Machine Head (Robb Flynn)
In occasione del press tour per l'uscita dell'ultima fatica dei Machine Head "Catharsis", abbiamo fatto due chiacchiere con il frontman e fondatore della band, il carismatico Robb Flynn, scoprendo cosa aspetta ai fan della band statunitense per il 2018.
Articolo a cura di Isadora Troiano - Pubblicata in data: 25/01/18

Ciao Robb e benvenuto su SpazioRock.it, è un onore averti qui con noi. Vorrei cominciare con il motivo per cui siamo qui, ovvero "Catharsis", il nuovo album dei Machine Head. Come lo presenteresti al nostro pubblico e ai fan?
 

Sto dicendo a tutti di abbassare le loro aspettative riguardo alla pesantezza, c'è molto groove, c'è molta melodia, ma c'è poco thrash e questo potrebbe deludere qualcuno. Voglio essere onesto, l'inclinazione è meno heavy di quanto si potrebbe pensare, ma penso comunque che sia un bel disco, molto profondo, ci sono ben 15 canzoni per 75 minuti di disco, quindi è un bell'impegno... è tipo "Il Signore Degli Anelli" (ride, ndr). Mi piace come metafora, sono molto felice del risultato e molto fiero di questo album.

 

Ascoltando il disco, sembra essere più cupo e arrabbiato, rispetto soprattutto al vostro ultimo lavoro, "Bloodstone&Diamonds". Quali sono stati i temi principali che vi hanno ispirato durante la fase di scrittura?

 

Sai, ce ne sono molti e non abbiamo seguito un filone unico. Sono d'accordo con te, è un disco molto cupo, ci sono canzoni che esprimono molta rabbia, altre meno, però il tono generale è quello. Si parla di depressione, di dolore, però poi ci sono anche canzoni più leggere; di solito siamo una band tendenzialmente seria, ma questa volta ci abbiamo messo anche un paio di "party songs", canzoni da festa. Secondo me il metal, negli ultimi tempi, si prende un po' troppo dannatamente sul serio, si sta letteralmente accartocciando su se stesso, ma allo stesso tempo c'è troppa, direi, timidezza nell'aprirsi e parlare per esempio di fatti di attualità e per me, che ho sempre ascoltato punk, rock e rap, della musica sempre provocatoria, ci sono cose che vanno dette. Anche il titolo, "Catharsis", significa purificare, ripulire e il senso è appunto ripulirsi, liberarsi dalla rabbia, dalla depressione, dalla tristezza, ma anche liberarsi tramite la gioia, il divertimento, il sesso. Volevo che contenesse elementi negativi ma anche positivi, di bellezza e anche un po' di glamour.

 

Devo dire che si percepiscono tutti questi elementi. Parlando invece del suono di "Catharsis", sembra estremamente variegato e ricco. In canzoni come "Beyond The Pale" o "Heavy Lies The Crown" si possono sentire spunti quasi di musica classica, mentre in altre come "Kaleidoscope" c'è il groove, un po' di thrash e poi dei ritornelli molto melodici. Come avete lavorato per raccogliere tutto questo materiale e metterlo insieme senza tralasciare la coerenza che un disco dovrebbe avere?

 

Guarda, vorrei dirti che abbiamo pianificato tutto nei minimi dettagli, che ci siamo seduti lì un giorno e ci siamo detti "Ok prima facciamo questo, poi quello", ma non è così. Il viaggio, se così possiamo dire, che ti porta a creare musica ha proprio questa caratteristica per me: che non hai idea di dove andrai a finire, non è come un viaggio normale, non potrai mai sapere quale sarà il risultato finale, davvero non ne hai mai idea all'inizio. Semplicemente prendi tutto ciò che hai dentro, cerchi di canalizzarlo, provi qualcosa, la scarti, prendi qualcos'altro, per me è così che è andata con questo disco. È un lavoro molto eclettico e penso che sia questo a renderlo interessante. Se non fosse così eterogeneo e vario, non credo che sarebbe potuto essere composto da 15 canzoni. Per me è quasi come un film: deve avere la scena iniziale che cattura l'attenzione, i momenti tristi, di tutto! Ma deve esserci una storia e dal mio punto di vista la storia di "Catharsis" è articolata in tutte e 15 le canzoni che lo compongono: se ne togli una dal tutto, si perde il significato globale. Credo che non tutti siano interessati ad ascoltare un genere di musica così, al momento. Certo, ci sono un paio di canzoni più immediate, ma c'è anche molto di più che va nel profondo e penso che sarà davvero un disco che segnerà una svolta per noi. Siamo molto felici, abbiamo lavorato sodo e abbiamo creato qualcosa di cui andare veramente fieri.

