Dark Tranquillity
Skydancer

1993, Spinefarm Records
Death Metal

Recensione di Lorenzo Brignoli - Pubblicata in data: 19/02/10

Dark Tranquillity, un nome che spesso molti collegano al capolavoro “The Gallery”; tuttavia, per questi svedesi, non è possibile ridurre la discografia, lo stile musicale, ad un solo disco, anche se si tratta di quel disco. Difatti, come ben sanno i più esperti del genere, l’eterogeneità e la capacità di variare album dopo album è una delle caratteristiche principali di questa band, che l’ha resa una delle più importanti e amate nel panorama estremo europeo e mondiale.

Non fa eccezione a questo discorso il disco d’esordio “Skydancer”, datato 1993. Qui le variazioni rispetto alle successive release dei Dark Tranquillity le troviamo innanzitutto nella line-up: alla voce infatti c’è quell’Anders Friden che solo qualche tempo dopo passerà ai cugini In Flames, alle chitarre troviamo Mikael Stanne (che dal successivo EP passerà dietro al microfono) e Niklas Sundin, al basso Martin Henriksson (lo stesso che a partire dal 1999 ricoprirà il ruolo di chitarrista) ed infine Anders Jivarp alla batteria, tutti ragazzi all’epoca ventenni.

La faccio breve: questo disco è un capolavoro. L’ascoltatore difatti viene letteralmente trascinato dall’abilità con cui i Dark Tranquillity sanno passare da momenti più puramente death metal (caratterizzati da accelerazioni devastanti e dal growl di Friden), ad altri più riflessivi conditi da chitarre acustiche e da splendide vocals femminili (opera di Annakajsa Avehall). La summa di tutto questo la trovate nella traccia migliore del disco, ovvero “A Bolt of Blazing Gold”: penso sia impossibile restare indifferenti di fronte alla classe sprigionata dai cinque di Goteborg in questi sette minuti, a qualcuno persino, come al sottoscritto, potrebbe scendere anche qualche lacrimuccia.

Delle altre tracce sicuramente va segnalata l’opener “Nightfall by the Shore of Time”, che dopo un iniziale urlo, a dir poco squarciante, prosegue in tutta la sua furia. La rabbia sprigionata dai Dark Tranquillity però non è fine a se stessa, è abilmente controllata ed esternata in riff potenti ma allo stesso tempo melodici, sottolineati da una batteria sì velocissima, ma mai predominante rispetto al resto della musica. E’ questo straordinario equilibrio tra le componenti musicali a rendere quest’album un vero masterpiece.

Impossibile non citare anche la successiva “Crimson Winds”, della quale mi sento di sottolineare in particolare la parte finale, in cui la melodia del riff portante e le vocals creano un atmosfera a dir poco coinvolgente. Straordinaria anche la più acustica “Through Ebony Archways”, in cui l’intreccio tra le voci pulite femminile e maschile (opera di Mikael Stanne), danno vita a suggestive melodie. Degna dell’epiteto “capolavoro” è senza dubbio anche la settima traccia, quella “Shadow Duet” che alcuni ritengono la migliore canzone del platter: in effetti non è possibile non restare colpiti dall’abilità con la quale i nostri riescono ad alternare la voce pulita maschile, a due growl, senza risultare banali anche ai giorni nostri, dove questo accoppiamento è tanto in voga. Come la sopracitata “A Bolt of Blazing Gold”, anche questa traccia è costituita da sette minuti di classe pura che hanno il loro apice nello splendido e trascinante dialogo in growl tra la “Voice of the Shadow of Beauty” (interpretata da Anders Friden) e la “Voice of the Shadow of Darkness” (personificata da Mikael Stanne).

Sulle altre tracce non voglio dilungarmi, se non per dirvi che si inseriscono nel modo migliore tra le altre perle contenute in questo fantastico album; una postilla però se la meritano i testi (curati interamente da Niklas Sundin e da Mikael Stanne) che, nonostante la lunghezza, meritano di sicuro una lettura. Personalmente li ho sempre trovati molto poetici e ben coordinati con la musica, anzi direi che un ascolto di quest’album unito alla contemporanea lettura dei testi potrebbe rivelarsi molto piacevole.

Quindi, nonostante una produzione grezza (anche se piuttosto buona per gli standard dell’epoca), nonostante l’inesperienza dei musicisti all’esordio, l’album è da ritenersi senza dubbio fondamentale per il genere e quindi di conseguenza obbligatorio per i fanatici del death di Goteborg, (specialmente se di quello della “prima ondata”), ma mi sento di consigliarlo anche a chi volesse avvicinarsi a questo straordinario gruppo, ad esempio agli ascoltatori abituali di Black Metal più aperti (genere che ha qualche cosa in comune con questo album), ai quali il disco in questione potrebbe piacere non poco. I Dark Tranquillity ci hanno regalato perle, una dietro l’altra e una diversa dall’altra (magari eccettuando le ultime due release), partire dalla prima della serie potrebbe essere un’ottima idea.





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