Muse
Black Holes and Revelations

2006, Warner Bros. Records
Alternative Rock

Il disco della grande svolta del trio britannico, dopo il quale tutto sembrerà più difficile
Recensione di Giovanni Maria Dettori - Pubblicata in data: 03/07/19


Arriva per tutte le band quel punto in cui ci si ritrova un'ennesima volta in studio, ci si guarda negli occhi e si dice "E ora?". Bene, quel momento arrivò anche per i Muse: il ciclo si chiuse dopo un tour sfiancante che aveva messo a durissima prova i tre ragazzi del Devon, rendendoli però allo stesso tempo dei veri e propri animali da palcoscenico, unendoli ancora di più sotto il punto di vista umano. L’ottimo Absolution chiuse quindi un ciclo, o meglio un “trittico” iniziato con le atmosfere Radioheaddiane di Showbiz e proseguito con quell’ “Origin of Simmetry” così scintillante e ancora oggi ricco di fascino.

Black Holes And Revelations cambiò le carte in tavola in maniera abbastanza netta mettendo in mostra le prime vere sperimentazioni elettroniche e una serie di atmosfere più pop, incanalando la stravaganza di Bellamy in forme inedite, molto diverse rispetto a quelle del passato, ma comunque ben riuscite. Se da un punto di vista musicale l’album risultava innovativo, si può dire a tutti gli effetti che le liriche avessero un’impronta ancora più politica.

Considerate le premesse, Black Holes and Revelations è un album assolutamente non lineare che alterna brani molto diversi fra loro sin dall’inizio. Non per niente il disco passa dalla feroce invettiva contro la guerra in Iraq della cupa "Take a Bow", dove per la prima volta l’anima elettronica dei Muse batte un forte colpo, alle placide note al piano di “Starlight”, limpida, spaziale e poppeggiante. Quest’ultima in particolare fu ritenuta la traccia “chiave” dagli stessi Muse, in una parabola che intreccia amore e nostalgia e paura per il futuro a bordo di una nave che porta lontano, metafora della nuova direzione musicale. Il sismografo impenna nuovamente con “Supermassive Black Hole”, caotica e dionisiaca cannonata che coniuga ancora molto bene le tendenze megalolani di Bellamy con il suo amore per la Dance music e per il Funk, paradigma che nell’ultima parte di carriera invece ha generato creature non proprio brillanti.

La cerebrale e profonda “Map Of The Problematique” è ancora una grande prova della sezione ritmica di Dominic Howard, mentre la dolce "Soldier's Poem" rappresenta una ninnananna ingiustamente dimenticata. Il raptus multiforme partorisce anche tracce che nessuno si sarebbe (ancora) aspettato dai Muse: dalla hit da stadio “Invincible” alla furiosa e spietata crociata anti-establishment di “Assassin's”, sino alla sbiadita “Exo-politics” dove astronavi aliene invadono la terra, in un ennesimo delirio apocalittico. 

Da qui l'album prende una piega assai interessante nell'arco di poco più di un quarto d'ora: si inizia con “City Of Delusion”, i cui suoni mediterranei si incontrano con un Progressive molto interessante che culmina nell'assolo di un'inaspettata Tromba. Proiettati in un deserto di nulla e di sconforto la delusione si trasforma in sogno ed utopia con “Hoodoo”, tra una chitarra folk-spagnoleggiante e un’intima progressione al pianoforte vicina a quelle di Absolution. Il finale è di quelli con i fuochi d'artificio, a cavallo (letteralmente) di un riff da antologia: la precedente delusione diventa determinazione contro coloro che "Regnano addormentati sul proprio trono". “Knights Of Cydonia” è ancora oggi un trionfo Rock, di quelli che dal vivo mette quasi paura e di cui purtroppo i Muse ci hanno poi fatto dimenticare. La perfetta chiusura per ogni live, nonché senza dubbio uno dei migliori pezzi rock degli ultimi 20 anni.

Black Holes And Revelation riesce nell'arduo compito di coniugare una miriade di diversi generi e di diversi impulsi forgiandosi di una ben definita identità. Una grande prova dopo i primi tre album, un miracolo se si pensa alla bussola un po’ smarrita degli ultimi anni. A fare veramente la differenza è ancora oggi la sua autenticità così inedita e carismatica, dove l’emulazione non è un vessillo da sfoggiare fieramente. Allo stesso tempo, questo album rappresenta a pieno il preludio di quello che sarebbe stata la seconda parte di produzione dei Muse. C’è il pop, l’elettronica ma soprattutto c’è la sensazione di essere diventati grandi.





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