto di ferro composto da Carletto delle piramidi, Dallas (finalmente deciso a tagliarsi quei capelli alla Krusty il Clown) e al greco George... Ci sta a presentarsi al pubblico sottotono, in fondo meglio tirare a campare che tirare le cuoia, ma quando il nome sulla copertina pesa, i margini di “fallimento” sono sempre molto ristretti. La prosecuzione di una parabola discendente iniziata ormai anni fa, seppur con qualche colpo di coda, che non fa ben sperare per i Nile che tutti noi ricordiamo e ammiriamo. Difficilmente tra tre mesi ci ricorderemo ancora di “At the Gate of Sethu”.



01. Enduring the Eternal Molestation of Flame

02. The Fiends Who Come to Steal the Magick of the Deceased

03. The Inevitable Degradation of Flesh

04. When My Wrath Is Done

05. Slaves of Xul

06. The Gods Who Light Up the Sky at the Gate of Sethu

07. Natural Liberation of Fear Through the Ritual Deception of Death

08. Ethno-Musicological Cannibalisms

09. Tribunal of the Dead

10. Supreme Humanism of Megalomania

11. The Chaining of the Iniquitous

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