Il "Catharsis World Tour 2018" è sbarcato giovedì scorso a Roma per la prima delle due date italiane (l'altra a Trezzo sull'Adda), in un Orion senza il pubblico delle migliori occasioni, ma comunque presente in buona rappresentanza. Il ritorno del quartetto capitanato da Robb Flynn nella capitale, tre anni dopo l'ultima apparizione nella stessa location, si è trasformato in una vera e propria maratona di thrash metal durante la quale la band americana ha sciorinato tutto il suo repertorio migliore, ovviamente con un occhio di riguardo al nuovo arrivato "Catharsis" pubblicato giusto tre mesi fa. Il tour mondiale in supporto del nono album in carriera sta seguendo infatti quello di "Blood & Diamonds" sulla stessa falsariga, ossia la formula del "An evening with".
Prima che i Machine Head entrassero in scena, ci si chiedeva cosa sarebbe stato di questo spettacolo, alla luce dei problemi alla voce di Flynn che li aveva costretti a cancellare un piccolo numero di show per precauzione (tra cui quello di Bologna). Dubbi spazzati dal grido di guerra lanciato all'attacco di "Imperium", la potentissima traccia di apertura del disco della rinascita "Through The Ashes Of Empire": al contrario delle perplessità quello che ci presenta davanti - e lo sarà per il resto del concerto - è un frontman in stato di grazia che non si risparmia mai anche quando caldo e sudore si fanno sentire pesantemente. Se ci fosse una gara di decibel i Machine Head potrebbero stare abbastanza tranquilli di finire sul podio, il muro di suono che esce dai loro amplificatori, tirati al massimo del gain sostenibile, è un rullo che schiaccia tutto quello che trova davanti.
Da un'opener all'altra, il quartetto di Oakland compie un salto nel presente con "Volatile", primo brano dell'ultimo disco in studio che, alla fine dei conti, sarà tirato in causa per sei volte. Ancora tanto pogo con "The Blood, The Sweet, The Tears" prima che Flynn si lanci in un lungo monologo filosofico sulle note di "Darkness Within", seguita da un altro pezzo di matrice più melodica come "Catharsis". E' nei due ultimi casi che si è potuto apprezzare appieno il lavoro corale al microfono con le armonizzazioni offerte da Jared MacEachern e Phil Demmel, autentico dispensatore di assoli precisissimi e sorrisi a volontà. Rimanendo in tema di melodie, la prova in sede live di "Bastards" e "Behind A Mask" conferma lo scarso appeal già dimostrato su disco, così come la mai troppo convincente "Is There Anybody Out There?". Qualche highlight individuale allo strumento permette alla band di tirare un po’ il fiato e preparasi ad affrontare la lunga volata finale che mette in rassegna cavalli di battaglia quali "Aesthetics Of Hate", con tanto di dedica a Dimebag Darrell, o la conclusiva "Halo".
Quando le braccia si intrecciano in alto nella classica foto di rito a fine spettacolo, la sensazione è che non ci poteva essere regalo più grande per i fan dei Machine Head. Non capita tutti i giorni di trovare band disposte a concedersi così a lungo sul palco, né tutte possono dirsi in grado di riuscire nel compito di mantenere elevata l'attenzione ed il coinvolgimento del pubblico fino alla fine. A Roma tutto questo è successo.
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