Elvenking
Red Silent Tides

2010, AFM Records
Power Metal

Recensione di Fabio Petrella - Pubblicata in data: 19/10/10

Un salice che scava e rimescola con le radici la terra. Un salice che trionfa solitario al centro di una radura, lontano dagli spasmi cittadini e salvato da una misantropia quasi primordiale. Un salice in continuo sviluppo, che segue la propria indole senza paura, che allunga i rami rigogliosi verso l’esterno espandendosi alla ricerca di una propria identità. Il percorso musicale degli Elvenking si percuote e stormisce al seguito delle fronde del suddetto salice, albero della creazione a foglia caduca.
 
Red Silent Tides” è l’ultimo germoglio del florido salice coltivato con cura dalla premiata ditta Elvenking. La band italiana, dopo la splendida parentesi acustica di "Two Tragedy Poets (...And A Caravan Of Weird Figures)", cuore rivelatore dei friulani, torna ad affacciarsi sul sagrato del metallo con un album volitivo e inaspettato. I cantori di Sacile capitanati da Aydan cambiano materialmente rotta pur senza ingannare e ingannarsi ideologicamente. Gli Elvenking hanno sempre cercato una via nuova, un sentiero diverso, un tratturo anche difficoltoso che li avrebbe condotti, in pace con se stessi, sulla sommità di una rupe circondata da boschi rigogliosi attraversati da torrenti fluttuanti. Ma oggi il salice è ammalato. Scosso da intemperie sentimentali è frastornato. Perde gocce di resina. Gocce che in uno stillicidio sommesso si accumulano al suolo, si diffondono nel sottobosco e si aprono all’etere spargendo un profumo speziato di corteccia e linfa. “Red Silent Tides” non si tira indietro nell’evoluzione, ma, ad avviso di chi malamente scrive, interrompe un ciclo emotivo e “architettonico” consolidato, aprendosi come un riccio alla base di un castagno.
 
“The Cabal” è il singolo scelto per promuovere il disco. La sua versione videoclip mi fa storcere il naso. Qualcosa mi ricorda MTV, quasi fossero dei Green Day qualunque. Ma non è questo il problema. E’ un’impressione, e le impressioni possono essere sbagliate. Quello che più mi preoccupa è il brano stesso. Molle, effeminato e ordinario. Un malumore avvertito all’istante che si è poi posto, forse inconsciamente, alla base della delusione che aleggia in questa recensione. “Red Silent Tides” tradisce le mie aspettative (probabilmente anche quelle di molti) e non si giustifica al pubblico. Non è questione di metallo pesante, riffoni tamarri, scarponi borchiati o facepainting da carnevale. E’ una questione, come detto, emotiva. Dopo l’attacco speranzoso di "Dawnmelting", forte con i suoi violini litigiosi, si spegne il fuoco. E il sottoscritto non riesce a illuminare questo buio anomalo. "The Last Hour" ha la consistenza di una bambola di pezza ed emana un aspro odore di mercato. "Silence De Mort" è debole seppur invitante. "Runereader", al contrario, si gonfia con prepotenza in un riverbero di antico carattere. La settima "Your Heroes Are Dead" è un estratto piacevole, un frammento che convince con melodie da X-Factor e che scorre via in un baleno. La seconda parte del disco è debole, esile come un ramo secco. "The Play Of The Leaves" chiude il full length che scivola così al suolo, fragile come una foglia d’autunno placcata dal rigore invernale. Tradito, in segreto, da un’emotività “commerciale”.
 
Gli Elvenking hanno fatto del romanticismo naturale un proprio carattere. Eppure stavolta il tronco del salice non è scalfito dal quel sentimento rupestre, ma trema di tensioni e aspetti quotidiani. I paladini del folk metal italiano hanno voltato la carta e l’opera, di riflesso, ne risente. Il suo ricordo svanisce in breve nel tempo. Proprio come una marea silenziosa.




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