Machine Head
19/11/14 - Alcatraz, Milano


Articolo a cura di Stefano Risso

Erano tre anni che i Machine Head non si facevano vedere da headliner dalle nostre parti. Un periodo di tempo scandito dal clamoroso split (non propriamente amichevole) con lo storico bassista Adam Duce e dalla pubblicazione di un nuovo ottimo album, “Bloodstone & Diamonds”, che ne ha decretato il grande stato di salute e la continua fertilità di idee del leader Robb Flynn.

Chiamati a sostituire i Devil You Know, tocca ai belgi Diablo Blvd. aprire le danze. A questi simpatici ragazzoni va tutta la nostra solidarietà, trovandosi davanti, all’inizio della propria esibizione, una platea praticamente vuota, in cui gli spettatori vicino al palco riuscivano a formare giusto un paio di fila. Deve essere difficile esibirsi quando praticamente nessuno sembra interessato a ciò che stai facendo sul palco, ma a furia di insistere, il volenteroso frontman Alex riesce a far sembrare i pochi minuti a loro disposizione un concerto metal. I ragazzi infatti hanno sudato le proverbiali sette camice ma alla fine, nonostante un pubblico ancora latitante, sono riusciti a coinvolgere i presenti col loro mix di heavy/metalcore moderno e melodico. Tenaci. Altra cilindrata invece per quanto riguarda i Darkest Hour, sia per platea, potenza e presenza scenica. Il quintetto di Washington D.C. è bello pimpante, picchiando duro sin dalla prima nota con volumi decisamente alti e con un filotto di canzoni fatte apposta per scaldare i presenti (almeno i più vigorosi) a furia di moshpit e amenità varie. Mezz’ora di esibizione senza alcuna sbavatura, un metalcore/death melodico che è stato ampiamente promosso da una sala che lentamente andava riempiendosi in attesa degli headliner.

 

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Quando l’orologio segna le 21.00, i Machine Head prendono possesso del palco per dar vita a una delle migliori esibizioni che la band di Oakland ci abbia regalato in questi anni di militanza. Sin dalle prime note di “Imperium”, scelta come opener, si è subito capito che nell’ora e cinquanta seguente non ci sarebbero stati prigionieri. Potenza assoluta dagli amplificatori, “botte da orbi” in platea, una colata di metallo fuso che risuona sinistro ancora nelle nostre orecchie a oltre dodici ore di distanza. I Machine Head sono sempre stati portentosi in sede live, ovviamente la serata di ieri non fa eccezione, anzi, forse l’ingresso di forze fresche come il nuovo bassista Jared MacEachern ha dato ancor più spettacolarità alla band, e non solo. Il buon Duce era sì mastodontico e “iconico”, facendosi notare anche stando fermo, ma dobbiamo ammettere che anche il giovane Jared ha i tratti somatici giusti per non sfigurare rispetto ai compagni, oltre a offrire un contributo forse maggiore in termini musicali, con interventi al microfono sufficientemente precisi e intonati.

 

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Lo stato di grazia dei Machine Head su disco è stato riconfermato anche in sede live, con un Robb Flynn, centro di gravità dello show, mai così a suo agio nell’incitare, scherzare e intrattenere il pubblico, aprendosi delle parentesi sorridenti ed empatiche tra un brano e l’altro. Lo stesso Flynn, cantante, chitarrista e coreografo di circle-pit, ribadisce il proprio legame con l’Italia, ricordando la prima visita nel novembre del 1994 di spalla agli Slayer, e come il nostro Paese sia foriero di buone notizie per la band: anni fa scoprirono, durante una tappa Italia, di essere stati nominati per la prima volta ai Grammy, ieri sera è giunta la notizia degli ottimi risultati di vendita di “Bloodstone & Diamonds”, entrato praticamente in ogni chart del pianeta, spesso e volentieri nella top 20. Un successo assolutamente meritato, che sembra aver conferito ancor più energia ai nostri, protagonisti di uno show di altissimo livello, sporcato solamente da un paio di problemi tecnici alla chitarra di Flynn (uno purtroppo durante gli assoli incrociati di “Locust”). Una scaletta spalmata su tutta la discografia dei nostri, in modo da non scontentare nessuno, unita a una presenza scenica assoluta e alla solita perfezione tecnica (un plauso particolare a McClain e Demmel, semplicemente impeccabili), in cui non riusciamo ad estrapolare gli episodi salienti. Se proprio fossimo costretti, la bolgia durante “Aesthetics of Hate” è stata forse il frangente più “incotrollato” della serata.

Un momento incredibile per una serata incredibile, l’ennesima prova di forza live dei Machine Head, micidiali come pochi. Non possiamo dunque che augurarci che questo stato di forma di Flynn e soci continui ancora a lungo, sperando di non dover attendere altri tre anni per rivivere una serata del genere.




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