Eluveitie
Helvetios

2012, Nuclear Blast
Folk Metal

Recensione di Marco Belafatti - Pubblicata in data: 11/02/12

Sfiancante. Non c'è altro aggettivo per descrivere la musica di questo ensemble svizzero, sempre più incensato dai metallari di mezzo mondo (soprattutto in Italia) e sempre più riverito presso l'aristocratica corte della tedesca Nuclear Blast. Talmente incensato e riverito che, sulla scia del meritato successo di “Slania”, il combo guidato da Chrigel Glanzmann ha capito di potersi adagiare senza troppi patemi d'animo sugli allori di quel folk metal che negli ultimi anni ha riscosso un successo talmente esponenziale da trasformarsi ben presto in una formula prevedibile, noiosa e indigesta. A nulla sono valsi gli esperimenti acustici di “Evocation I – The Arcane Dominion”: visti gli scarsi consensi, i Nostri hanno pensato bene di tornare a propinarci il loro death melodico condito dal solito growl, dai soliti strumenti celtici e dalle solite, cantilenanti voci femminili. Così, dopo le innocue scossette di “Everything Remains (As It Never Was)”, il nuovo arrivato “Helvetios” (che titolo originale, ragazzi!) parte direttamente in retromarcia.

Se il singolo apripista “A Rose For Epona”, con le sue orchestrazioni e i suoi riff immediati, denota una certa apertura al mainstream (il successo dei compagni di etichetta Nightwish li avrà forse “ispirati” in questo senso?), la missione fallisce miseramente laddove le vocals principali vengono affidate ad una sguaiata Anna Murphy (già al flauto e all'hurdygurdy), con risultati abbastanza discutibili. E, se una discreta manciata di pezzi ispirati non sembra mancare (il lamento sciamanico di “Scorched Earth”, le epiche effusioni di “Neverland” e l'intreccio tra strumenti a fiato e chitarre incastonato tra gli assalti frontali di “Meet The Enemy”: semplicemente deliziosi), è la credibilità stessa degli Eluveitie a venire meno. I diciassette brani contenuti in “Helvetios”, nonostante la band giochi tutte le carte a sua disposizione per rendere varia e interessante la proposta, denotano un appiattimento generale del sound e il continuo reiterarsi di luoghi comuni del death melodico non può certo risollevare le sorti di un disco nato sotto una cattiva stella – da qui la sufficienza stiracchiata che potete scorgere nella valutazione sottostante. Per fortuna la scena folk metal ha saputo regalarci prodotti di ben altro spessore e il nostro consiglio, a questo punto, è quello di riscoprire la discografia degli Arkona, una realtà musicale meno “fighetta” ma indubbiamente più ispirata e sostanziosa.

Di fronte alle dichiarazioni altisonanti pronunciate dal signor Glanzmann negli ultimi anni (“Sono un tradizionalista e, anziché un musicista metal, mi reputo un musicista folk” - leggere per credere!) diventa veramente difficile comprendere l'utilità dell'ennesimo dischetto ad uso e consumo dei soli fan della band, che in questo momento staranno probabilmente accendendo un falò attorno al quale danzare festeggiando il ritorno dei propri idoli. Tuttavia, sarebbe il caso di darsi una svegliata e rendersi conto che lo spirito pagano e il concetto (ormai sempre più travisato) di folklore non hanno bisogno di urla posticcie, chitarre distorte e profusioni di grossolanità per concretizzarsi e che un flauto, una cornamusa e un violino, all'alba del 2012, non fanno più primavera.





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