Steven Wilson (Steven Wilson)
Non potevamo mancare all'appuntamento con un artista del calibro di Steven Wilson, l'occasione giusta per parlare del nuovo album "Hand. Cannot. Erase.", approfondire il particolare concept alla base del lavoro e cercare di scavare più a fondo in una mente a dir poco ispirata. Ampi sorrisi, modi gentili, indole modesta, la più classica "anti-star" assurta a "stella polare" per tutta una generazioni di musicisti... Tutto questo è Steven Wilson! Buona lettura.
Articolo a cura di Stefano Risso - Pubblicata in data: 09/03/15

Ciao Steven benvenuto su Spaziorock in questa freddissima giornata milanese.

Grazie, in realtà non fa poi così freddo qui. Negli ultimi due giorni sono stato ad Amsterdam e Parigi e faceva molto più freddo ahah!

Bene, siamo qui per parlare del nuovo album “Hand. Cannot. Erase.”. La prima cosa che voglio chiederti è riguardo il concept del disco, se c’è davvero un concept. Da quanto abbiamo letto l’idea di partenza del disco è nata da un documentario che hai visto in tv su questa donna, Joyce Carol Vincent, trovata morta nella sua abitazione in totale solitudine e senza che nessuno l’abbia mai cercata.

Sì esatto, è partito tutto da questo documentario su Joyce Carol Vincent, trovata morta nel suo appartamento a Londra, il cui corpo non è stato scoperto per ben due anni. Il che è ancora adesso straordinario. La cosa ancora più bizzarra è che quando ho visto il documentario ho scoperto che questa donna era una giovane ragazza, attraente, questo ha reso tutta la storia ancor più incredibile. Ma allo stesso tempo ho cominciato a pensare a come potesse essere possibile, dal momento che lei viveva in una città, una città che io conosco molto bene, Londra, un posto perennemente impegnato, confuso, caotico e terrificante per molti aspetti. Un posto dove c’era una donna che si è autoisolata da tutto, che è scomparsa nel bel mezzo di centinaia di migliaia di persone. E in un certo senso ho cominciato a capire perchè ho vissuto a Londra per circa venti anni e non ho mai conosciuto veramente i miei vicini di casa, non ho mai saputo cosa facessero, loro non hanno mai saputo cosa io facessi, il mio nome. Mi sono tarsferito qualche anno fa qualche miglio a nord di Londra e conosco quasi tutti quelli della mia via, conosco il postino, il poliziotto… C’è qualcosa di particolare nel vivere nel cuore di una grande città, qualcosa di paranoico e pauroso se non conosci chi vive nella porta accanto alla tua. È così facile scomparire. Lei così è diventata come un simbolo di cosa significhi abitare nel ventunesimo secolo, in un’epoca supertecnologica, nel cuore di una confusa e solitaria città.

swuk0108131202Da quanto mi hai detto, la prima cosa che mi è venuta in mente è che questa storia potrebbe essere una versione moderna del concept di “The Wall”, in cui per diverse ragioni, finiamo tutti per isolarci dietro un muro. O forse è un paragone inappropriato…

No, non è proprio così, ma è una buona osservazione e sono d’accordo con te. È una questione di soggetti diversi… In “The Wall” c’è questa rockstar che ripercorre con la mente il passato, che ha perso il padre in guerra e decide di levarsi di mezzo, di isolarsi dal mondo, di diventare quasi un Messia. Ma ti posso fare anche un altro esempio più recente, andiamo negli anni 90 con “Ok Computer” dei Radiohead. Anche qui si parla di alienazione e isolazione dal mondo tecnologico del tempo. Credo ci sia una tradizione di musicisti come me che scrivono riguardo il proprio senso di paura, di isolazione, di alienazione dal mondo moderno in cui viviamo. Ma “The Wall” è molto diverso, le cose che ha scritto Roger Waters sono differenti, noi ora abbiamo internet, e internet ha cambiato tutto. Perchè ora tu puoi non essere mai uscito dalla tua porta di casa, o dalla porta della tua cameretta se sei un giovane ragazzo, e avere l’illusione di stringere rapporti con altri esseri umani attraverso Facebook, i videogiochi, Twitter, con gli sms e qualsiasi altra cosa… Quindi ora c’è questo nuovo problema, che i giovani ragazzi crescono senza mai sviluppare veramente le proprie capacità relazionali per essere in grado di fare quello che stiamo facendo ora, per parlare, dialogare, il body language… Il body language è l’80% del modo in cui noi comunichiamo. Questi ragazzi sono seduti nella loro camera e questo è il loro body language (fingendo di scrivere a una tastiera del pc sul tavolino davanti a lui. Ndr)...  Questo è il loro body language! Mettili in una situazione in cui devono avere un’interazione con altri esseri umani, con una fidanzata ad esempio, non hanno idea di come interfacciarsi con le altre persone. E questo credo sia uno dei più grossi problemi di internet, che è una bellissima cosa, lo amo, i cellulari… Amo anche il mio smartphone, ma c’è sempre un lato sinistro e oscuro che ha affligge la razza umana, in un livello più profondo del subconscio.

