Muse (Matthew Bellamy, Chris Wolstenholme, Dominic Howard)
A meno di un mese dall'uscita dell'ultimo attesissimo album "Drones", SpazioRock incontra nel pieno centro di Milano i tre ragazzi inglesi più in vista del panorama rock attuale. A tre anni da "The 2nd Law", i Muse ritornano sulla scena con un disco costruito intorno ad una profonda riflessione sulla società attuale e sulla necessità di (ri)conquistare la propria libertà individuale.
Articolo a cura di Cristina Cannata - Pubblicata in data: 18/05/15

Avete appena concluso lo "Psycho Tour", un eccezionale tour di 6 date in piccole venue, durante il quale avete suonato nuove canzoni come Reapers e Psycho insieme ad alcuni vostri classici e b-sides come "The Groove". Possiamo considerarlo un ritorno alle vostre origini e al vostro sound originale?

 

Chris:  Musicalmente penso che quest'album sia abbastanza diverso dai nostri primi due. In tour, poi, è stata una bella esperienza suonare queste canzoni più rock del nostro nuovo album: è stato bello poter suonare in ambienti più piccoli, riprendere qualche canzone più vecchia, qualcuna che non abbiamo suonato per una decina d'anni. Funzionano bene, in un ambiente live. Non so se lo rifaremo di nuovo, ma è stato un bel tour, è stato bello poter suonare ciò che la gente ci chiedeva, e ciò che ci andava di suonare sul momento. Non c'eravamo più abituati: suoniamo sempre show con grandissime produzioni, che devono avere una setlist con un ordine specifico, poco flessibile.

 

Matt, pensi che i Muse siano effettivamente tornati al "vero rock" come hai detto qualche mese fa?

 

Matt: Sì, assolutamente. Torneremo assolutamente alle nostre vecchie sonorità. Ho prodotto gli ultimi due album, si può dire che sono diventato effettivamente un produttore. Ho passato un sacco di tempo giocando con i bottoni, con drum machines, computer, diverse tecnologie. Mi è piaciuto molto, è stato qualcosa di diverso. Ma ho pensato che fosse il momento di tornare alla strumentazione classica: chitarra, basso, batteria. E la natura stessa di questa scelta porta la nostra musica a essere più rock.

 

Come e quando siete entrati in contatto con Mutt Lange? Che elementi ha aggiunto al vostro sound?

 

Chris: Abbiamo voluto lavorare con un produttore su quest'album, perché abbiamo subito intuito che avrebbe avuto un concept molto forte, dal punto di vista dei testi. Dovevamo dunque renderlo forte anche musicalmente. Volevamo realizzare un album molto rock, manifestare meglio le nostre personalità. Lavorare con un produttore ti rende più concentrato a fare quello che fai: senza un produttore, spesso le band finiscono per vagare in direzioni differenti... ed è un po' come quello che è successo con "The 2nd Law": in quel disco abbiamo sperimentato tantissimi stili diversi, è un disco molto sperimentale! Mutt ha delle opinioni molto forti in campo musicale, e anche se non ha interferito con il songwriting, ci ha sicuramente aiutati a migliorare le canzoni, a focalizzarle meglio.

 

Matt: Mutt ci ha anche aiutato a fare chiarezza con il concept. Si è interessato fin da subito al concept, alla creazione della storia, era molto consapevole di quanto fosse importante come elemento, nell'economia dell'album. Ed è stato particolarmente ossessivo nel far sì che ogni elemento dell'album fosse ben definito.

 

Il riff di "Psycho" vi accompagna live da svariati anni, come coda di "Stockholm Syndrome". Come mai avete deciso di trovargli posto all'interno di una canzone dell'album?

 

Chris: (ride, nrd) Vedi, abbiamo suonato questo riff per anni. E' entrato nel set per caso. La gente però si è innamorata di questo riff, saltava quando lo sentiva, per cui è stata una scelta logica e spontanea farci una canzone sopra. Ci siamo resi conto che questo riff aveva più o meno sedici anni solamente quando abbiamo scritto la canzone: non so per certo qual è la prima volta che l'abbiamo suonato. Credo sia una bella cosa avere una nuova canzone per le tue scalette che abbia degli elementi familiari per la gente: quando pubblichi un nuovo album e cominci a suonare le canzoni dal vivo, ci vuole un po' di tempo prima che sia noi che il pubblico ci troviamo a nostro agio con esse. Con "Time Is Running Out" o "Stockholm Syndrome", vedi la gente saltare, cantare. Quando invece suoni canzoni nuove, il pubblico vuole semplicemente ascoltarle. Suonare "Psycho" è stato diverso, perché c'era appunto questo elemento familiare, la gente conosceva già questo riff. Quindi introdurla nelle nostre scalette è stato molto facile.

 

 

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Avete pubblicato un singolo dal sound elettronico, "Dead Inside", e uno dal piglio molto più rock. Quale canzone pensate possa essere più rappresentativa del sound dell'album?

 

Dominic: "Dead Inside", probabilmente, è la canzone che sembra più elettronica fra tutte, anche se in realtà non è elettronica - gli strumenti sono veri, sono suoni autentici -, è molto stratificata e ha un groove molto profondo. Il resto dell'album è molto pesante. Alcune delle canzoni, tra cui le mie preferite - "Reapers" e "The Handler" - catturano quello che siamo quando suoniamo dal vivo. E non c'è nessun tipo di strumentazione aggiuntiva, sono soltanto tre strumenti: basso, chitarra, batteria. E mi piace.

 

Chris: E' molto difficile descrivere il nuovo sound. Ci sono così tanti elementi diversi. Se prendi "The 2nd Law", per esempio... potresti dire qual è la canzone che lo rappresenta di più? Se prendi "Madness" o "Panic Station", sono canzoni di generi sostanzialmente diversi. Ma noi non siamo una band che segue una formula. Ci sono un sacco di gruppi di successo che hanno una formula, che si identificano con essa, e che finiscono per applicarla e per fare le stesse cose per sempre. Per molti gruppi, che so, per i Weezer, per i Rage Against The Machine, funziona. Noi non siamo mai stati così, non ci piace restare sempre fermi nello stesso posto. Credo che questo nuovo album possa anche essere, in un certo senso, anche se non un passo indietro, un ritorno a quello che eravamo nei nostri primi tre album. Ma, in fondo, sarà di nuovo qualcosa di completamente diverso.

 

Hai appena detto che il sound del nuovo album è meno elettronico del precedente. Ma cosa vi ha convinti a tornare ad un sound più diretto, quello di un classico power trio? Pensate che sia tornato il momento di questo essenziale tipo di formazione rock?

 

Dominic: L'ho sempre considerato interessante ed estremamente potente. E penso che questa sia la ragione per cui abbiamo deciso di restare in tre piuttosto che tirar dentro un quarto uomo permanentemente. Essere in tre ti fa suonare in un certo modo, ti rende potente. Sono stato personalmente influenzato da molti power trio: quando sono entrato a contatto con la musica ho ascoltato Nirvana, Rage Against The Machine, Police e anche i Queen, band che hanno avuto sempre un'anima musicale composta da tre elementi. Anche il fenomeno dei power duo è interessante: mi vien da pensare ai Black Keys, ai Royal Blood, alle cose che fa Jack White.

 

museitw04Che mi dite riguardo il concept di Drones?

 

Matt: E' come se ci fossero due storie in una. La prima va da "Dead Inside" fino ad "Aftermath": racconta di una persona che perde speranza, perde la fede in se stesso, quindi è come se fosse morto dentro, è completamente manipolato dai notiziari, vittima di un lavaggio del cervello. Ci sono queste tre canzoni -"Psycho", "Reapers", "Mercy"- in cui si parla di persone controllate, oppresse. In "The Handler" queste persone cominciano a ritrovare la loro forza interiore: ad un certo punto si sente un discorso di JFK, che appunto rappresenta il momento in cui una persona realizza qual è l'importanza dell'indipendenza e della libertà di pensiero. In "Defector" le persone tornano a lottare, a dar vita a una rivoluzione contro le forze che le opprimono. E' una sorta di ciclo completo, un viaggio molto oscuro, che porta al ritrovo dell'amore, in "Aftermath". "The Globalist", invece, è una storia simile, che però finisce male: comincia allo stesso modo, ma alla fine del viaggio c'è solo solitudine e distruzione. Volevo creare questa sorta di mistero, che ti fa pensare: "Qual è il vero finale dell'album?". Anche se il tema principale è quello che va da "Dead Inside" ad "Aftermath", le ultime fasi dell'album sono quelle di "The Globalist", e non è un lieto fine.

 

E da dove è arrivata questa idea?

 

Matt: Ho letto un libro sui Predators, i droni della CIA usati in guerra. Non ho cominciato questo libro convinto di trovarci dentro un'ispirazione, ma solo per curiosità, per capire cosa stava succedendo nel mondo. Sono stato stupito da quanti omicidi ci sono stati, soprattutto in Afghanistan e nella parte occidentale del Pakistan, così come sono stato molto stupito dal capire quanto Obama fosse coinvolto nella cosa: ha ordinato di uccidere praticamente ogni giorno. Quindi, ho iniziato a documentarmi su come definiscono le caratteristiche dei droni e su come in essi l'intelligenza artificiale fosse integrata, di modo che sono i computer a decidere di uccidere, non gli esseri umani. E questa cosa mi è parsa davvero assurda. Così ho pensato che questa avrebbe potuto essere una buona metafora, una buona base sulla quale costruire un concept album. Nell'album, in realtà, vado oltre, idealizzo il concetto di drone: parlo di droni dalle sembianze umane, uomini che sono usati e abusati per agire come robot... militari o anche persone normali, che possono essere usati come se fossero macchine. Questo può essere visto come una metafora per esprimere la relazione tra umanità e tecnologia, e come quest'ultima ci ha portati- nell'ultimo secolo- verso l'efficienza e la precisione, allontanandoci dall'imperfezione, dall'umanità, dall'empatia e dalle emozioni. E, ancora una volta, il drone rappresenta il punto d'arrivo di questo percorso.

 

Nonostante il vostro album parli di questo drammatico mondo distopico, incorpora anche alcuni sprazzi di realtà, ad esempio, come hai appena detto, discorsi di JFK. Quanto c'è di vero nella storia che raccontate in Drones? Qual è l'avvertimento che volete dare alle persone?

 

Matt: Credo che il principale messaggio sia l'importanza di mantenere la propria autonomia, il controllo di se stessi. Quando una persona sperimenta qualcosa di brutto nella propria vita è facile disconnettersi e trarne un vantaggio. Credo che molte persone che si arruolano o entrano in gruppi estremisti religiosi non abbiamo il completo controllo dei loro pensieri, dei loro stati emozionali. Credo che l'avvertimento sta in cosa può succedere quando tu ti disconnetti dall'umanità, quando ti allontani dai sentimenti e dalle emozioni. In questo caso sei in pericolo, puoi essere usato come un robot. Perciò, non perdiamo l'umanità e non nascondiamoci dai sentimenti! Se penso al mio vissuto, posso dirti che di base gli inglesi sono un po' più riservati rispetto ad esempio agli italiani, che sono sicuramente molto più espressivi e emozionali...e questo mi piace molto, lo rispetto. Personalmente, mi ci è voluto un po' di tempo per diventare più espressivo e aperto. Penso di esserlo adesso, ma non lo sono stato quando ero più giovane. Spesso quando sperimentiamo qualcosa che non ci piace, tendiamo ad evitarla. In questo album si parla del fatto che se tu eviti delle cose, diventi un po' più freddo, un po' più distaccato. Per me i periodi di distaccamento sono quelli in cui vedo nascere idee per le mie canzoni, per me andare in "quel mondo", stare un po' più da solo, corrisponde a iniziare un processo di songwriting, perché ho un fortissimo desiderio di esprimere qualcosa attraverso le canzoni e la musica. Non sono un drone, ho evitato alcuni sentimenti, ma ho sempre fatto in modo che queste sensazioni venissero fuori in qualche altro modo. Con la mia musica, appunto.

 

 

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In un tweet Matt ha accennato ad un possibile inserimento di un sequel di "Citizen Erased" nel nuovo album. E' stato effettivamente fatto?

 

Chris: Non proprio. Matt aveva lanciato quest'anticipazione quando abbiamo cominciato a lavorare a "The Globalist", dicendo che il testo sarebbe stato il seguito di quello di "Citizen Erased". Non lo so, in realtà, c'è una grande differenza tra le due canzoni, è difficile legarle l'una all'altra. Ma certo, dal punto di vista del testo hanno tanti punti di incontro. In realtà, non vedo la nuova canzone come un seguito di "Citizen Erased", ma si può dire che tra le canzoni ci sia una sorta di relazione. E anche musicalmente, ci sono delle somiglianze, nel modo in cui sono arrangiate. "Citizen Erased" non ha un arrangiamento tradizionale, è una specie di "movimento". "The Globalist" è ancora più estrema, è una canzone di dodici minuti che non ha versi, che non ha un ritornello, che è più costituita da flussi, da movimenti appunto. Ci sono delle somiglianze, comunque, in particolare con le chitarre.

 

In una vecchia intervista, Matt, hai detto che non hai mai preso lezioni di canto e che qualcuno ti disse che avevi davvero dei piccoli polmoni. Cos'è cambiato nel tuo modo di cantare da "Showbiz"?  Quali sono stati i trucchetti che hai imparato per arrivare ai risultati degli ultimi anni?

 

Matt: (ride, nrd) Sì, non ho mai preso lezioni di canto all'inizio, ma negli ultimi anni ho fatto qualche sessione di vocal coaching. La mia voce agli inizi era più fuori controllo cosa che forse gli ha dato un sound più interessante perché era più emozionale, strana e misteriosa. Con il tempo, sono solo riuscito ad avere più il controllo della mia voce.

 

La scelta di realizzare un concept album va intesa come una risposta al modo che gli ascoltatori hanno oggi di ascoltare la musica, senza ascoltare album per intero ma giusto ascoltando qualche singolo pezzo? Che ne pensate dello streaming e delle nuove piattaforme "social" di condivisione e di ascolto?

 

Dominic: Il concept ci sembrava essere la cosa giusta da fare, di questi tempi. Oggi per persone ascoltano track by track, scaricano le canzoni o le sentono via streaming. Quando abbiamo pensato di fare un album abbiamo concordato sul fatto che dovesse avere un inizio e una fine, qualcosa che le persone potessero ascoltare nella sua interezza, e dove ogni canzone avesse una stretta correlazione con le altre. Decidere un filo conduttore narrativo per il nostro album è stata per noi la scelta migliore da fare, per il semplice fatto che volevamo enfatizzare la forza dell'album, come un'entità unica, nella sua interezza. Non volevamo fare una poltiglia di canzoni messe insieme a random e dire "sì, è un album", perché sarebbe stata una collezione di canzoni a caso. Per quanto riguarda i nuovi mezzi di ascolto: l'intero mondo della musica sta cambiando, e così anche il modo in cui le persone scoprono la musica e la ascoltano, grazie ai servizi in streaming. Si ha un mondo più ampio di musica tra cui scegliere, la gente ha più roba da scoprire, e questo è molto bello. Certo non la pensano ugualmente le industrie discografiche, che oggi non riescono a raggiungere lo stesso livello di profitti dei tempi passati. L'artista invece ha un ampissimo raggio di opportunità per far uscire la propria musica e proporla alle persone che vogliono sentirla. E questa è la ragione per cui un artista fa musica, ossia per far sì che la gente la ascolti. Per i nuovi artisti è molto più semplice far ascoltare la propria musica. Noi abbiamo iniziato con un contratto discografico, e quindici anni fa se non avevi un contratto di questo tipo non avevi chance. E anche se l'avevi, niente ti garantiva che avresti avuto successo. Oggi non ne hai necessariamente bisogno, puoi registrare un pezzo nella tua camera da letto e metterlo su Youtube... e se è qualcosa di buono, la gente più sentirlo, apprezzarlo, diffonderlo.

 

C'è qualche collega con cui vi piacerebbe collaborare?

 

Dominic: Jack White. Ho avuto il piacere di vederlo suonare di recente, è bravissimo, è la cosa più bella che abbia mai visto. E' un chitarrista grandioso. Può capitare sempre, che vedi qualcosa che ti fa venire voglia di irrompere sul palco urlando "Vaffanculo! Voglio suonare anch'io!" ed è con Jack White che mi è capitato l'ultima volta.

 

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Non è una domanda particolarmente brillante ma... cosa sarebbe accaduto se non foste diventati i Muse? Come sarebbe stata la vostra vita?

 

Chris: Non ne ho la più pallida idea. Sono cresciuto suonando in band, facendo musica da quando avevo undici anni. Ho sempre creduto e pensato che questo è quello che faccio, che sarei sempre stato coinvolto nella musica, perché è una cosa che mi piace fare, qualcosa che voglio fare, in cui voglio essere coinvolto. Sai... tu devi studiare, andare all'università e devi avere un piano B. Io non ho mai veramente pensato ad un piano B. Sono andato al college, ho iniziato a studiare legge e dopo 3 mesi mi son detto "Al diavolo questa merda, è davvero noiosa!" e ho mollato. Credo che non potrei mai trovare nulla che mi dia le stesse emozioni che mi da la musica. Non posso immaginare di non essere coinvolto nella musica, che sia in una band o nella produzione.

 

Dopo le torri di "The Resistance" e gli enormi palchi di "The Second Law" con fiamme e lanci di "musos", avete già ideato a qualche effetto speciale per il nuovo tour o magari state pensando ad una scenografia più semplice?

 

Dominic:  Lo show sarà costruito seguendo il concept. Credo che useremo qualche drone, strani oggetti volanti e altre robe simili nei nostri concerti. Ne abbiamo usato alcuni nel nuovo video di "Dead Inside" e ci è sembrata una figata. Suoneremo in un modo nuovo, mai fatto prima... non posso anticiparti nulla, ma sappi che saremo molto più connessi al pubblico. Sarà davvero un show diverso.

 

Dopo lo "Psycho tour" continuerete con date in alcuni festival, come il Rock in Roma, ma quando inizierà il vero tour per "Drones"?

 

Matt: Già quest'estate in alcuni festival suoneremo alcune canzoni nuove. Il tour vero credo che inizierà a settembre-ottobre dal Sud America per poi spostarsi in Nord America. Saremo in Italia credo intorno a marzo, non so esattamente i giorni, però ti posso dire che faremo molti shows in diversi posti. Saremo a Milano per una settimana o più.




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