A tre anni da “Technology”, i Don Broco tornano con un album teso, oscuro, che grida una nuova rabbia e confida una nuova introspezione, ma senza farsi mancare il sarcasmo e l’ironia che li hanno sempre definiti. Rob Damiani, voce della band inglese, ci spiega come superare l’oscurità con “Amazing Things”.

Ciao Rob, benvenuto su SpazioRock! È un piacere averti qui. Come va? Come stanno i Don Broco?

Ciao, grazie a voi! Stiamo tutti molto bene, siamo davvero felicissimi del fatto che ora esca l’album. È stato un anno folle. Scrivere il disco è stato davvero bello, è stato un crescendo, poi essere a ridosso dell’uscita del disco e non potere suonare le canzoni dal vivo è stata davvero dura. Siamo davvero contenti che ora si sia tornati a fare concerti in UK. L’album esce venerdì (oggi, ndr) e iniziamo il tour lunedì, l’idea di suonare questi brani dal vivo per noi è bellissima, davvero.

Ne sono certa, soprattutto dopo tutto quello che abbiamo passato negli ultimi due anni, è fantastico. Ma a proposito di cose fantastiche! Come hai detto, avete un nuovo album in uscita, si chiama “Amazing Things”. Emozioni a ridosso della pubblicazione?

Siamo assolutamente pronti ora. Sai, di solito ti fai tutti i piani su come devono andare le cose nei dettagli, ma con il Covid i piani non esistono più. Il disco doveva uscire un mese fa, ma siamo stati costretti a rimandarlo. E il fatto di dover aspettare un mese in più è stato davvero pesante. Penso che a causa di questo mese extra adesso davvero non ce la facciamo più (ride, ndr), vogliamo solo che tutti lo sentano, così possiamo smettere anche di rompere a tutti su Instagram postando cose sull’album, e lasciare che le persone lo ascoltino e che se lo godano, che ascoltino la musica. Sarà un grande sollievo per noi, siamo super orgogliosi di questo disco e sicuramente porterà ricordi sia belli che brutti dell’anno appena passato. Ma ora è tutto passato, vogliamo solo far uscire questo disco e che diventi di tutti i nostri fan, che ne prendano il possesso.

Posto che è il disco è davvero fantastico, com’è possibile che un album così oscuro e teso si intitoli “Amazing Things”? (Cose fantastiche, ndr)

Il senso è che nonostante l’oscurità, e tutte le cose difficili della vita, o quelle che ti rendono triste, per me musica significa superare tutto questo, e anche quando c’è una soluzione alla fine di una canzone, ma anche di una storia, di un film che parlano di cose più oscure, o comunque che non sono necessariamente sempre felici, quella positività che trai dal fatto di aver creato una canzone da quello è una cosa molto liberatoria. Per me significa che nonostante il momento di merda che stai passando, sei ancora capace di fare cose fantastiche ed essere felice, di fare cose grandiose. Per noi il risultato di questo disco, che esce come conclusione del percorso di un anno davvero strano, 12 canzoni che amiamo davvero e che ci fanno sentire che sì, abbiamo fatto qualcosa di speciale, questa cosa ti dà la sicurezza in te stesso e la positività per andare avanti.

È ciò che ho pensato ascoltando il disco: è una serie di strumenti, di cose fantastiche, che ci permettono di superare l’oscurità, le difficoltà della vita, così come i grandi problemi della società in cui viviamo… abbiamo la musica e abbiamo tutto ciò che ci permette di andare avanti.

È esattamente così. Abbiamo sempre provato a essere il più positivi possibile. Siamo ragazzi fortunati e positivi, cerchiamo di essere positivi, e sicuramente abbiamo gli stessi problemi di tante altre persone e, accettando questo stato, senza ignorarlo, cercando di parlarne e di farlo diventare una fonte di cose positive, e non un motivo per farsi trascinare ancora più giù. Cercare di trovare il positivo nelle cose credo sia l’unica cosa che ti permette di farcela, a volte. L’album parla di questo.