 

machineheadinterv2018int1ok

 

 

Sempre parlando della struttura dell'album, colpisce la presenza di ben 15 brani, qualcosa che non tutte le band, ora come ora, fanno nei loro dischi e che rappresenta sicuramente un bell'impegno sia per voi che per i vostri fan. La domanda è: tutte e 15 queste canzoni sono state pensate per "Catharsis" o avete recuperato qualcosa da sessioni precedenti?

 

No direi di no, si tratta di pezzi che abbiamo iniziato a scrivere a settembre 2016 e che abbiamo creato in maniera molto diversa dai precedenti: abbiamo preparato, non so, tre canzoni e le abbiamo subito registrate, poi ci siamo presi un mese o due per scrivere altre tre, quattro canzoni e le abbiamo registrate e così via. È un po' una tendenza opposta rispetto al classico scrivere tutto insieme, registrarlo e chiudere e devo dire che mi è piaciuto moltissimo lavorare così. Ci ha consentito di racchiudere al meglio tutta l'energia che volevamo mettere in ogni brano e credo sia questo l'obiettivo principale di un buon disco, catturare un fulmine in una bottiglia... non so se si capisce la metafora. Registrare non rende subito tutto reale, non è come negli anni '60 quando dovevi registrare tutto in breve tempo. Per noi è stato creare questo pesante, stratificato muro di suono e questo modo di registrare ci ha aiutato nel farlo. Ciò che abbiamo voluto evitare è suonare "troppo bene" perché ai giorni nostri è facilissimo creare un suono perfetto, grazie a tutti i mezzi informatici. Non fraintendermi, io adoro ciò che i computer possono fare nella registrazione, ma c'è il rischio che questo ti porti fuori strada e renda tutto troppo "perfetto" per cui abbiamo voluto mantenere i difetti, semplici errori umani, dalle chitarre con qualche difetto alla voce più distorta a volte. Sai a volte quando riascolti dopo la produzione, sembra davvero tutto troppo bello e non mi va che sia così, ci sono canzoni per cui voglio che sembri che io stia avendo un cazzo di esaurimento nervoso. Questo metodo di registrazione ci ha consentito di fissare il momento, di catturare l'energia di quel preciso attimo, facendo tutto molto in fretta e senza pensarci troppo, tanto che a volte ci trovavamo quasi a improvvisare e a chiederci "Non mi ricordo quale parte viene dopo"!

 

È il bello della diretta! Ed è chiaro nell'ascolto che il tutto non risulta troppo lavorato, privo di difetti.

 

Esattamente! Si tratta di un disco molto dinamico, vero, così com'è. 

 

Volevo chiederti di una canzone in particolare, "Bastards". È un pezzo con un testo molto forte in cui sembra che tu ti stia rivolgendo ai tuoi due figli. C'è qualcosa nel tuo modo di scrivere testi soprattutto che è cambiato da quando sei diventato padre?

 

Si la canzone è nata da un discorso che ho fatto proprio ai miei figli il giorno dopo l'elezione di Donald Trump. L'intera canzone deriva da quella conversazione e appunto il primo verso dice "Ieri ho detto ai miei figli che a volte i cattivi vincono". Sì, avere dei figli ha cambiato enormemente il mio approccio con la musica, ma non nel senso che mi autocensuro. Ti spiego: loro sanno che loro padre suona in un gruppo metal fuori di testa, ma ti stupirò, a casa con i miei figli sono molto conservatore. Non impreco, per esempio, e come sai le nostre canzoni sono l'esatto opposto (ride, ndr.). Quindi non suono canzoni dei Machine Head in casa perché moltissime sono piene di imprecazioni e trattano temi che non sono esattamente per ragazzi. Ma loro comprendono che si tratta della mia arte. Certo quando erano più piccoli è stato uno shock per loro vedermi sul palco dire e fare certe cose. Ad esempio la prima volta che mio figlio più grande ci ha visti dal vivo, abbiamo aperto con "Imperium" e quindi dita medie in aria e varie parolacce e lui si è girato verso mia moglie dicendo "Mamma, papà ne dice di parolacce sul palco!" ed era molto sorpreso (ride, ndr.). Poi crescendo sono passati nella fase in cui mostrare il dito medio o dire parolacce era super divertente e ovviamente ho dovuto dire loro di non farlo a scuola, davanti agli insegnanti eccetera. Quindi negli ultimi show a cui hanno assistito, sempre durante "Imperium" mia moglie gli ha detto "Ok ragazzi, ora potete fare quel gesto" e loro ovviamente erano felicissimi. Non è facile bilanciare la propria vita tra la famiglia e un gruppo metal, ma avere i miei ragazzi mi ha cambiato e in positivo, ha mutato la mia prospettiva della vita e ovviamente questo si riflette sulla musica. È una sfida ed è difficile, ma è anche bellissimo. Poi ora hanno 10 e 13 anni quindi sono in un'età in cui possiamo fare delle conversazioni anche un po' più profonde, a volte mi chiedono cose davvero pesanti e spesso mi trovo a domandarmi se ho davvero tutte le risposte che cercano.

 

machineheadinterv2018int2ok

 

 

Assolutamente! Possiamo dire che i ragazzi di oggi crescono in un mondo molto diverso e molto più duro da affrontare rispetto, per esempio, ai miei tempi o ai tuoi tempi. A questo proposito: da circa un anno, almeno qui in Italia, si è cominciato a imporre misure di sicurezza molto più rigide di un tempo per quanto riguarda i concerti, intendo perquisizioni, metal detector eccetera. Questo ci ha fatto toccare con mano, per la prima volta in tanti anni di concerti, la concretezza del potenziale pericolo che oggi giorno grava sugli eventi di massa. Tu hai parlato spesso del problema, in particolare dell'eccessiva facilità di reperire armi in America. Pensi che i musicisti, in questi tempi difficili, debbano farsi coraggio e parlare di più di questo?

 

Beh dipende dal musicista. È chiaro che se il tuo gruppo fa musica, diciamo, leggera, da festa, capisci cosa intendo? In quel caso nessuno ha voglia di sentire quella roba. Nel mio caso, anche se non sono un politico e non voglio fare il presidente o il sindaco, la mia musica e le mie idee, anche politiche, non possono essere scisse. Anzi direi che musicisti come me sono ancora di più colpiti da quello che accade intorno a noi, ci indirizza, è uno dei motivi per cui scriviamo quello che scriviamo. Le band che ho sempre ammirato da ragazzino, che ne so i Black Sabbath, per fare un nome, avevano qualcosa da dire, qualcosa di importante. I Black Sabbath hanno criticato la guerra in Vietnam e cantato contro quella guerra nel cazzo di 1967, 50 anni fa, ed era anche pericoloso fare una cosa del genere a quei tempi. Allo stesso modo anche i gruppi punk o hip hop con cui sono cresciuto facevano questo, erano influenzati dagli avvenimenti dell'epoca. Quindi credo che sia fondamentale parlare di ciò che ci accade intorno e purtroppo non vedo molti gruppi rock o metal fare questo. In qualche modo il disco è stato una reazione a questa situazione, nel senso che mi sono detto "Ok, dobbiamo dire qualcosa".

 

Ok. Passiamo a un argomento più felice: il 2018 sarà un grande anno per i Machine Head, col nuovo disco e il relativo tour che vi porterà di nuovo a suonare in Italia. Qual è il vostro rapporto con il pubblico italiano? C'è qualche ricordo in particolare legato al nostro paese che vuoi condividere con noi?

 

Il pubblico italiano è speciale, lo amiamo. È l'unico che intona anche i riff ai concerti ed è troppo figo, ci da una carica incredibile. Non c'è neanche da dirlo, ma amo il cibo e il vino italiano, sono qui da un paio di giorni ed è tutto così buono, sono sempre felicissimo di tornare in Italia. Per quanto riguarda i nostri ricordi non saprei perché non abbiamo quasi mai avuto day off qui però ricordo che 10 anni fa quando siamo stati nominati per il Grammy per "The Blackening" eravamo qui a Milano ed eravamo al settimo cielo, ma due ore dopo è arrivata la notizia che il padre di Phil (Demmel, ndr.) era morto. Una vera e propria montagna russa di emozioni, però si tratta di ricordi fortissimi, nel bene o nel male, e sono legati all'Italia e alla città di Milano. E penso che in tutti i modi sia una cosa buona, che crea una connessione con un particolare luogo.

 

Sono d'accordo. Ultima domanda: mi è stato detto che al Dynamo Festival 1997 c'è stata una jam di pezzi dei Black Sabbath con membri dei Testament e dei Grip Inc. di Dave Lombardo e te alla batteria. La mia fonte era probabilmente ubriaca o fatta o ha davvero assistito a una jam di questo tipo?

 

No no assolutamente, è successo! Probabilmente l'alcol e le droghe c'erano comunque, ma si, c'è stata questa jam.

 

Quindi devo chiedertelo: le tue capacità di batterista sono presenti anche nei Machine Head? Perché insomma, qui si parla di suonare i Black Sabbath, non è certo roba da principianti!

 

Mi piace questa domanda (ride, ndr.). Si, so suonare la batteria, non che io sia un maestro, ma me la cavo abbastanza bene e in effetti scrivo molte parti di batteria per i Machine Head, raccolgo varie idee e le registro, poi ci lavoro con Dave (McClain, ndr.). Ovviamente non faccio tutto io, lui ci mette tantissimo di suo, spesso le cambia o le rielabora, però spesso lavoriamo insieme sulla batteria.

 

Grande! Ok, direi che abbiamo finito. Grazie mille per il tuo tempo Rob!

 

Grazie a te, un saluto ai fan italiani e a SpazioRock e ci vediamo ad aprile!




Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool