Tori Amos
American Doll Posse

2007, Epic
Indie

Recensione di Antonio Conte - Pubblicata in data: 13/03/13

Dopo la caduta di stile datata 2005 con la pubblicazione di “The Beekeeper”, Tori Amos ci riprova con quello che è senza dubbio il disco più pretenzioso della sua intera carriera: “American Doll Posse”. Sulla scia di quanto avvenuto nel lontano 1996 con “Boys For Pele”, la rossa pianista torna a parlare dell'universo femminile, non più in prima persona, ma chiamando a raccolta cinque diverse donne, personificazione di cinque divinità e cinque personalità differenti per raccontare ancora storie di amori, religione e politica. Un viaggio (forse) volutamente disomogeneo, prolisso e, alle volte, sconclusionato. Un album di cui è senz'altro più facile sottolineare i difetti piuttosto che metterne in risalto i pregi. Volendo lo si potrebbe quasi considerare come la summa di tutti i lavori precedenti riuniti in una sorta di Best Of di inediti. Le venature elettroniche del capolavoro “Form The Choirgirl Hotel” rivivono nell'ottima “Code Red” o nell'intermezzo “Fat Slut”. L'eco di “Scarlet's Walk” si fa vivo nell'iniziale “Yo George”, in “Father's Son” e “Roosterspur Bridge”, mentre la delicata “Girl Disappearing” non ha nulla da invidiare alla prima produzione della cantautrice.

A fronte di alcuni, forse pochi, ottimi brani, questo “American Doll Posse” soffre di difetti tanto palesi quanto evitabili che ne minano da un lato la qualità, dall'altro la godibilità. “Just a minute of your time” canta la Amos in “Almost Rosey”, peccato ce ne vogliano circa 80 per arrivare fino alla fine del disco, impresa che risulta ardua in più di un'occasione. Ventitre brani in scaletta sono effettivamente troppi, soprattutto considerando che con una tracklist alleggerita il risultato finale sarebbe stato decisamente più apprezzabile. Il pessimo folk-rock di “You Can Bring Your Dog” e della successiva “Mr. Bad Man” mettono davvero a dura prova l'ascoltatore, a questi poi si aggiungono il power pop di “Body and Soul” e “Beauty of Speed”, fino allo scialbo emo-rock di “Teenage Husteling”. Il difetto più lampante, però, è da ricercarsi negli evidenti problemi di produzione, troppo patinata e barocca, che finisce per far sembrare questo lavoro più un disco d'esordio di una nuova artista in cerca del facile singolo scala-classifica, piuttosto che quello di una delle più grandi voci del cantautorato anni '90. Il contributo della band che dovrebbe risultare un contorno alle fatiche musicali della nostra, finisce per essere in troppi casi decisamente ridondante, rendendo l'amato Bosendorfer più uno strumento di contorno anziché il vero protagonista dell'opera. Ne sono una testimonianza l'imbarazzante, seppur godibilissimo, country-rock di “Big Wheel”, il singolo“Bouncing Off Clouds”, o peggio ancora “Digital Ghost”.

E' però nel finale, grazie ad autentici capolavori come “Smokey Joe” e “Dragon”, che la Amos torna ad essere finalmente se stessa regalandoci due vere perle, dimostrazione concreta di quanto la rossa pianista sia ancora in grado, quando vuole, di poter creare qualcosa che valga davvero la pena ascoltare.

Se nel disco precedente si poteva azzardare a parlare di mancanza d'ispirazione, in questo caso il problema sembra, paradossalmente, quello opposto. Troppa carne al fuoco sfruttata malamente, messa a dura prova dall'ego ormai smisurato di Tori e dall'onnipresenza del marito e tecnico del suono Mark Hawley. Insomma, questo nuovo capitolo discografico non ci regala nulla di nuovo, non ci restituisce una Tori Amos in ottima forma e, quel che è peggio, ci rende ancora più perplessi riguardo il suo futuro.



01. Yo George
02. Big Wheel
03. Bouncing Off Clouds
04. Teenage Husteling
05. Digital Ghost
06. You Can Bring Your Dog
07. Mr. Bad Man
08. Fat Slut
09. Girl Disappearing
10. Secret Spell
11. Devils And Gods
12. Body And Soul
13. Father's Son
14. Programmable Soda
15. Code Red
16. Roosterspur Bridge
17. Beauty Of Speed
18. Almost Rosey
19. Velvet Revolution
20. Dark Side Of The Sun
21. Posse Bonus
22. Smokey Joe
23. Dragon

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