Ma facciamo un passo indietro. “Technology” fu pubblicato circa 3 anni fa, un momento, un disco fondamentale nella vostra carriera. Da quel momento il mondo è andato letteralmente a rotoli. Cos’è successo alla band negli scorsi tre anni? Qual è stato il momento in cui avete iniziato a mettere insieme questo disco e a sentire l’urgenza di tornare a scrivere nuova musica?

Abbiamo iniziato durante il tour di “Technology”, il tour durava 1-2 anni, abbiamo fatto il nostro primo tour in America, non ci eravamo mai stati prima, e ci siamo tornati 3 o 4 volte nel giro di poco tempo. Credo che sia stato quello il momento in cui… quando vai oltre l’iniziale sensazione da turista in cui dici “Oh, un nuovo Paese!” – amiamo fare i turisti ed esplorare posti nuovi – ma c’è stato un momento in uno degli ultimi frangenti del tour in cui ci siamo detti “Ok, aspetta un attimo, a un certo punto dovremo tornare a casa e scrivere un album, anche velocemente”. Non ci avevamo pensato per un sacco di tempo, quindi abbiamo iniziato a scrivere un album mentre eravamo in tour, era la prima volta che lo facevamo, ed è stata davvero dura, scrivere musica mentre viaggiavamo. Non ha proprio funzionato con noi. O meglio, sicuramente da lì hanno preso vista alcune grandi canzoni, “Uber” per esempio, “Half Man Half God” che abbiamo finito una volta rientrati in UK. Ma la pressione vera, per quanto mi riguarda, derivava dal fatto di riuscire a scrivere a un livello che ci aspettavamo da noi stessi in quel momento, cercando allo stesso tempo di destreggiarci tra i concerti e la vita da tour, che a volte è molto nomade, non sai dove sarai il giorno dopo, devi cercarti cose per mangiare, ecc… questa cosa mi ha gettato davvero in uno stato depressivo perché mi sentivo di avere perso l’abilità di scrivere canzoni. E da questo è nato “Anaheim”, è nato da questi sentimenti durante questo tour. È da qui abbiamo davvero iniziato a scrivere materiale nuovo. Ecco, è un’ulteriore testimonianza del perché abbiamo voluto chiamare questo disco “Amazing Things”, perché nonostante il momento di merda che stavo vivendo durante quel tour, non essere in grado di scrivere ciò che volevo scrivere e sentirmi un fallimento, mi ha permesso in realtà di incanalare quelle emozioni. E quando siamo tornati dal tour, ho iniziato a tradurre in qualcosa di positivo quello che avevo passato, e ne sono usciti questi brani. Quindi sì, in un modo un po’ strano, tre di quelle canzoni sono nate ancora prima di iniziare seriamente a scrivere questo album. Una volta a casa, e ritrovato un po’ l’equilibrio e il flow tra di noi, mi sono reso conto che quello è ciò che mi piace del fatto di scrivere. Alcune persone lavorano bene sotto pressione, tutti hanno bisogno di sentire un po’ di pressione ogni tanto, ma per far si che noi lasciamo andare quella libertà, devi solo rilassarti, godertela e ricordarti del perché lo fai. Una volta che siamo entrati in quella mentalità, credo che alcune delle canzoni più folli come “Manchester Super Reds No. 1 Fan”, “Bruce Willis”, “Endorphines”, quelle sono state le prime canzoni che abbiamo scritto e registrato. Erano già quasi finite ancora prima del lockdown, e poi è arrivato (il lockdown, NdR) e ha cambiato i piani di tutti. E, di nuovo, ciò che ne abbiamo tratto di positivo è stato che almeno potevamo continuare a scrivere. Ci siamo detti: “Questa è una delle poche cose che abbiamo, nella quale possiamo completamente calarci, farci assorbire”. Siamo stati davvero fortunati anche ad avere qualcosa su cui concentrarci. Sappiamo quanto è stata dura anche per molti dei nostri amici. Se non sei così creativo, o se non hai tempo di dedicarti a degli hobby o a degli altri progetti perché lavori molto, e quando non hai queste cose e non puoi vedere nessuno, è davvero facile ritrovarsi in un empasse. In questo senso noi siamo stati fortunati durante il lockdown. sì, non potevamo vedere nessuno, ma almeno potevamo svegliarci, metterci al computer, tirare fuori gli strumenti e finire il resto del disco. Questa credo sia stata una cosa positiva.

Quello che ho percepito io ascoltando questo disco è anche la presenza di tanti temi che riguardano la società in cui viviamo, ho percepito una rabbia nuova, qualcosa di inedito. Ci trovo molti dei vostri elementi, delle vostre idee e concetti, ma espressi in un modo unico, senza precedenti. C’è rabbia, sarcasmo, introspezione. Credo che questo disco incarni in modo davvero accurato il momento che stiamo vivendo. Per quanto riguarda il lato più introspettivo, hai citato prima “Anaheim”, questo brano mi ha davvero colpita, perché esprime una sensibilità nuova, anche dal punto di vista sonoro. Come avete maturato la capacità di esprimere questo tipo di sentimenti?

Sì, per me, in quanto cantante, reagisco alla musica che sento. Quando sento degli accordi, un beat, un riff, qualunque cosa, mi parla in un certo modo e mi dirige verso le emozioni nelle quali voglio entrare. Quando abbiamo sentito la prima demo di “Anaheim”, scritta da Simon, eravamo davvero contenti, perché era qualcosa che non avevamo mai fatto prima. Comunicava qualcosa di davvero onesto, reale, mi ha spinto ad inoltrarmi in argomenti più seri, più personali. Mi sono lasciato un po’ andare con il tempo, ma ho sempre avuto paura di fare cose che avevano già fatto altri. Ce l’abbiamo sempre davvero messa tutta per essere originali, per definire il nostro percorso di band, e quando si tratta di testi e melodie, tendo a evitare di fare cose che penso che altre band farebbero. Quando si tratta di una canzone che parla di ansia, depressione, quel tipo di sentimenti, penso che non esista un solo musicista che non abbia scritto a riguardo, è un po’ come per le canzoni d’amore. Ci sono molte canzoni che si assomigliano e in passato dicevo sempre di voler fare qualcosa di diverso, ma quando ho sentito “Anaheim” mi è venuta davvero voglia di parlare di quello che stavo provando. Non era un bel periodo per me, avevo molti brutti pensieri e quella canzone ha fatto scattare qualcosa, era il pezzo perfetto per scrivere qualcosa di simile. Sono contento che abbiamo fatto una cosa del genere, è una delle nostre canzoni preferite dell’album.

È molto bello sentirti dire che quella canzone ti abbia dato l’input per esprimere quello che avevi dentro. Tra l’altro è una canzone bellissima.

Grazie!

Parlando delle altre canzoni, come l’opener “Gumshield”, “Manchester Super Reds No.1 Fan” e “Uber”:  sicuramente vi ci riconosco, sono molto dirette, con testi espliciti, ma in qualche modo riescono a raggiungere certi temi che sono nascosti più in profondità. Ad esempio, ascoltando “Gumshield” mi sono ritrovata a chiedermi: “qual è il mio paradenti?”. Qual è il tuo?

Bella domanda! Credo che a volte devi essere preparato a incassare dei colpi o comunque a combattere. Il brano parla di questo e nello specifico dei social media, sui quali verrai attaccato per qualsiasi cosa tu dica, faccia o pensi. Bisogna essere preparati a combattere nel proprio angolo. Questa è una cosa che applico anche nella vita vera, solo che in quel caso è più semplice interagire con una persona, online è sempre più difficile e richiede molte energie mentali. La canzone parla di questo e del fatto che vorrei praticamente togliermi da qualsiasi social media, ma questo ovviamente va in contrasto con l’essere un musicista, visto che per tutta la parte di promozione della musica, è un mondo molto importante. È un compromesso difficile da accettare [ride, nrd]. A parte questo, credo che il mio “paradenti” sia fare esercizio fisico, mi aiuta moltissimo anche a livello di salute mentale. Mi sono sempre allenato molto, ma quando ero più giovane pensavo solo a farlo perché faceva bene al mio fisico, ora invece considero quanto faccia bene alla mia mente. È incredibile quanto un allenamento o anche solo una camminata possa cambiarmi l’umore e prepararmi ad affrontare la vita di tutti i giorni.

