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shame – Food for Worms

La pandemia ci ha reso migliori o peggiori? Domanda a cui tanti hanno provato a dare una risposta e tutti hanno miseramente fallito. Troppo complesso l’argomento, come troppo vari sono i fattori che gli girano attorno, ma una cosa – oggettiva ed innegabile – ci azzardiamo ad affermarla: la pandemia ci ha fatto pensare, e anche tanto. E se dovessimo ritrovare un esempio (musicale) lampante e vivido di tale processo di dolorosa mutazione – e di conseguente “rottura” di quella bolla che ingloba pensieri e riflessioni – quello degli shame calza indubbiamente a pennello.

“Drunk Tank Pink” (2021) nasceva in un periodo ancora nero, inghiottito da un’oscurità che spurgava dalle arrovellate righe di un sophomore più intricato e riflessivo di quel “Songs Of Praise” (2018) che ha letteralmente masticato e sputato il quintetto di South London sul main stage del rock alternativo mondiale.

E nella sua irrequietezza, il secondo lavoro aveva già mostrato che, in realtà, qualche difettuccio e qualche fragilità si nascondevano anche tra le file di un gruppo etichettato – forse troppo presto – come next big thing del rock britannico: non perchè non lo meritassero, ma perchè gli shame erano (e sono) una band di ragazzi giovanissimi che si porta appresso le difficoltà e le problematiche di un’età di cambiamento e maturazione, scombussolata e colpita dritto in petto da avvenimenti paurosamente impronosticabili.

Food for Worms” non è da meno, trasporta sulla schiena ancora qualche fastidiosa scoria, ma i cinque, capitanati da Charlie Steen, sembrano aver recuperato degli scampoli di serenità: il terzo LP per Dead Oceans scuote i pensieri, li rimesce con quell’ironia che mai ha abbandonato l’irriverente natura degli shame, il tutto filtrato e incanalato caparbiamente verso la ruvidezza alt rock piuttosto che verso la cupezza del post-punk – presente, ma in tono minore.

Photo Credits: Louise Mason

Un involucro dove custodire riflessioni, talvolta freddo e schivo (“Different Person”), talvolta scottante e imbizzarrito, come nelle sgroppate in wah della liberatoria “Six-Pack”, ovvero come ritrovarsi in una stanza dove tutti i sogni diventano realtà e niente è proibito, nemmeno “avere Pamela Anderson che ti legge una storiella prima di andare a dormire”; uno schizzato sogno di evasione (dal lockdown) ed una spassionata spinta sul vivere la vita provando a conquistare tutti gli obiettivi possibili. “Fingers Of Steel” riassume esaustivamente il meglio della band, chitarre taglienti e dal ricercato gusto melodico, la voce del frontman che scioglie le tonalità cupe a favore di una maggiore apertura, nelle strofe, ma soprattutto nel bellissimo refrain che affresca gioie e dolori di un’amicizia.

“Yankees” gioca col chiaroscuro, tra il mesto arpeggio in entrata e il fragore che si sviluppa poco dopo, “Alibis” scivola furbescamente sulla felina linea di basso di Josh Finerty, che assieme alle pelli di Charlie Forbes, scrive il pacato preludio ad uno dei pezzi più potenti del lotto, distorsione squisitamente punk che guarda indietro al primo capitolo discografico; “Adderall” e “Orchid”, invece, addolciscono il plot a modo loro, la prima con melodia elettrica, la seconda con dolci manovre acustiche che si infrangono su un outro che sfocia nel noise.

Arrivato il momento di girare il disco, però, iniziano i dolori(ni): se il lato A potrebbe considerarsi pressochè perfetto, la spenta “The Fall Of Paul” inaugura una parte finale di LP piuttosto scarna, un leggero calo qualitativo che, togliendo il buon intreccio di “Burning By Design”, si esplica nello scombussolante – e poco convincente – andamento della già citata “Different Person” e in una “All The People” che perde nettamente il confronto con una coda come “Angie”.

Esattamente come il suo predecessore, “Food for Worms” sfiora la massima grandezza e si perde in un bicchiere d’acqua. Ma gli shame ci piacciono per questo, per il loro essere imperfetti pensatori ed abili musicisti, per il loro sembrare così grandi in mezzo ad un oceano di debolezze da ragazzi. Non la loro vetta – bissare il debut sarà veramente dura – ma l’ennesimo ottimo lavoro, così divertente, così emotivo, così (velatamente) timoroso… così umano.

Tracklist

01. Fingers Of Steel
02. Six-Pack
03. Yankees
04. Alibis
05. Adderall
06. Orchid
07. The Fall Of Paul
08. Burning By Design
09. Different Person
10. All The People

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