Black Label Society
Shot To Hell

2006, Roadrunner Records
Hard Rock

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 25/10/10

Il settimo album dei Black Label Society, “Shot To Hell”, è disco controverso, uno di quei lavori che fanno scatenare i detrattori e che mettono i fan davanti a un probabile passo falso di Zakk Wylde e compagni. Sempre la solita solfa? Poca energia? Troppe ballate? Poca ispirazione? Queste e altre domande, doverose, se le saranno sicuramente posti tutti durante l'ascolto.

Per incominciare mettiamo subito le cose in chiaro: “Shot To Hell” non è sicuramente il miglior parto dei Black Label Society e non si posiziona nemmeno su un ipotetico podio, troppo ampio il divario con le migliori produzioni dei nostri. Altrettanto vero è che il disco in questione è forse sin troppo bersagliato dalla critica spicciola di un ascolto fugace, avendo ormai assunto, dopo quattro anni dalla pubblicazione, una nomea di “flop” che non merita. Certo, se facciamo il paragone con il terremotante predecessore “Mafia” e il successivo (recentissimo) “Order Of The Black”, “Shot To Hell” è come un vaso di coccio tra due vasi di ferro (o meglio due fusti di birra), non così deficitario da uscire dalla morsa con le ossa rotte, ma nemmeno così solido da reggere l'urto.

I motivi per questa leggera flessione possono essere ricondotti principalmente al ritmo frenetico che, dal 1999 al 2006, il buon Zakk ha dovuto reggere, pubblicando un disco all'anno con i suoi Black Label Society oltre che seguire a ruota il madman Ozzy Osbourne in giro per il mondo. Manca infatti la giusta ispirazione e cura a cui il nostro ci ha abituato (e che sfodera appena si prende le giuste pause), confezionando brani a volte scolastici e “alla buona”, senza cioè approfondire soluzioni melodiche, riff e strutture, dando la sensazione di aver composto il tutto senza badare troppo al risultato nell'insieme, ma focalizzandosi solo brano per brano. Altra “critica” mossa a “Shot To Hell” è sicuramente la mancanza della giusta potenza dei Black Label Society, penalizzati da una produzione forse troppo morbida e soprattutto dalla preponderante presenza di ballate, in totale quasi metà della tracklist, andando a caratterizzare troppo un disco che non aveva questo intento, avendo già pubblicato un album volutamente soft e intimista come “Hangover Music Vol. VI”. Insomma, ci si aspetta di fare headbanging, non di sentire tanto pianoforte e voci delicate.

“Shot To Hell” risulta quindi un ibrido tra la consueta violenza di Zakk e il lato più emotivo del musicista americano, cosa che, unita alla già citata minor ispirazione, avrà lasciato sicuramente disorientato più di un fan. Eppure, dopo quattro anni di ascolti, è proprio l'atmosfera cupa e riflessiva del disco a spingere nuovamente a esplorare “Shot To Hell”, tanto da averlo (personalmente) rivalutato, tanto da giustificare il buon voto a fondo pagina. Tante critiche eppure un disco riesce a farsi ascoltare per quattro anni? Ebbene sì, perché giudicando l'album con un pizzico di pignoleria in meno, non mancano episodi da tramandare ai posteri, sia tra i pezzi rock classici che, soprattutto, tra le numerose ballate, in un ensemble carico di fascino, un'atmosfera quasi rilassata che alla lunga si rivela la forza del full.

Un album che può soddisfare sia chi cerca brani diretti e dal facile ascolto, come l'opener “Concrete Jungle”, che deve molto al sound di “Mafia”, “Black Mass Reverends”, l'accattivante “Give Yourself To Me”, l'ottima “New Religion” il brano in cui meglio si intuisce la fusione tra rock e sentimento, o “Devil's Dime”. Nulla di eclatante, ma estratti godibilissimi per un ascolto non impegnativo, con i soliti riffoni e assoli di Zakk ormai noti anche ai sassi. Come abbiamo detto, tanto spazio per le ballate, forse il lato più apprezzabile del lavoro, al quale Zakk pare abbia dedicato più tempo e cura nella stesura; sfido chiunque a non emozionarsi sulle note di “The Last Goodbye”, brano dal significato molto profondo, “Nothing The Same”, “Sick Of It All” (splendido il break centrale con tanto di assolo) o “Blood Is Thicker Than Water”, altra piccola perla di Mr Wylde.

Insomma, come potete leggere, le tracce degne di nota sono assolutamente preponderanti rispetto agli episodi più deboli, profilando un disco di tutto rispetto, non uno di quelli fondamentali, ma nemmeno un flop. Probabilmente un ascoltatore occasionale può essere maggiormente spinto a skippare in qualche occasione, trovando asilo principalmente nei lettori dei sostenitori più fedeli e pazienti dei Black Label Society.   



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