Sì, dipende dall’uso che si fa della tecnologia…

Certo! La tecnologia non è cattiva, è qualcosa che dipende da come la razza umana decide di usarla.

Tornando all’album, “Hand. Cannot. Erase.” è probabilmente più vario rispetto a quanto fatto in passato…

Sì, esatto.

… ci sono elementi pop, suite prog, rock, elettronica…

Metal...

… è un po’ tutto il tuo stile portato a un nuovo livello.

Sì. È stata credo una naturale conseguenza della storia. Dal momento che la storia riguarda anche l’era moderna del ventunesimo secolo, mi sono detto: “Ok, devono esserci degli elementi elettronici, suoni industrial per riflettere la città dei giorni nostri”. Ma è anche una storia che riguarda una persona dall’inizio della sua vita, quindi si ha un passaggio dall’infanzia, alla crescita, con le prime relazioni, fino all’età adulta. Credo che se vuoi riflettere la vita di qualcuno, tu devi toccare sentimenti come tristezza, gioia, melanconia, nostalgia, rabbia, paura, confusione, tutto quanto. Questo mi ha fatto subito capire che quest’album avrebbe avuto moltissimi elementi musicali, differenti stili. E in un certo senso è stato un regalo per me, perchè ho potuto esplorare tutti i lati della mia personalità musicale in un solo disco. Senza fare un casino pazzesco… Almeno spero di non aver fatto un casino pazzesco ahah.

 

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Quindi c’è un legame fortissimo tra musica e testo.

Lo è sempre per me. Il mio ultimo album “The Raven That Refused to Sing (And Other Stories)”, era basato su una raccolta di storie soprannaturali di fantasmi, storie classiche che venivano raccontate dai nonni nel diciannovesimo secolo, e ciò mi ha portato a scrivere musica “old fashioned”, diciamo vintage. Niente elettronica, nessuna modernità, nessuna felicità perchè era tutto molto malinconico, le storia di fantasmi sono di natura malinconiche, la musica si è adattata a quello che stava alla base.

Al di là della complessità del disco e delle influenze, ho trovato il nuovo album più semplice da ascoltare.

Molte persone me lo hanno già detto. Non so perchè.

Ok, più facile ma non perchè sia musica scritta o suonata in modo più semplice…

Più accessibile.

Esatto!

Più facile da comprendere. Non so davvero perchè, a eccezione forse di una cosa: c’è più gioia, c’è più luce in questo disco. Probabi,mente più di quanto ci possa aspettare considerata la vicenda di Joyce Carol Vincent. Ma devi sapere che lei è stata felice per molto tempo. Quindi c’è gioia, c’è felicità e questo potrebbe essere più facilmente… è una porta più facile da attraversare.

 

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Cosa hai portato nell’album da tutte le tue esperienze passate di musicista, produttore e ingegnere del suono?

Cosa ho portato?

Sì, diciamo che non sei solamente un musicista…

Sì, non guardo a me stesso come un musicista, mi vedo come uno scrittore e un produttore. Non mi è mai interessato diventare un musicista, cioè non c’è nulla di male, ma volevo davvero produrre la musica che volevo. Ho dovuto imparare un po’ di chitarra, di piano, di basso, ma io mi vedo come un scrittore, come un regista, per usare una metafora cinematografica. Sviluppare un’idea, chiamara a raccolta altre persone per realizzare questo viaggio musicale e questo album non è differente. Come hai detto è un insieme di molti stili differenti, è stato davvero un lavoro difficile, mi è costato otto mesi della mia vita, scrittura, demo, prove, registrazione, editing, mixing, e ora, come si fa con i film, promozione, interviste, è stato un lungo e intenso processo. Ma sono davvero affascinato da questo tipo di sfide, mi piacciono queste sfide.

Quindi stavolta hai preso tutto il tempo necessario, a differenza di quanto fatto per “The Raven That Refused to Sing (And Other Stories)”, tutto molto alla svelta…

Sì, anche se la parte dove abbiamo registrato come band è stata abbastanza breve. C’è stato molto lavoro di editing, post-produzione, manipolazione del suono, almeno altri due o tre mesi di lavoro dopo che la band aveva registrato tutto. Quindi sì. è stato decisamente più lungo.

C’è differenza nel rapporto con gli altri musicisti nella tua band, come ad esempio i Porcupine Tree, o in un progetto solista come questo?

