Sonata Arctica: il track by track di "The Ninth Hour"
Il nostro dettagliato racconto dell'ultima uscita di Kakko & Co.


Articolo a cura di Costanza Colombo - Pubblicata in data: 20/09/16
Nona ora e nona pagina dello straordinario viaggio in musica verso quell'incontaminato angolo del pianeta dove è possibile sognare sulla scia delle suggestioni scaturite dall'ancora valida vena creativa di Tony Kakko e dei suoi Sonata Arctica. Se non vi lascerete scoraggiare dall'iniziale difficoltà nell'assorbire ogni passaggio della variegata tracklist di "The Ninth Hour" verrete premiati da una nuova (ma al contempo familiare) scarica d'adrenalina e struggenti emozioni Made in Finland. L'attesa è stata ripagata.
 
 
Closer To An Animal: Sebbene ad una primissima impressione il singolo che ha lanciato "The Ninth Hour" sembri un po' spento e macchinoso, con i dovuti tempi prenderà quota e si rivelerà all'ascoltatore per quello che è: dannatamente melodico. Si tratta di un brano decisamente in linea con lo stile della band con una splendida melodia innescata dalle tastiere di Henrik Klingenberg e ripresa più volte da un Tony Kakko in ottima forma. Non particolarmente ispirato il testo dedicato all'eterna lotta ecologica nel quale il male (l'uomo) sta prendendo il sopravvento sul bene (la terra).
 

Life: Tipica espressione del più tradizionale sound dei Sonata, si apre con un attacco strumentale coinvolgente per poi ingranare a tutti gli effetti dopo un minuto e mezzo. Sebbene il pezzo non spicchi particolarmente per originalità, riproponendo vari elementi già ben noti ai fan della prima ora (basta citare la cantilena a corredo del ritornello e l'assolo di tastiera a metà brano che ha qualcosa di già sentito), il secondo singolo estratto si lascia comunque perdonare grazie alla melodia accattivante e alle sempre piacevoli linee vocali di Kakko. Incentrata sull'importanza dell'amicizia, tema da sempre fondamentale per Kakko, è di certo una delle tracce più facilmente assimilabili dell'ultima release.

 

Fairytale: Il primo minuto scarso sarà sufficiente a riaccendere la speranza dei nostalgici del power metal di inizio carriera, lo stesso che sembrava essersi diluito col trascorrere degli anni e totalmente latitante in "Stones Grow Her Name". E' infatti il piglio movimentato di questa traccia, che ancora una volta ricorda le vecchie glorie del passato, ad aggiungere quanto mancava al disco per decollare. Curiosa la coincidenza del titolo con l'altrettanto terza "Ain't Your Fairytale" del 2004. Se ne consiglia in particolare quanto segue alla cascata di tasti alla "Champagne Bath" di "Winterheart's Guild" e che si sviluppa al meglio prima di sfumare sulle stesse note cristalline che l'avevano introdotta.

 

We Are What We Are: Realizza una piacevolissima decelerazione tra due delle tracce più vivaci dell'album. Il pezzo sorge con una dolcissima parte strumentale ricamata attorno a flauto e chitarra acustica per poi svilupparsi sulle linee vocali di Kakko che incanta ancora una volta con una delle migliori canzoni di questa uscita. Incentrata sul rapporto conflittuale dell'umanità con il pianeta Terra, come lo stesso ha tenuto a sottolineare in uno dei videoclip promozionali per "The Ninth Hour", è il più recente tentativo del cantante sensibilizzare l'ascoltatore ad un'altra delle tematiche a lui più care. Impregnata della consapevole rassegnazione esplicitata dal ripetuto: "We should save our world/but we are what we are" si guadagna ad ogni modo un posto tra i più apprezzabili lenti della band.

 

Till Death's Done Us Apart: "Once upon a time there was a boy who wrote a fairytale... but everything would go wrong". Perfetto equilibrio tra la "Don't Say A Word" e la "Juliet" ha il carattere della prima e l'eleganza della seconda senza scadere nella medesima vena melodrammatica. Il ricorrente leit motiv dell'amore sofferto ("you never should have loved me"/"won't you bleed for me?") viene stavolta realizzato dalla limpidezza delle tastiere e dalla melodia incalzante di un brano capace di sprigionare la straordinaria energia che ha contribuito alla meritata fama dei Sonata. Nuovo esempio di filastrocca spezzata, narrata dalla stessa voce di "The End Of This Chapter", non potrà che farsi adorare dai fan rimasti delusi dalla seconda metà della produzione della band. Fantastica: se ne segnala la conclusione affidata ai cori in controcanto.

 

Among The Shooting Stars: Dal sereno frinire dei grilli al ringhio feroce di un lupo ("There was a night / the moon full and bright / there was a howl closer and closer / there was a scream... there was a bite!") se non altro a livello lirico, il brano si rifa alla maledizione già centrale nella celeberrima "Full Moon". Dopo un mezzo minuto in antifona, la traccia introduce la melodia che accompagnerà la narrazione di una vera e propria fiaba, l'unica del disco. Squisita serenata a quella luna che separa i sognatori solitari dal mondo dei mortali. Piacevolissimo giro di carillon dedicato al cuore del vero amore: "if you cannot save me, I need you to slain me". Notevole il testo di quella che, come dichiarato dello stesso autore nella nostra video-intervista, la considera una delle più belle melodie che abbia mai scritto...

 

Rise A Night: Bastano tre secondi di ritmo concitato per esaltarsi al cospetto del più degno episodio di buon vecchio power finnico dell'intera tracklist. Senza dubbio la più immediata di "The Ninth Hour", le scariche di tastiere e la cavalcata di batteria non l'avebbero fatta sfigurare nel beneamato "Silence" il cui sound è ricordato dall'assolo centrale. Adorabili le parti corali, complice la semplicità del testo, verrà già da canticchiarla dopo il primo ascolto. Difficile non rimandare la successiva per ripartire al galoppo dedicandole almeno un altro ascolto. Non potrà che essere un sing-along assicurato in sede live.

 

Fly, Navigate, Communicate: Se le ultime due uscite dei Sonata erano state costellate di canzoni che tradivano la voglia di sperimentazione di Kakko, questa settima traccia non è da meno. Stavolta però il risultato è indiscutibilmente migliore. Il "For once I am doing things right" a 2:40 introduce al cuore pulsante della traccia che, dopo essersi spinta a largo rispetto al convenzionale, torna su lidi più classici per la band con un'esplosione di batteria e una planata di tastiere che descrivono fedelmente quanto immaginato dall'autore: "the sea is on fire".

 

Candle Lawns: Ecco la ballad da accendini. Ormai quasi sul finire della scaletta, Tony e il suo "purple heart" si estrinsecano nel tradizionale brano nostalgia. Il risultato è così apprezzabile, e a tratti toccante, che si può probabilmente chiudere un occhio su quanto la parte strumentale riecheggi la storica "Tallulah" e "Under Your Tree". Si inizia appunto con un minuto buono in cui la fanno da padrone le chitarre che sembrano cantare sullo sfondo delle tastiere, ancora una volta fondamentali, per poi affidare alla melodia uno di quei suoi testamenti in musica che Kakko aveva giàiniziato ad esprimere in tracce come la "The Last Amazing Grays" di "The Days Of Grays".

 

White Pearl, Black Oceans Part II - "By The Grace Of God": Basta sentire l'accenno di orchestra coprire gradualmente il fruscio della risacca prima, e la tensione del cordame poi, per farsi trasportare dalle note, tra le più amate, sulla scogliera dove era naufragato il vascello già protagonista dell'artwork di "Reckoning Night". Si torna quindi ai piedi del faro che aveva tradito lo scafo della "White Pearl" in una notte comunque indimenticabile: "Memories... I used to have a home in the light". Stavolta l'atmosfera è più pacata, carente della sontuosità della composizione di 12 anni prima ma comunque in grado di emozionare tutti coloro che la attendevano a gloria. Sebbene la parte I resti impareggiata, (scordatevi purtroppo un passaggio alla "All on board the White Pearl have died / Coastal reef have tolled their lives") nel suo piccolo, la parte II darà comunque I brividi a 3:10 e rincarerà la dose nel minuto successivo.

 

On the Faultline (Closure To An Animal): La chiusura del disco è realizzata dalla disarmante sincerità di questa traccia ispirata al medesimo archetipo della "Larger than Life" che parimenti concludeva "Pariah's Child", stavolta spoglia di qualsivoglia teatralità. L'indescrivibile dolcezza della voce di Kakko, quella che quasi si spezza nel chiedere "When I am without you / am I the only human here?" edulcora la malinconia insita in molte delle sue tracce più intime: "Here I stand and look at my life, barren cold and incomplete". Proprio in questi ultimi cinque minuti e mezzo Kakko esprime le proprie riflessioni sull'esistenza, impressioni e ricordi sul fragile confine di quel palco dove si esibisce da ormai quasi vent'anni, sul filo di quel sipario prossimo a calare fino al prossimo episodio di una delle saghe scandinave più amate d'ogni tempo.





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