Anathema
The Silent Enigma

1995, Peaceville Records
Doom

Recensione di Federico Botti - Pubblicata in data: 16/09/10

Uscito nell’ormai lontano 1995, “The Silent Enigma” degli inglesi Anathema rappresenta uno dei picchi del doom metal inglese degli anni Novanta. Proprio in questa decade, infatti, questo genere ha visto il suo splendore accrescere sempre più, grazie a gruppi del calibro dei Nostri, dei Paradise Lost e dei My Dying Bride (non a caso tutti provenienti dalle terre d'Albione).

E’ difficile, per chi apprezza queste plumbee sonorità, non riconoscere il valore di questo disco e non cadere vittima della sua tenebrosa e sofferta maestosità. A livello tematico l’opera segue un canovaccio tipico (ma non per questo meno valido), in voga anche tra le altre doom band europee, riproponendo i tòpoi tipici del romanticismo ottocentesco. La forza spesso incontrollabile delle passioni, la lotta contro il destino, il titanismo, l’accettazione dell’amore come sofferenza, la sublime forza della natura sono solo alcuni dei temi che i Nostri trattano in “The Silent Enigma”. Vincent Cavanagh (da qui in avanti alla voce, dopo l’abbandono di Darren White) modula il suo cantato oscillando tra l’urlo rauco e graffiante (tra lo scream e il growl) ed una voce pulita calda e poetica. La sezione ritmica è precisa e puntuale in ogni singola traccia, con un basso pulsante ed incisivo finalmente onnipresente (opera di un ispiratissimo Duncan Patterson) ed una batteria che incede maestosa dettando lentamente il tempo. Al tutto si deve poi aggiungere il grandioso lavoro svolto da Vincent e Daniel Cavanagh alle chitarre, impegnate nell’intessere trame solenni e sofferte che sovente strizzano l’occhio a partiture d'ispirazione progressive (le stesse che di lì a poco prenderanno il sopravvento sulla componente doom, allontanando la band dal genere musicale che loro stessi hanno contribuito a rendere grande).

L’analisi del presente lavoro non può basarsi sul track-by-track: mi rendo infatti conto che, pur trovando delle vere e proprie perle, è l’album nella sua interezza a brillare di luce propria, con i pezzi che lo compongono legati da un continuum musicale e tematico che li rende quasi inscindibili. E’ anche vero, però, che non si possono non citare la splendida titletrack, pesante, cupa, tormentata dall’inizio alla fine, con le chitarre che sembrano quasi tracciare una spirale avvolgente che trascina con sé verso baratri profondi baratri dove non filtra la luce, oppure la successiva “ A Dying Wish”, con il suo attacco rabbioso quasi death che segue il teso arpeggio di chitarra. L’inizio è pacato ed etereo, sognante, come saranno gli Anathema degli album successivi, poi un lampo e l’uragano ha inizio. E’ una violenza sonora che rapisce l’ascoltatore e lo attrae a sé, culminando con l’urlo drammatico ed orgoglioso di Vincent (“Silence!”), quasi a voler rilasciare tutta la tensione accumulata fino a quel punto.

Ho sempre ritenuto “The Silent Enigma” degli Anathema la migliore trasfigurazione in chiave musicale (o meglio, in chiave metal) del movimento romantico nelle sue vesti letterarie e figurative: il disco trasuda passioni, emozioni, pensieri strazianti e desideri mai domi, esternati con il furore e la sensibilità tipiche del periodo. Nello stesso 1995 i My Dying Bride pubblicano “The Angel And The Dark River”, mentre i Paradise Lost sono alle prese con la svolta gothic di “Draconian Times”: tutti dischi eccezionali, grandi album che hanno a loro modo forgiato e/o cambiato un genere. Da qui in avanti ognuno andrà per la sua strada, e solo i My Dying Bride rimarranno realmente fedeli alla loro ricetta tradizionale a base di doom metal. Per quanto riguarda i fratelli Cavanagh, invece, altri successi li attenderanno, con album che si terranno tuttavia ben lontani dall’oscura maestosità esternata con questo “enigma silenzioso”.




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