Dragonforce
Sonic Firestorm

2004, Noise Records
Power Metal

Recensione di Gaetano Loffredo - Pubblicata in data: 09/04/09

Registrato e missato ai Thin Ice Studios nel Regno Unito dal 6 ottobre al 10 dicembre 2003, prodotto da Karl Groom, Sonic Firestorm si presenta al pubblico power metallaro come l’erede del precedente e fortunato Valley of the damned che ha suscitato pareri ampliamente positivi e che ha lanciato i Dragonforce come new power metal sensation.

Mi sono avvicinato a questo platter anche per quel bollino rosso appiccicato sulla plastica della confezione che, a caratteri cubitali recita: “Extreme power metal”. Power metal estremo… mah…
La mia curiosità si affievolisce una volta premuto il tasto play in quanto da subito si ha l’impressione che il combo britannico per Extreme si riferisca alla velocità di esecuzione che in effetti, con la batteria di Dave Mackintosh (ex Bal-Sagot) e le chitarre di Herman Li e Sam Totman, raggiunge picchi ascoltati sin ora soltanto in gruppi black o brutal death.
Basterà a rendere originale il prodotto?
Fin da subito rispondo no in quanto in una scena tanto inflazionata come quella del power metal degli ultimi anni, ci vuole ben altro per riuscire ad uscire a testa alta dalla “massa”.

Ciò non toglie che questo "Sonic Firestorm" è un dischetto nella sua interezza ben suonato ed omogeneo; molto piacevole da ascoltare a partire dalla davvero superlativa opener “My spirit will go on” trascinante e costituita da un refrain avvolgente e da un ritmo che si eleva minuto dopo minuto.
Non sono da meno in quanto a velocità le sorprendenti successive “Fury of the storm” (il titolo dice tutto) e “Fields of despair” che non cambiano però in nessun modo le metriche dell’opener ma che contribuiscono a dare l’idea dell’agognato extreme power metal.
D’obbligo la dolcissima ballad “Dawn over a new world” che si frappone tra le tre soniche song precedenti e le altrettanto “missilistiche” quattro song successive; buona la prova del singer ZP Theart che può sfoggiare apertamente la sua calda voce a differenza delle altre track dove il suono degli strumenti musicali tende a sovrastarla e ad appiattirla.
I 7 minuti e mezzo di “Above the winter moonlight” scorrono lisci come l’olio e ci presentano una band ottima dal punto di vista tecnico-esecutivo quanto impersonale ed insipida dal punto di vista stilistico, sensazione elargita anche dalla song numero sei “Soldiers of the Wasteland” persino troppo lunga e a mio parere mal strutturata.
La melodia la fa da padrona nelle restanti “Prepare for war” e “Once in a lifetime” che non difettano certo di buona vena compositiva ma che spaziano in un repertorio sonoro trito e ritrito.

Prendete dunque una band happy metal qualunque, aggiungete elementi tecnicamente preparatissimi anche in campi metal estremi, raddoppiate la velocità degli strumenti ed ecco a voi i Dragonforce che nel loro caso hanno preparato ed ideato un prodotto a tavolino: a qualcuno strapiacerà, a qualcun altro farà storcere il naso.
Fate Vobis.



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