Foto di copertina: Grzegorz Gołębiowski

Una carriera di più di 40 anni e 17 dischi all’attivo non è qualcosa in cui ci si imbatte tutti i giorni, così come quella voglia di continuare a macinare musica nonostante lo scorrere del tempo. Gli Accept sono questo e tanto, tanto altro ancora. In occasione della release di “Humanoid“, il loro ultimo album in studio (di cui potete leggere la nostra recensione cliccando qui), abbiamo avuto la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con Mark Tornillo, il carismatico frontman della band tedesca. Con grande simpatia e disponibilità, il cantante si è esposto sul processo creativo che ha portato al diciassettesimo disco dei teutonici, sul futuro della band e di quello della musica che noi tutti amiamo.

Cominciamo a parlare del vostro ultimo disco. Se “Too Mean To Die” ha voluto lanciare il messaggio che nemmeno la pandemia ha potuto abbattere gli Accept, “Humanoid” ha dei contenuti totalmente diversi. Quali sono, secondo te, i più grandi pericoli della tecnologia?

Il più grande pericolo della tecnologia è che potrebbe spazzarci via tutti. L’intelligenza artificiale è uno strumento, così come un martello: posso usarlo tanto per battere su un chiodo tanto per suonarlo in testa a qualcuno. È tutto nelle mani di chi fa uso di quello strumento! Il discorso sulla tecnologia è identico: può essere usata sia per il più nobile degli scopi – ci sono persone paralizzate che, tramite i computer, possono parlare o muovere i loro arti – che per chissà cosa. Per me la cosa più spaventosa è che l’intelligenza artificiale può scrivere testi, può scrivere musica, può creare musica senza che ci siano musicisti: dove andremo a finire? Il più grande pericolo è che cosa accadrebbe se l’IA si sviluppasse senza limiti e decidesse che noi esseri umani non siamo più necessari. Questo timore è stato alla base di tanti film sci-fi, ed è un concept tanto interessante quanto spaventoso.

Quindi credi che la tecnologia sia il pericolo reale? Oppure il vero pericolo risiede nell’utente?

Gli esseri umani sono il vero pericolo, in quanto utilizzatori della tecnologia.

L’album si presenta perfettamente in linea con gli ultimi dischi della band, con Andy Sneap che, in veste di produttore, è riuscito a catturare l’essenza del gruppo e a darle un tocco di modernit. Quanto siete contenti del suo lavoro? Credete di andare avanti con lui anche per il prossimo disco?

Non vedo perché no, amo lavorare con Andy! È stato il produttore ed il sound engineer di tutti e sei i dischi che ho registrato con gli Accept; sono un grande fan del suo lavoro e lui è un buon amico.

Credi che Andy Sneap abbia aiutato gli Accept a trovare il loro sound attuale?

Senza dubbio è stato di grande aiuto nella ricerca del nostro nuovo sound. Quando stavamo registrando “Blood of the Nations”, ci occupavamo solo del songwriting: non avevamo un produttore, né una label, né un contratto discografico, non avevamo praticamente nulla! Quando Andy ha ascoltato ciò a cui stavamo lavorando, ha detto un sonoro “No!”, spingendoci a riascoltare i vecchi dischi della band. Lui ha veramente cambiato il corso della scrittura del disco. D’altra parte, nessuno di noi aveva scritto un album da tanto tempo: l’ultimo disco degli Accept risaliva a 14 anni prima, mentre l’ultimo dei TT Quick [la precedente band di Tornillo ndr] era del 2000. Andy ha contribuito veramente tanto a dare una forma a ciò in cui ci stavamo addentrando, e lo fa ancora oggi.

Una delle impressioni che si ricava ascoltando “Humanoid” è la presenza di brani che sembrano proprio scritti per essere suonati dal vivo. “Diving Into Sin”, “Man Up”, “Unbreakable”, la title track: quanti di questi pezzi verranno portati in sede live?

Se fosse per me, li suonerei tutti! In questo momento stiamo facendo le prove per eseguire il disco dal vivo, concentrandoci su pezzi come “The Reckoning”, “Frankenstein”, “Straight Up Jack”, “Ravages of Time”. Probabilmente ne aggiungeremo anche altri: il disco uscirà a breve, e vedremo quali saranno le reazioni del pubblico. “Unbreakable” è un pezzo perfetto da suonare ai festival, ma vediamo anche che cosa ne pensano i fan.

Parliamo di “Unbreakable”. Sarò sincero con te, molte band fanno pezzi simili, che finiscono per celebrare banalmente la loro carriera. In questo caso, però, il riferimento principale del pezzo sembrano proprio quei metalhead che, negli anni, vi hanno sempre sostenuto. Approfondiremo meglio il discorso nelle prossime domande, ma questa canzone riflette anche lo stato della band?

Spero di si! Ce la stiamo mettendo veramente tutta. La canzone è un inno, come lo era “Pandemic” [di “Blood of the Nations” ndr] parla più dei nostri fan che non di noi stessi. Viaggiando per il mondo, città per città, concerto dopo concerto, festival dopo festival, quando iniziamo a vedere persone con magliette nere e capelli lunghi, ci viene ancora da esclamare “Ecco la nostra gente!”. Essere un metalhead non è qualcosa che va via con l’età, è un modo di vivere.

A proposito dei fan, credi che la pandemia abbia cambiato qualcosa nel pubblico metal?

Non è che sia veramente cambiato qualcosa. La pandemia ci ha rallentato per un po’, è stato un periodo molto duro, ma siamo tutti tornati molto più forti di prima.

Spostiamoci su uno dei pezzi che mi ha maggiormente colpito: “Ravages of Time”. Se Unbreakable parla di qualcosa che sembra indistruttibile, quest’altro pezzo invece afferma che nulla è immune allo scorrere del tempo. Come mai un pezzo così malinconico? Te lo chiedo perché, da ascoltatore, mi è sembrato il momento più intimo del disco.

Lo è assolutamente! Wolf [Hoffmann ndr] ha iniziato a scrivere la musica, concentrandosi sulla tematica del diventare più vecchi; quando siamo andati in studio a registrarlo, il brano non era stato modificato più di tanto, ho giusto cambiato qualche verso, rendendo tutto più cantabile. Ho veramente adorato cantare questo brano, anche perché rappresenta la verità attraverso cui tutti prima o poi passiamo.

Sempre parlando di questo pezzo, la tua voce calza a pennello con le tematiche trattate, come se sentissi tuo ogni singolo verso. Hai preso ispirazione da qualche tua esperienza personale?

L’unica fonte di ispirazione di cui ho avuto bisogno è stata guardarmi allo specchio! [ride ndr] Purtroppo le cose stanno così, sto diventando vecchio, ma il pezzo può riferirsi a praticamente chiunque.

Spostiamoci su di te. “Ravages of Time”, secondo me, rappresenta la tua miglior performance su “Humanoid” e ci dà l’occasione per ricordarci sono oramai passati 15 anni dal tuo ingresso negli Accept: quali sensazioni porti con te dopo tutto questo tempo?

Volendo usare i titoli dei pezzi da te citati, mi sento vicino sia ad “Unbreakable” che a “Ravages of Time”, ma credo funzioni così per tutti: certe volte ti svegli ti credi indistruttibile, mentre certe altre volte pensi al fatto di star invecchiando. Mi sento enormemente grato per tutto quello che è accaduto nella mia vita: sono molto fortunato a fare il mestiere che faccio. Ho sempre fatto tesoro di ogni esperienza, cercando di migliorare costantemente; non si è mai troppo vecchi per imparare qualcosa di nuovo. Alla fine, usi la tua esperienza per fare tutto al meglio.

Cosa ti spinge, dopo tutto questo tempo, a continuare a fare musica? Dove trovi l’energia per continuare a comporre? E che cosa credi che spinga gli Accept a continuare a scrivere nuova musica?

Credo la musica sia qualcosa che hai nel sangue. Il processo di composizione ha la stessa importanza del momento dell’esibizione dal vivo, non può esistere l’uno senza l’altro. Non potremmo mai ritenerci soddisfatti dalla semplice riproposizione dei vecchi pezzi, io non vorrei mai una cosa del genere, ma credo che il discorso valga anche per gli altri membri della band. Abbiamo composto questo nuovo disco, vediamo che cosa ne uscirà fuori, ma io sono già pronto a scrivere il prossimo!

Spostiamoci sugli Accept come band. Da giornalista, non è possibile non notare quante band che hanno fatto la storia del rock e dell’heavy metal stiano appendendo gli strumenti al chiodo. Speriamo tutti che gli Accept abbiano ancora tanti anni di carriera davanti, ma come ci si sente ad essere parte di una grande generazione che si avvia sul viale del tramonto?

È una domanda difficile! Non credo ci sia mai stata una generazione come quella che hai menzionato, né ce ne sarà mai un’altra simile. È difficile prevedere che cosa accadrà dopo che tutte queste band avranno smesso di suonare, ma mettiamola così: il metal non scomparirà. Là fuori ci sono tante band molto valide che continueranno a suonare questo genere di musica. Ogni giorno ci sono gruppi che smettono di suonare, ma c’è anche chi tiene duro: i Judas Priest hanno appena pubblicato un disco grandioso, gli Scorpions continuano ad esibirsi. Siamo soggetti allo scorrere del tempo, ma ci siamo ancora!

Con una carriera lunga oltre 40 anni, che cosa credi che gli Accept abbiano dato alla scena musicale? Avvertite un senso di responsabilità per il futuro della musica metal?

Sì, in qualche modo. I classici degli Accept hanno contribuito tantissimo a dare forma alla musica metal: se non fosse stato per “Fast as a Shark”, probabilmente oggi non avremmo il thrash metal! L’impatto della musica degli Accept è stato veramente profondo, è speriamo lo sia ancora a lungo.

Per concludere, quali sono i piani futuri per la band? Avete tour in programma? Pensate di passare per l’Italia?

Lo spero! La questione riguarda più i promoter e le agenzie di booking che noi come band. Noi saremo in tour per tutto l’anno, dalla prossima settimana fino alla fine di Novembre; presenzieremo anche l’Hellfest 2024 ed il Wacken 2024. Ci sono ancora dei buchi da riempire, ma le date in programma sono già moltissime: decisamente non sarò molto a casa. Ma speriamo di passare presto anche per l’Italia!

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