Assolutamente. Credo che quando si è in una band devi sempre raggiungere una sorta di compromesso, che non è una brutta cosa, perchè comunque puoi conferire il tuo suond, le tue emozioni. C’è un compromesso e non devi deludere gli altri, loro non devono deludere me e io non devo deludere loro. Quindi troviamo un modo per lavorare insieme, inoltre non puoi dire alle persone quello che devono fare, questo potrebbe turbare. Quando si è in una band la cosa da ricercare è la collaborazione, io scrivo una canzone e il batterista Gavin Harrison (o chiunque sia) mi comunica la sua idea su come vorrebbe suonare la batteria nel pezzo. In una “solo band” posso dire semplicemente: “Fa come voglio io. Ti sto pagando, fa come voglio io!” Ahaha! Ok, non è proprio così, ma il punto è che comunque puoi farlo e le persone non si arrabbiano perchè lo sanno che sono state chiamate per fare un lavoro. Questo non puoi farlo in una band.

Ahah beh dal mio punto di vista sarebbe un privilegio lavorare con te a qualunque condizione… Sempre di più in questi anni grandi band, grandi musicisti, ti hanno descritto come un personaggio iconico. Senti questo ruolo?

Credo che… ok, è una scena piccola. Il mondo della musica progressive non è una grande scena è piccola. Quando ho iniziato non c’era nessuno che la stava seguendo. Ho cominciato a fare musica seguendo questo stile verso la fine degli anni 80, andavo ancora scuola e nessuno la suonava. E il fatto che col tempo sempre più band hanno cominciato a suonare prog rock, prog metal, post rock, space rock o qualsiasi altra cosa, rendendo la scena sempre più grande, mi ha dato enorme piacere. Se loro mi guardano come una sorta di ispirazione è davvero un complimento. Davvero quando ho inziato a suonare ero davvero l’unica persona, non c’era nessuno, nel 1991 era tutto Nirvana, Pearl Jam, Smashing Pumpkins e io facevo il mio piccolo rock o progressive rock. Io credo che quando persegui la tua decisione, la gente ti rispetta. Non ho mai cambiato la mia musica per compiacere le persone. Quindi ora siamo ventuno anni dopo o quello che è, e credo che la gente rispetti il fatto che io non ho mai cambiato la mia visione e se sono un’inspirazione per incoraggiarli a fare la stessa cosa ne sono molto felice.

 

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Cambiamo discorso. Ormai è nota la tua idea, negativa, nei confronti dello streaming online, ma non credi che questo potrebbe essere il futuro, o un possibile futuro, per la musica? Continuerai non rendere disponibili i tuoi album in streaming?

No… Alla fine della giornata, quando faccio musica, voglio che venga ascoltata da più gente possibile, ovviamente. Quindi non mettere la mia musica su internet potrebbe sembrare stupido per certi aspetti. Ma credo che si stiano delineando due modi differenti per ascoltare la musica: da un lato hai la musica ascoltata in internet coi servizi di strreaming, e il download non è così rilevante ai giorni nostri… Streaming, bassa qualità, la gente ascolta la musica dagli speaker dei computer, nessuna idea dell’artwork, del paclaging o della presentazione, ovviamente questo non mi piace molto, ma è una via molto seguita da molte persone. Dall’altro lato c’è un gruppo in costante crescita di ascolti ad alta qualità, inclusi i vinili. Gente che ama i vinili e il suono sorround, persone che amano il suono ad alta qualità, una migliore qualità del cd, ora possono avere blue-ray o dvd, e questo sta crescendo velocemente. Io ho notato un enorme aumento di vendita dei miei vinili nel periodo tra “Grace for Drowning” e “The Raven Tha Refuse to Sing” e credo che aumenterà ulteriormente con questo disco. Il motivo non è legato a gente della mia età ma ai giovani ragazzi che comprano i vinili. Non sono dei nostalgici dei vinili come quelli della mia età, li comprano semplicemente perchè li amano, amano l’intera esperienza fisica di avere tra le mani un artwork, leggere i testi, ecc… E li capisco perchè sono stato un teenager anch’io. Il fatto che sempre più giovani siano appassionati dei vinili lo vedo come un grandissimo segno positivo perchè i ragazzi stanno imparando che quello che ascoltano dagli speaker dei propri pc attraverso Spotify suona di merda. Credo che questi due estremi diventeranno sempre più forti e probabilmente il cd sparirà.    

Bene Steven, siamo arrivati alla fine. È stato davvero un piacere parlare con te. Lascio a te la chiusura per un saluto ai tuoi fan.

Voglio solo dire che presto farò due concerti in Italia, il primo a Milano il 30 marzo, il secondo a Roma il 31 marzo, non ricordo bene i nomi dei locali ma sono sicuro che avranno dei bellissimi nomi italiani. Se riuscite a venire, saranno due serate eccezionali.




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