Angra
Aqua

2010, SPV
Power Metal

Ritmi tribali e una dose massiccia di metallo pesante.

Recensione di Gaetano Loffredo - Pubblicata in data: 21/09/10

Il cambiamento degli Angra, che dopo "Aurora Consurgens" si sono rinchiusi in una lunga pausa di riflessione, è ancora in atto. Le novità più evidenti, oggi, si profilano sotto forma di un nuovo team di ingegneri che ha lavorato sulla produzione di "Aqua", dalla scelta di auto-finanziarsi ed occuparsi di ogni fase inerente il mercato brasiliano e dalla sostituzione dell’art concept Isabel de Amorim (che resisteva dai tempi di “Fireworks”) col web designer Gustavo Sazes, già responsabile del sito ufficiale della band. Ma se parliamo di musica beh, non ci sono rilevanti innovazioni che stravolgono il senso della carriera del gruppo.


Gli Angra ripercorrono il sentiero già battuto dal disco rilasciato quattro anni fa, proponendo un power metal tecnico, votato alle facili melodie, strutturato però in modo più essenziale, pratico e meno complesso. I richiami al passato di "Holy Land" tornano ad essere evidenti come accadde con "Rebirth" o, in modo più lieve, con "Temple Of Shadows". Riferimenti inconsci con molta probabilità, perché l’attrazione che li spinge a quell’immortale capolavoro è da ritenersi genuina: si parla di ispirazione e mai di plagio.


Per un risultato perfetto occorrono prestazioni consone dal punto di vista strumentale, e Kiko Loureiro con le sua chitarra è sovrumano, ma anche dal punto di vista vocale, e qui i difetti di Edu Falaschi affiorano in superficie: il ragazzo viaggia a rendimento alterno, sfoggiando una grande personalità su alcuni brani ma eccedendo su altri, fornendo una prova elegante ma discontinua. Ad alcune tracce impalpabili (“Weakness of A Man”, “Ashes”), si affiancano composizioni di una certa caratura, che quasi sempre coincidono con un rallentamento dei ritmi e quando subentra la chitarra acustica: da ascoltare con attenzione “Lease Of Life”, “Spirit Of The Air” e “A Monster In Her Eyes”. Non a caso, i pezzi veloci migliori sono stati inseriti a cascata dopo l’intro sinfonica (perfettamente inutile quest’ultima), “Arising Thunder” e “Awake From Darkness”, il primo è un up tempo canonico ma dotato di ottimi spunti oltre che di un ritornello efficace, il secondo un esempio di grande gusto per la melodia unito a quello slancio tecnico che è il tratto distintivo degli Angra più recenti.


Aqua non delude le attese ma nemmeno si distingue per meriti specifici. Stiamo parlando di una proposta disimpegnata e quasi mai superficiale, anche se è ormai chiaro che la formazione paulista, dopo gli ultimi dischi, va inserita nella categoria gruppi “uno dei tanti”, a differenza del periodo "Holy Land", quando navigava a vele spiegate nella categoria “capisaldi del metal”. Questo è quanto.





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