Nile
In Their Darkened Shrines

2002, Relapse Records
Death Metal

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 12/05/09

Se i Nile sono diventati una formazione di culto all'interno dell'intero panorama metal, lo devono per larga parte al terzo capitolo della discografia, quell'"In Their Darkened Shrines" che sconvolse la scena death del periodo, i cui influssi non solo hanno segnato tutto quello che è venuto appresso (leggasi Behemoth ad esempio, con le debite differenze), ma rimarranno intatti ancora per molti anni a venire. Un capolavoro unico e irripetibile, diventato ormai un classico immortale del genere.

Sì perché "In Their Darkened Shrines" non è un semplice disco death/brutal, è un'opera complessa e affascinante che offre diversi piani di lettura: un album dalla violenza spaventosa, un lavoro capace di essere sorprendentemente melodico e articolato, un disco che fa dell'epicità il principale motore che muove ogni singolo istante, un full-length che è una lezione di tecnica e stile, in cui velocità e gusto vanno a braccetto come meglio non si potrebbe. Da qualsiasi lato osserviate, "In Their Darkened Shrines" riuscirà sempre a stupirvi, a farvi rimanere attoniti di fronte a queste monumentali distorsioni, un vortice sonoro che si sviluppa in modo sinuoso, scaraventadovi addosso tonnellate di riff e accarezzandovi, quando meno lo aspettate, con atmosfere opprimenti, catacombali, un soffio di vento caldo che non presagisce niente di buono, foriero silenzioso di nuove tempeste all'orizzonte.  

Dopo il debutto sfolgorante di "Amongst the Catacombs of Nephren-Ka", e un autentico capolavoro come "Black Seeds of Vengeance", i Nile riescono a superarsi, grazie a un alchimia irripetibile di quello che ormai è diventato il sound-Nile, migliorando in ogni singolo particolare: la vena mediorientale si fa ancora più marcata, meglio inserita nel tessuto dei brani, la complessità delle strutture raggiunge un livello ancora oggi irripetibile, il lavoro dei nostri si arricchisce maggiormente di strumenti antichi, percussioni, fiati, cori, dando pieno sfogo a un'epicità che non trova freno nella violenza della musica, ma al contrario sembra trarne giovamento. Per non parlare della line-up che ha reso possibile tutto questo, dove oltre al solito Karl Sanders, e al fido scudiero Dallas Toler-Wade, troviamo Jon Vesano al basso, e il mostruoso batterista Tony Laureano, autore di una prova che asseconda ogni variazione delle chitarre in modo sublime. A mio modo di vedere, la migliore formazione mai avuta dalla band, impressionante per carisma e presenza scenica sul palco.

Ma più delle parole, può la musica, e non c'è miglior cosa per capire In Their Darkened Shrines che buttarcisi a capofitto, iniziando con la canzone manifesto del disco, The Blessed Dead: si chiudono gli occhi e ci si immagina nel pieno svolgimento di un rito egizio, con un insieme di riff, percussioni, piatti, cori che all'improvviso fanno strada a trame sparate alla velocità della luce, violente, schizzate, fino all'inizio della parte cantata del brano... Il tutto in soli venti secondi! Come se i Nile avessero voluto racchiudere in poche battute quelle che sono le due anime del disco. Ovvero epicità e furia esecutiva, che si scambiano a vicenda il ruolo di protagonista, in una sorta di botta e risposta che lascia attoniti, straniti, continuamente bersagliati dal drumming frenetico, dall'alternarsi del triplice assalto vocale, uno più profondo dell'altro, da continue variazioni e assoli evocativi e spiazzanti. La cosa che più spaventa è che lungo quest'ora di musica, la qualità media rimane sempre a livelli vertiginosi, proponendo tracce dalla vena più “canonica” come la terremotante Execration Text, Kheftiu Asar Butchiu, Churning the Maelstrom (con un break centrale da togliere il fiato), o Wind of Horus, sempre in un perfetto equilibrio di tecnica, melodia e atmosfere. Ma quello che rende In Their Darkened Shrines un lavoro ineguagliabile, sono i brani più epici, lenti, sofferti, che la band posiziona sapientemente lungo la tracklist, in modo da stemperare la violenza profusa. Mi riferisco a Sarcophagus, con il solito Laureano in grande spolvero, I Whisper in the Ear of the Dead, brano particolare tra distorsioni e strumenti antichi, e la monumentale Unas Slayer of the Gods, quasi dodici minuti in cui vengono cantate le gesta di Unas, il nono e ultimo faraone della quinta dinastia. Dai richiami ai maestri dell'epico, i Candlemass (citazione voluta da Karl e dichiarata apertamente nel booklet), i nostri danno vita a un brano che ci conduce per mano i un abisso sempre più impenetrabile, con pachidermici mid-tempos, uno stacco strumentale, per poi arrivare alla devastazione nel mezzo della canzone. Un brano che non può lasciare indifferenti neanche a chi non sia pratico di queste sonorità, basterebbe ascoltare cosa riescono a tirare fuori lungo la durata dell'assolo (oltre un minuto e venti), l'armonia che aleggia su tutto il caos sprigionato, per innamorarsi di questo disco. Come se non bastasse, le sorprese non sono finite qui, perché ad attenderci c'è la splendida title-track, divisa in quattro movimenti, che nel giro di un quarto d'ora ci fa rivivere tutto quello ascoltato sin qui. Hall of Saurian Entombment trasforma in musica l'ispirazione lovecraftiana del pezzo, in una sorta di preghiera arcaica molto suggestiva, la coppia Invocation to Seditious Heresy e Destruction of the Temple of the Enemies of Ra, fa da contraltare con l'ennesima bordata in piena regola, lasciando la chiusura a Ruins. L'ennesima dimostrazione di quanto possa essere evocativa la musica, capace di ricreare visioni e sentimenti come niente altro al mondo: un brano strumentale, stavolta però condotto con strumenti canonici, che gioca con melodie orientaleggianti che si ripetono sinuose ed eleganti, regalandoci un ultimo attimo di pace, un serpente che si muove lentamente sulla sabbia al calar del sole, per poi aprire uno squarcio struggente, commovente, una litania che allieta ma che non lascia pace interiore, piuttosto infonde la sensazione che un destino ineluttabile è lì che ci attende, prima o poi.

Ho speso fin troppe parole. Se non l'avete ancora fatto, ascoltate In Their Darkened Shrines, scopritene le finezze, le sfaccettature, apprezzatene la complessità delle tracce, la maestria di questi musicisti, gustatene la furia e la delicatezza, credetemi, non ne farete più a meno.



01.The Blessed Dead

02.Execration Text

03.Sarcophagus

04.Kheftiu Asar Butchiu

05.Unas Slayer of the Gods

06.Churning the Maelstrom

07.I Whisper in the Ear of the Dead

08.Wind of Horus

09.In Their Darkened Shrines, Part I: Hall of Saurian Entombment

10.In Their Darkened Shrines, Part II: Invocation to Seditious Heresy

11.In Their Darkened Shrines, Part III: Destruction of the Temple of the Enemies of Ra

12.In Their Darkened Shrines, Part IV: Ruins

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool