Si ringrazia Alice Bagli per la collaborazione

Ciao Jack, bentornato su SpazioRock, sono contenta di ritrovarci dopo poco più di un anno dalla nostra prima intervista, in occasione della pubblicazione dell’album di debutto degli Snuts, “W.L.”. Un anno fa eravamo su Zoom, oggi qui, sul tourbus, di fronte a Santeria, a Milano, direi che è una situazione decisamente migliore.

Assolutamente, al 100%.


Quindi, dicevamo, ci siamo parlati l’ultima volta circa un anno e mezzo fa. Cos’è successo in questo lasso di tempo? Dev’essere stato abbastanza impegnativo.

Sì, decisamente. è stato molto difficile, soprattutto nel periodo della nostra prima intervista era tutto ancora  più difficile. Da un certo punto di vista è un pensiero egoista, ma è stato anche positivo prendersi una pausa, finire tutta l’attività promozionale per poterci fermare e concentrarci sulla scrittura e sulla creazione di nuova musica. È stata quasi una salvezza, Appena è scoppiata la pandemia ci siamo chiusi in studio ed è stato un momento davvero positivo per noi, perché stavano succedendo un sacco di cose fuori, e il mondo stava riflettendo su di noi quella frustrazione. Abbiamo discusso molto di questo con gli altri, c’erano tanti pensieri diversi e quello era il momento giusto per fermarsi a lavorare sul disco e dire “Ok, come ci stiamo sentendo?”, pensare a questo. Quindi, siamo entrati in studio, abbiamo scritto l’album molto velocemente, ed è stato davvero divertente, ne siamo davvero orgogliosi.


Il nuovo album “Burn The Empire” esce il 30 settembre. “Burn The Empire” è un titolo molto carico. Come lo prendiamo? Come un suggerimento? Un’esortazione?

Più o meno, direi che può essere interpretato in molti modi. “Burn The Empire” è anche la title track, è una canzone che abbiamo scritto tutti insieme, e per noi era davvero una canzone spavalada, sfacciata, è un brano più coraggioso rispetto al passato. Questo album nasce da alcune conversazioni, da confronti, e penso che dovremmo averne di più tutti, perché penso che i giovani siano tutti frustrati dalle stesse cose. Penso che dovremmo iniziare a condividere di più questi pensieri, dare voce a queste frustrazioni e parlarne. “Burn The Empire” per noi è molto interpretabile. Penso all’”impero” (Empire, ndt), come a una parola che si è evoluta nel tempo e non penso che sia utile evitare temi legati alla politica, e al colonialismo. Penso che un Impero esista, nel senso di strutture di potere, grandi corporate. Per noi “l’impero” è tutto ciò che ci vediamo calare dall’alto, ma abbiamo la libertà di protestare e discutere di questi temi. Volevamo essere più espliciti, onesti, coraggiosi, ecco il perché di questo titolo.

Ma prendiamo appunto la title track… Menzionate un certo Boris. Penso che abbiamo pensato tutti alla stessa persona. In questo disco parlate di temi veramente delicati, e questo è sicuramente coraggioso. Parlando di questo, come state vivendo la situazione politica del Regno Unito? Voi siete scozzesi, quindi avete sicuramente una prospettiva diversa.

Nello UK in generale non c’è una grande fiducia nei confronti dell’Europa, almeno dal punto di vista politico. I giovani, anche parlando con i nostri amici, hanno tante ansie relative a certe dinamiche politiche dalle quali non si sentono coinvolti. I giovani vogliono una società più giusta, i giovani vogliono essere ascoltati e dire la loro su ciò che vogliono dal futuro. E questo riguarda tutti i temi, dalla cultura, alla sessualià. Le persone hanno opinioni diverse su questi temi, e hanno anche tante domande a riguardo. Credo sia importante parlarne anche nella musica. La musica ha sempre avuto un impatto importante su questo genere di cose, è importante dare loro spazio.


La sicurezza con cui affrontate questi temi si riflette anche nella musica, c’è molta coerenza. Ho letto una vostra dichiarazione riguardo questo disco, nella quale dite che in “Burn The Empire” parlate di cose di cui non vedevate l’ora di parlare. Sembrerebbe quindi che con lo scorso disco non vi sentivate pronti, non era ancora il momento di parlare di certi argomenti, giusto?

Sì, certamente. In “W.L.” abbiamo lasciato più spazio alla componente emotiva, non sentivamo la necessità di dover mostrare coraggio, eravamo quasi nascosti all’interno di quelle canzoni. Questa volta ci siamo sentiti pronti ad essere più diretti, e a volte credo che basti semplicemente esserlo.

Musicalmente, ci sono molti elementi di novità in questo disco. Com’è andata la produzione?

Verissimo! Allora, abbiamo incontrato due produttori e abbiamo iniziato a parlare con loro di questo album. Sentivamo che ne sarebbe uscita davvero una collaborazione. Abbiamo lavorato ancora con Coffee, che è di Miami, e Dan, che è invece di Londra, mentre noi siamo di Glasgow, quindi posso dire che siamo stati molto fortunati a ritrovarci in questo melting pot di culture diverse, interessi diversi. Si sente che è tutto collimato nella musica. Non avevamo nessun piano, nessuno aveva un ruolo stabilito, eravamo solo tutti in studio a suonare insieme. In questo modo abbiamo trovato insieme e senza forzature la direzione in cui andare.

Ma torniamo al presente. Stasera suonate in Santeria, a Milano. Come vi sentite a tornare qui?

Fantastico, davvero. A causa della pandemia ci siamo persi veramente tante cose, abbiamo dovuto far saltare un sacco di piani. Anche la Brexit ha avuto la sua parte, e ha reso davvero difficile venire in Europa. Siamo davvero felici di tornare qui, suonare nuova musica. Stavamo aspettando questo momento da tempo.

Ti va di lasciare un messaggio finale ai lettori?

Certo! Ragazz*, abbiamo un nuovo album in uscita, “Burn The Empire”. Lo adorerete!

Comments are closed.