Steven Wilson
The Raven That Refused To Sing (And Other Stories)

2013, Kscope Music
Prog Rock

Steven Wilson alla corte del Re Cremisi
Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 25/02/13

Dovessimo giudicare un disco dalla sua copertina, “The Raven That Refused To Sing (And Other Stories)” prenderebbe il massimo dei voti con tanto di bacio accademico. Sfido chiunque a rimanere insensibili davanti a una rappresentazione tanto evocativa, sospesa fra “Il grido” di Edvard Munch e il debut dei King Crimson. Chissà quali meraviglie, quali sensazioni promette di far scaturire un disco come questo: oscurità, tensione, tristezza, smarrimento, caratteristiche peraltro riscontrabili nella creatura principale di Steven Wilson, e ovviamente nella sua personalità. Prende dunque forma l’ambiziosa opera di sintetizzare la lezione di Pink Floyd e King Crimson, un’intenzione peraltro già manifestata col precedente disco solista. A condurre la danza stavolta è stato chiamato nientemeno che Alan Parsons, il cui passato riecheggia anche nel titolo, ed ecco che il cerchio si chiude.
 
Che Wilson sia una personalità eclettica e un ottimo esecutore non lo scopriamo certo noi, ma ormai è opinione comune che la musica sia questione di chimica, più che di fisica. Questo disco genera nell’ascoltatore le stesse sensazioni degli ultimi Porcupine Tree: perfetti nella forma, inattaccabili a livello esecutivo, ma totalmente privi di emozione. Un vizio da imputare al modus operandi dello stesso Wilson e alla sua maniacale ricerca della perfezione, allo studio nei minimi dettagli di qualunque prodotto esca con il suo marchio. I momenti topici possono essere sintetizzati nella vorticosa “Luminol” e nei suoni estrapolati con precisione chirurgica dal celeberrimo “In The Court Of The Crimson King”. Di questo revival crimsoniano, “Drive Home” costituisce il climax assoluto, un crescendo chitarristico cui è davvero difficile restare indifferenti. Per il resto fa quasi tenerezza il modo in cui Wilson scimmiotta Roger Waters nei versi iniziali di “The Pin Drop”, mentre “The Watchmaker” con il suo andamento umorale va presa per quel che è, un omaggio neanche troppo velato ai Genesis di “Supper’s Ready”. I brani restanti mantengono meno di quel che promettono titoli e durate e dopotutto non basta una cornice intarsiata a fare un bel quadro. Lo ribadiamo, da un punto di vista estetico il disco non si discute, ma da chi ha una conoscenza tanto vasta della musica è lecito aspettarsi qualcosa di più di una formale ripetizione di schemi consolidati, in attesa del prossimo deux ex machina che eguagli lo Steven Wilson di oggi.
 
“The Raven That Refused To Sing” è un disco smaccatamente pretenzioso, alla costante ricerca della perfezione formale; un pizzico di spontaneità in più non guasterebbe ma dopotutto chi siamo noi per dare consigli a un genio come Steven Wilson? L’approdo alla Corte del Re Cremisi non ha portato grandi risultati; l’ascesa al trono è ancora di là da venire e il porcospino dovrà accontentarsi, per il momento, di rimanere un fedele vassallo.




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