Black Label Society
Order Of The Black

2010, Roadrunner Records
Hard Rock

Sempre uguale a se stesso, ma sempre inconfondibile, Zakk Wylde ritorna a colpire duro!
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 29/08/10

Abituati all'instancabile prolificità di Zakk Wylde, quattro anni di “silenzio” sono sembrati quasi un'eternità. Infatti dal 1999 la 2006, il nostro ha rilasciato, con i suoi Black Label Society, un disco all'anno, senza contare i seguenti massacranti tour e la certamente non impegnativa collaborazione con Ozzy Osbourne. Un periodo di pausa che non ha riservato brutte sorprese al buon Zakk, sia sul piano professionale che personale: la separazione dal mentore Ozzy, mai del tutto chiarita e, ben più gravi, la perdita del padre e un pericoloso problema di salute (la diagnosi parla di trombosi venosa agli arti inferiori e ai polmoni, roba da rimanerci secco).

Lo Zakk del 2010 è certamente un uomo più “maturo”, dimagrito e ripulito, almeno stando alle recenti apparizioni, non più dedito alla sua dieta alcolica (bere birra come integratore persino durante il sollevamento pesi...), e per nostra fortuna, maggiormente focalizzato sulla propria musica. Non che il precedente “Shot to Hell” fosse un brutto disco, ma la sensazione che il nostro avesse bisogno di un periodo per ricaricare le pile era evidente, una pausa che potesse ridare nuovo smalto e la giusta carica alle proprie canzoni. Bene, “Order Of The Black” è la miglior risposta che i Black Label Society potessero dare, concentrando in questo ottavo album in studio, tutto quello che i fan si aspettano dalla band californiana.

Sempre uguale a se stesso, ma sempre inconfondibile, Zakk Wylde ritorna saldamente a colpire duro con la sua Les Paul, sfornando alcuni dei migliori brani mai composti. Un sound potentissimo, che riporta ai primissimi lavori dei nostri, più compatto, fatto di granitici mid tempo e sfuriate lanciate a tutta birra (è proprio il caso di dirlo), riff rotondi da far svitare il cranio a furia di headbanging, con il solito uso e abuso di pinch harmonics, pedali del wah che fumano e classici assoli funambolici. Un sempre felice connubio di maestria, sentimento e “ignoranza”, il cocktail di Mr Wylde è sempre quello, sospeso fra tradizione hard rock, puntatine heavy, pesanti influssi southern e sludge, affidando il compito di smorzare l'incedere con le altrettanto tipiche ballate, da sempre fra i punti forti di Zakk, in certi casi quasi più preferibile seduto al piano che alla sei corde.

Come avrete già intuito, le novità si fanno davvero fatica a trovare, anzi, “Order Of The Black” è certamente un album cucito addosso a ogni componente della “Black Label Family”, ma in fondo c'è davvero motivo di cambiare una formula così efficace? Certo, a voler fare i pignoli si potrebbe imputare a Zakk un certo immobilismo del songwriting, con la successione strofa-ritornello-assolo, ripetuta scolasticamente per tutta la durata del full, come del resto i suoi interventi solistici non sono certo novità per chi lo segue da un po' di tempo. Si potrebbe anche aggiungere che un musicista e compositore del suo talento avrebbe potuto fare qualcosa di più, magari rispolverare l'ispirazione del capolavoro “Book Of Shadows” e darci qualcosa di più complesso... Riflessioni che puntualmente cadono nel dimenticatoio appena ci si abbandona all'ascolto, trascinati dall'enorme vibrante passione che pervade ogni solco del disco, finalmente supportato da suoni pazzeschi ai limiti della perfezione. “Crazy Horse” e “Parade Of The Dead” erano note da tempo, destinate a comparire come classici nelle future setlist, ma non passerà troppo per familiarizzare con l'incalzante “Black Sunday”, la successiva “Southern Dissolution”, “Godspeed Hell Bound”, “War Of Heaven” o la devastante “Riders Of The Damned”. Brani diretti che arrivano dritto al sodo, quasi familiari, sinceri, la classica colonna sonora di un raduno di bikers festosi. Insomma, i Black Label Society in piena forma, tanto basta per far andare in brodo di giuggiole tutti i sostenitori.

Un lavoro riuscito in ogni aspetto, finalmente dalla tracklist più contenuta e senza i soliti punti deboli che hanno inficiato diverse passate pubblicazioni, con uno Zakk davvero imperioso dietro il microfono, aggressivo e all'occorrenza commovente (passare da “Time Waits For No One” per credere). Ottimo anche l'inserimento di Will Hunt (ex Evanescence) al posto dello storico e bravissimo batterista Craig Nunenmacher, perfettamente inserito nel mood del disco. Che dire di più: belle canzoni, emozioni sincere, coinvolgimento ai massimi livelli, suoni e voce di altissima fattura. Non saranno una novità, ma con Zakk Wylde, se questi sono i risultati, si può pure chiudere un occhio.



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