Ho notato che il tema della lotta e del combattere è molto presente nell’album. A proposito, stavo guardando poco fa il video di “Endorphines”, spiegami questa idea à la Power Rangers?

Lo ammetto, questo è il frutto della mia fantasia da bambino di diventare un Power Ranger [ride, ndr]. C’è un verso nella canzone che dice “Mighty morphin into a piece of shit”, quando mi è venuto in mente pensavo che non avesse senso, ma l’ho trovato divertente e l’ho usato. E poi immediatamente mi è venuta voglia di fare un video con i Power Rangers. Non pensavamo di avere neanche tempo perché l’album doveva uscire prima e dopo tra tour e altro saremmo stato molto impegnati. Alla fine quando ci siamo resi conto di avere tempo per farlo ho messo giù l’idea e ho parlato con alcuni registi. Come per gli album diciamo sempre che l’ultimo video è il più bello, ma questo mi piace davvero tanto, ci abbiamo messo un sacco di passione nel realizzarlo. Se a 6 anni avessi saputo che sarei potuto diventare un Power Ranger, anche se solo per 4 minuti in un video musicale, sarei impazzito di gioia. Sono contento che ci siamo riusciti.

Quali sono le “amazing things” che ti spingono a fare quello che fai nella vita?

Questa è una bella domanda. Devo dire negli ultimi anni ho cambiato un po’ il mio modo di vedere le cose. Prima nulla era mai abbastanza, non ero mai soddisfatto e lavoravo tantissimo, soprattutto quando si parla di musica e della band. Ovviamente da musicista vuoi fare grandi show, suonare in tanti Paesi, avere nuovi fan. È ancora così, ma adesso la cosa che trovo più importante è essere felice di quello che abbiamo, senza dare nulla per scontato. Se qualcosa ti piace è importante continuare a farlo e non abbandonare le proprio passioni. Ovviamente non è sbagliato fare sempre cose nuove e cercare nuove sfide, se è ciò che ti fa sentire bene. Io mi sento fortunato perché vivo facendo musica, che è la mia passione più grande. Quindi è questo che mi spinge a dare sempre il mio meglio, fare nuova musica, nuovi video, concerti e fare contenti i fan. Anche questa è una cosa bellissima, vedere che la tua musica ha un effetto positivo su chi la ascolta.

A proposito di concerti, ho visto che in Gran Bretagna state riprendendo a pieno ritmo e la trovo una cosa fantastica, ci sono stati anche molti festival estivi. Piano piano stiamo riprendendo anche in Italia, credi che verrete anche qui più avanti?

Sì, per forza! Non voglio dire ancora nulla, perché ultimamente i piani cambiano continuamente. Dovevamo venire a inizio anno, ma poi sono successe un sacco di cose e abbiamo dovuto cambiare. È orribile quando sei sicuro che farai qualcosa, passi tempo a progettarla, ma poi va rimandata. Ma l’anno prossimo sicuramente torneremo. Non vediamo l’ora e sono contento di sentire che anche lì stanno ripartendo i concerti, ogni Paese ha i suoi tempi e i suoi modi. Anche qui abbiamo ripreso, ma ci sono anche molte direttive che la gente deve seguire. Però è davvero importante che questa comunità possa riprendere a vivere queste esperienze insieme, niente ti dà la stessa energia. Spero che si riprenda a pieno ritmo ovunque nelle prossime settimane.

Devo ammettere che guardando le foto e i video soprattutto di Leeds e Reading ho provato un po’ di invidia! Com’è stato tornare sul palco questa estate? E cose sarà tornarci tra poco per il nuovo tour?

È stato fantastico! C’era un po’ di paura perché non suonavamo da un sacco, ma gli show sono stati bellissimi. Ora arriva il nostro tour e stiamo provando un sacco [ride, ndr], ma ci divertiremo un sacco.

Grazie mille per il tuo tempo e per questa intervista. Complimenti per l’album e in bocca al lupo per il tour e tutto il resto!

Grazie mille, a presto!

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