Mentre, dopo due anni di assenza, ripartono i grandi festival italiani ed europei, continuano a pieno ritmo le esibizioni nei locali più piccoli, che maggiormente hanno sentito il peso delle chiusure dovute alla pandemia. Tra la ricca programmazione del Legend Club di Milano, ieri sera è toccato ai The Ocean intrattenere i fan italiani, prima di spostarsi a Bologna per l’ultima data del Phanerozoic Tour Chapter V.

L’attesa per un evento rimandato così a lungo è palpabile e fin dall’inizio della serata, sono già diverse che le persone che popolano il club. Il compito di aprire le danze, in perfetto orario, è affidato agli Psychonaut, giovane trio proveniente dal Belgio, che propone un interessante incrocio tra sludge e post-metal. Con alcuni EP e un solo full-length all’attivo, la band decide di puntare tutto su quest’ultimo, sviscerandone una buona parte nel corso della serata. Nonostante la giovane età, i tre si mostrano preparati e capaci di sparare sul pubblico un muro sonoro compatto e granitico. Harm Peters è un metronomo dietro le pelli, mentre Thomas Michiels (basso) e Stefan de Graef (chitarra) picchiano duro e si scambiano spesso il ruolo di cantante, dando anche una buona dose di imprevedibilità ai brani. Dopo circa 40 minuti di esibizione gli Psychonaut salutano un pubblico più che soddisfatto: siamo curiosi di sentire il secondo album del trio, che dovrebbe uscire entro la fine dell’anno.

Ci vogliono solo 15 minuti di pausa prima di poter vedere i pg.lost sul palco. Il quartetto svedese, ormai con un buon numero di pubblicazioni alle spalle, si sta imponendo negli ultimi anni tra le più apprezzate realtà post-rock, grazie soprattutto alla calda accoglienza riservata all’ultimo album “Oscillate” (2020). Ed è proprio da questo lavoro che viene tratta la totalità della setlist, con la sola “Terrain” a rappresentare l’eccezione. I quattro suonano e stanno egregiamente sul palco: coadiuvati da un impianto luci dall’alto tasso scenografico – a volte quasi ai limiti dell’epilessia – i pg.lost propongono il loro post-rock lontano dalla tradizione dei primi anni 2000, molto atmosferico e basato sulle tastiere e sul basso di Kristian Karlsson, con le chitarre di Gustav Almberg e Mattias Bhatt a formare un rumoroso, ma ordinato canovaccio. Basta meno di un’ora alla band per dimostrare quanto sia meritato il loro status.

Perdonateci lo stereotipo forse leggermente abusato, ma chi era presente ieri sera al Legend (e in generale ad una delle date di questo tour) potrà confermarlo: non tutti i supereroi indossano un mantello. Alcuni si rompono entrambe le gambe in un tentativo di stage diving finito male, vengono operati e dopo neanche tre mesi sono di nuovo sul palco a cantare e urlare con stampelle e tutori. Aldilà di una performance – anticipiamolo – ai limiti della perfezione, quello che lascia senza parole è l’attitudine e l’incredibile caparbietà del cantante Loïc Rossetti, che dopo poche settimane di recupero da un infortunio serio, regala una da applausi performance ed è incontenibile nonostante i movimenti apparentemente limitati.

Ma per quanto simbolica e significativa, non sarebbe corretto limitare le parole alla performance del frontman: i The Ocean salgono sul palco del Legend (dopo qualche problemino tecnico che ha fatto trattenere il fiato e rilasciare qualche imprecazione ai presenti) in versione macchina da guerra. Troppo tempo è passato dall’ultimo bagno di folla tricolore per la band tedesca e i sei non tengono minimamente a freno la loro energia sul palco fin dall’esplosione centrale di “Triassic”, che dopo il magnifico crescendo iniziale, trasforma il locale in un catino ribollente. Seguono “Silurian” e le due “Bathyapelagic”, devastanti dal vivo ancora più che in studio. La setlist viene oscurata quasi interamente dall’ultimo “Phanerozoic II” e la scelta non può che rivelarsi più azzeccata: probabilmente anche la band sa di aver pubblicato un autentico gioiello, che spazia tra le emozioni del post-metal, la violenza dell’hardcore e i tecnicismi prog e dà giustamente largo spazio ai brani dell’album, che dal vivo acquistano, se possibile, ancora più vigore. Da segnalare anche la fantastica esibizione di “Permian”, brano fortemente amato dal pubblico.

Ma se già nella prima parte dello show, la temperatura è altissima, il tasso di energia diventa quasi insostenibile nell’encore. “Holocene” vede l’ottima performance vocale del batterista Paul Seidel, mentre per la devastante “Palaeocene” i The Ocean invitano sul palco Stefan De Graef degli Psychonaut, che duetta con un indiavolato Rossetti. Il cantante, dopo un’ora a sgolarsi seduto sullo sgabello, si alza in piedi e dà spettacolo iniziando a saltellare da una parte all’altra del palco, muovendosi con l’aiuto della stampella e concedendosi anche uno stage diving – questa volta finito bene – sul finale di “Jurassic | Cretaceous”, forse il brano migliore dell’ultimo album. Sembra tutto finito, ma dopo essere stato richiamato a gran voce dal pubblico, il sestetto torna sul palco e saluta definitivamente i fan italiani con “Firmament”.

Rimane poco da aggiungere dopo uno show di tale livello tecnico e intensità. Forti degli oltre 20 anni di carriera, incarnati dal fondatore Robin Staps e scanditi da diversi cambi di genere e line up, i The Ocean del 2022 portano sul palco una performance magistrale sotto ogni aspetto. Impossibile rimanere delusi davanti a questa perfezione.

Setlist

Triassic
Silurian: Age of Sea Scorpions
Bathyalpelagic I: Impasses
Bathyalpelagic II: The Wish in Dreams
Miocene | Pliocene
Oligocene
Permian: The Great Dying
Pleistocene
Holocene
Palaeocene
The Carboniferous Rainforest Collapse
Jurassic | Cretaceous
Firmament

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