Kari Rueslatten
Mesmerized

1998, Sony
Indie

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 10/07/10

Ad un anno esatto dal debutto (“Spindelsinn”), e fresca di una nomina al Grammy Awards norvegese come miglior voce femminile, Kari Rueslåtten passa sotto una major e dà vita all’album più pop della sua carriera. Considerando il tempo d’attesa infinitesimale rispetto all’album di debutto, è davvero difficile non affermare, con una certa malizia, che una sorta di addomesticamento dell’artista da parte della casa discografica sia stato messo in atto, visto che stiamo pur sempre parlando di Sony (e l’inglese al posto del norvegese dell’album d’esordio è quasi una prova, anche se l’inglese poi rimarrà anche per gli incisi futuri di Kari come lingua madre).

Entrando nel dettaglio di "Mesmerized", l’apripista “My Lover”, è uno dei picchi più intensi di tutto l’album, grazie al suo essere intrisa di una tristezza antica dettata dal rimorso, mentre nella successiva “All You Had In Me” la chitarra elettrica si fa predominante e l’elettronica si colora di toni insolitamente più allegri e leggeri, il primo segnale che saranno le tinte pastello a caratterizzare quasi completamente questo lavoro. Difatti, la Kari sbarazzina di “A different Angle” consolida ulteriormente la teoria dell’album leggero, nonostante sia sempre avvertibile, sepolto sotto tonnellate di accordi mielosi per chitarra, quella leggera foschia rappresentata dal passato di Kari e dal suo folk… quasi come se a forza questi aspetti veissero ignorati lungo le tracce di “Mesmerized”. “Balcony Boulevard” ci presenta un inedito lato blues dell’artista… un lato che non è nelle corde della Rueslåtten, poiché la traccia risulta, nel complesso, abbastanza noiosa e trascurabile. “Happy. Amused” è quasi una dichiarazione di resa dell’Artista-Kari nei confronti della Donna-Kari, la Donna costretta a svolgere un compito quasi controvoglia; ci troviamo tuttavia di fronte ad una canzone molto godibile, per la quale non si può certo dire che l’ispirazione venga a mancare, grazie soprattutto a quell’effetto sonoro che non ci si aspetterebbe inserito con subdola maestria. “Cinderella” è un tentativo di imitazione della Tori Amos di “From The Choirgirl Hotel” (guarda caso, la stessa che girava proprio mentre Kari componeva questo cd) così smaccato, da risultare sfacciato e poco gratificante per un artista del calibro della nostra fata norvegese. Per fortuna, arriva “Make Me A Stone” a risollevare un poco i toni dell’album. Ritengo questa traccia la meglio riuscita dell’album (nonché una delle migliori di tutta la carriera solista della Nostra), non perché ci sia la “vecchia” Kari a predominare su quella “nuova”, ma piuttosto perché la composizione è talmente onesta, indifesa e nuda, che “Make Me A Stone” rappresenta una delle canzoni più genuine e dolci che mi sia mai capitato di ascoltare. Dopo una traccia di tale maestria, ben poco rimane nella parte conclusiva di questo disco, se non la tenera chiusura affidata a “Paint My Wings”, classica ballata per piano e violino in pieno Tori Amos style, che tuttavia non delude grazie alla sentita e partecipe voce di Kari.

Tirando le somme, questo è un album davvero… sfacciato. Sfacciato per come Donna-Kari sviluppa unicamente il lato pop della musica di Artista-Kari in cerca, molto probabilmente, di facili consensi commerciali (che poi, alla fine, non sono nemmeno arrivati). Il risultato, tuttavia, per chi già conosce l’artista Kari, è quello di avere per le mani un disco insolitamente piatto ed insipido, un album che, fortunatamente, è rimasto un caso unico ed isolato in una discografia significativa come quella di una delle voci più tipiche che la Norvegia abbia mai partorito.



Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool