“I will never bother you/I will never promise to/I will never follow you/I will never bother you
Never speak a word again/I will crawl away for good/I will move away from here
You won’t be afraid of fear/No thought was put into this/I always knew it would come to this
Things have never been so swell/I have never failed to fail”

Trent’anni sono un periodo lungo che scandisce inesorabilmente il passare del tempo. È un numero fatidico, di solito nella vita di una persona è un numero che sancisce un passaggio importante nell’età, su cui solitamente si scherza sull’arrivo della vera vita adulta, sugli acciacchi incipienti, sulla fine dei divertimenti da ragazzi. Tre decadi sono tante, se pensiamo poi alle tre decadi dal 1994 ad oggi ancora di più: il mondo è cambiato e si è evoluto ed involuto talmente tante volte che sembra passato il doppio del tempo. E fa quasi specie pensare a un momento di trent’anni fa che invece è rimasto fisso, immutabile. Quel momento scolpito in una fotografia sgranata che mostra parzialmente una persona distesa su un pavimento scuro, una gamba in jeans, un braccio abbandonato, un piede calzato in una sneakers nera. Quando esattamente trent’anni fa quella foto e quell’attimo hanno fatto il giro del mondo, chiunque l’abbia vista ha percepito l’esatto frazionarsi del tempo, del prima e del dopo, la portata devastante di quell’evento. Il momento in cui un ragazzo biondo di soli 27 anni, di nome Kurt Donald Cobain cambiava il mondo della musica per la seconda volta, dopo averne stravolto totalmente l’assetto, solo 3 anni prima, con la sua band, i Nirvana, e con uno dei riff di chitarra più iconici e rivoluzionari di sempre, quello di “Smells Like Teen Spirit”.

nirvana

È l’8 aprile 1994 quando nella serra della grande villa affacciata sul lago Washington a Seattle viene ritrovato il corpo senza vita del leader dei Nirvana, tristemente solo nella grande magione ormai da quasi 3 giorni, scoperto da un elettricista. Cobain era scappato pochi giorni prima dalla clinica di riabilitazione a Los Angeles in cui era stato ricoverato, in seguito a un primo tentativo di suicidio a Roma e numerosi momenti psicotici durante i quali tutti i suoi cari hanno temuto per la sua vita. La tragica conclusione della vita di Cobain, infatti, era purtroppo attesa e temuta sia da chi gli stava intorno, coloro che giorno dopo giorno hanno assistito al declino del musicista tra problemi psicologici e sostanze, ma anche dai fan dei Nirvana: poco più di un mese prima della scomparsa di Cobain si era tenuto l’ultimo concerto in assoluto della band a Monaco di Baviera e meno di un mese prima, a Roma, il cantante aveva tentato per la prima volta di togliersi la vita, salvato in extremis da una lavanda gastrica al Policlinico Umberto I, da cui emerge l’assunzione di oltre 50 pillole di Roipnol. Eppure chi in quei primi giorni di aprile del 1994 era davanti al televisore, chi era appassionato di musica, chi ha assistito con i suoi occhi alla rivoluzione innescata da “Nevermind” ha capito subito che, con la sua morte, Cobain aveva inesorabilmente cambiato tutto. Ancora una volta.

Su di lui se ne sono dette tantissime, del resto non è facile voler semplicemente suonare con la propria band e diventare improvvisamente portavoce di un’intera generazione, una generazione stanca della retorica dei padri, desiderosa di essere libera di scegliere, cambiare, modificare quello che è stato per costruire un futuro diverso. Questi valori erano gli stessi capisaldi dell’adolescenza e la giovinezza di Kurt, un ragazzo biondo e mingherlino, nato nella profonda periferia dello stato di Washington, lontano dai luccichii delle grandi città come Los Angeles o New York e dall’ambiente dello show business. Sensibile fino all’esasperazione, amante della musica fin dalla più tenera età anche grazie all’aiuto di una zia, figlio di genitori divorziati, è come tanti creatura del benessere di una società sulla rampa di lancio che, proprio tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, quando Kurt e i Nirvana muoveranno i loro primi passi nel mondo discografico, finisce per schiantarsi e bruciare una crisi dopo l’altra. Come i suoi coetanei, Kurt vede il mondo patinato degli anni ’80 sfumare e sa nel profondo che la musica è la sola ancora che lo salverà da una società in cui non si riconosce, per questo nel corso della sua vita non smetterà mai di esprimere con testi ed accordi tutti i suoi sentimenti. Tantissimi come lui faranno la stessa cosa, prova ne è il fatto che la Seattle di quegli anni vede nascere band altrettanto storiche ed influenti come Alice In Chains, Soundgarden, Pearl Jam, Screaming Trees. Ma, senza negare alcun merito, nessuna di queste band ha avuto l’impatto deflagrante sul mondo della musica e sulla società stessa come i Nirvana e l’avvento del loro immortale “Nevermind”, con quei quattro accordi dopo i quali nulla sarebbe stato più come prima.

Lo stesso Cobain dichiarerà spesso di esserne rimasto scioccato: come poteva pensare che il suo modo di suonare, di esprimersi, persino di vestire potesse diventare così iconico? Come poteva pensarlo chiunque al posto suo? In pochi mesi “Nevermind” raggiunge le vette delle classifiche, spodestando addirittura il re del pop Michael Jackson e lasciando a bocca aperta la stessa casa discografica Geffen, che ne aveva inizialmente distribuito poco più di 46 mila copie del disco in tutti gli Stati Uniti. Spediti in orbita dal video del singolo “Smells Like Teen spirit” che la faceva da padrone su MTV, canale all’epoca popolarissimo dedicato esclusivamente alla musica, i Nirvana diventano ben presto protagonisti di un carosello infinito di interviste, live e ospitate: la stampa e i media li investono del titolo di paladini del neonato genere grunge e costruiscono ad arte dinamiche e rivalità con le altre band di Seattle, primi tra tutti i Pearl Jam. Se da un lato i Nirvana vengono incensati, dall’altro vengono additati come “venduti” alle major: fomentando un presunto ed inesistente odio tra band, come confermato già ai tempi dai diretti interessati, i media puntano a creare una polarizzazione forte tra i fan, creando vere e proprie fazioni e schieramenti che ricordano più le rivalità tra boyband che il mondo del rock.

Nirvana Album Nevermind

L’obiettivo primario era creare un prodotto vendibile e fruibile dalla massa e Kurt Cobain, Dave Grohl e Krist Novoselic, poco più che ventenni, si ritrovano al centro, idoli inconsapevoli di frotte di adolescenti, portatori della bandiera della rabbia accumulata di una nuova generazione, trend setter con le loro camicie di flanella e jeans strappati, in un mondo mediatico che li bistratta e li adora, li accusa e li osanna, mettendo sotto la lente d’ingrandimento ogni loro mossa. La portata di tutto questo viene spesso minimizzata e banalizzata nel voler voluto la bicicletta ed essere costretti a pedalare, ma l’esito dei soli tre anni successivi parla da solo. Travolto dalla spirale del successo, Cobain risponde gettandosi a sua volta in una spirale discendente fatta di abuso di droghe e problemi di salute fisica e mentale mai risolti adeguatamente, compagnie discutibili e un matrimonio oggettivamente infelice, che non lo aiuterà nel momento del bisogno estremo.

Tutto il dolore e il disagio di Cobain sono nel primo verso del seguito di “Nevermind”, “In Utero”, dal brano “Serve The Servants”: “Teenage angst has paid off well, now I’m bored and old”. Si potrebbe scadere nella retorica del successo che schiaccia, ma del resto non si può ignorare il fatto che ci siano persone inadatte al successo e Kurt Cobain era esattamente una di quelle. Cobain rappresenta ancora oggi l’emblema dell’artista di incredibile talento ma incapace di gestire le conseguenze di tutto ciò che il talento comporta: le sue liriche disperate, la sua creatività musicale sono doti rarissime e preziose ed unite al talento dei compagni di band ha portato a uno di quegli eventi irripetibili nella storia della musica ovvero la nascita di un genere del tutto nuovo. Di contro vi è la sua totale impossibilità naturale al sostenere il peso di questa paternità, forse la sua estrema ingenuità nel pensare che questo cambiamento avrebbe avuto conseguenze diverse, che il prodotto musicale diventasse il solo punto focale mettendo in secondo piano il creatore. Nel mezzo, un ragazzo di soli 27 anni e la sua vita spezzata a metà, proprio come la sua musica ha fatto col mondo.

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