Sto a suda’ pure le emorroidi!

Quale espressione più icastica, efficace e conforme al cruento contesto, emessa dal vocione del bassista e singer Alessio Pacifici quasi al termine di una performance al cardiopalma dei suoi Dr. Gore, per descrivere il clima, in tutti i sensi arroventato, che si respirava all’interno del Traffic Live Club la sera di mercoledì 26 luglio? D’altronde, nessun fanatico di quel metallo della morte tecnico e brutale di matrice statunitense che molteplici gioie adduce ai timpani, poteva macchiarsi dell’onta di trascurare un bill estivo di gustoso lignaggio, tra le nefande e italiche imprese di Reaping Flesh e Dr. Gore e le analisi socio-politiche rigate di sangue e pregne di chirurgica ultraviolenza dei Dying Fetus. La band del Maryland, assente dalle nostre latitudini dal 2017, ha scelto, a mo’ di ricompensa dopo cotanta attesa, di dare avvio, dopo la data di rodaggio allo sloveno Tolminator Metal Fest, al Summer Europe Tour 2023 proprio da Roma, battezzando la Città Eterna con l’acqua venefica del proprio death-grind iridescente e che trabocca, da sempre, di un groove roccioso e assassino.

I battenti aprono alle ore 20.00 e, dalla lunga fila che si profila all’ingresso, emerge chiara sia la percezione del sold out sia l’impressione che il lotto degli uditori, oltre ai soliti volti noti, comprenda una cospicua fetta di adolescenti e giovanissimi, addirittura con qualche presenza ancora più imberbe, rifocillata di liquidi da mamme ansiogene che girovagheranno senza meta, poi, negli angusti e appiccicaticci labirinti del locale. Stupisce in positivo, dunque, la bassa età media del pubblico, anche se alcuni ragazzi sembravano partecipare all’evento a puro scopo ludico e a prescindere dalla musica, mentre altri parevano seguire, un po’ riluttanti, le passioni dei padri, con le magliette di Mayhem, Possessed e losca compagnia a penzolare troppo larghe su spalle ancora gracili. In ogni caso, quando sul palco si incrociano formazioni messaggere di una proposta onesta, di ottima levatura e lontana eoni dalle standardizzazioni di massa, aspetti che soprattutto i Dying Fetus riassumono a meraviglia, l’interesse aumenta, e con esso, le percentuali dell’affluenza media. La dimostrazione che la vitalità dell’underground e delle “star” del settore resta a livelli incoraggianti.

Reaping Flesh

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Sono i Reaping Flesh a calcare lo stretto tavolato in via inaugurale, infervorando soltanto con la loro comparsa una platea di per sé elettrica e già piuttosto gremita. Nata nel 2022 e originaria di Milano, la band ha esordito appena un mese fa con l’EP “Abyss Of Existence”, legandosi oltretutto alla Redefining Darkness Records, etichetta dell’Ohio attivissima in ambito estremo e nel cui roster figurano un discreto numero di formazioni promettenti. Il trio propone – eccetto la succosa putredine dell’inedito “River Of Extinction” –  le tracce del mini di debutto, effuse sì di un death metal old school di stampo floridiano, ma che non rappresentano dei meri e inutili facsimili, vivendo, bensì, di un’interpretazione davvero energica e personale, grazie a una scrittura in grado di sorprendere con incursioni nel technical e stupire anche quando ammicca spudoratamente al passato. Che si tratti di crogiolarsi nella melma acida (“Elements Of Life”, Self Incarnation”, “Life Of Existence”), affondare voluttuosi nell’abisso (“Fear Without Shape”) o assestare un bel gancio dritto in faccia (“Pit Eternity”), i meneghini non si tirano certo indietro, scaraventando, dagli interstizi della propria epidermide fumante, secchiate di acque reflue su una prima fila in mosh perpetuo, nel quale spicca un cappellino-elicottero à la Ispettore Gadget che fa decisamente colore. Ingenue stramberie a parte, un set da applausi, nonostante la fisiologica brevità.

Setlist

Elements Of Life
Self Incarnation
Lies Of Existence
River Of Extinction
Fear Without Shape
Pit Eternity

Dr. Gore

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Il tempo necessario al cambio strumenti ed ecco che tocca ai Dr. Gore, veterani peninsulari di lungo corso in ambito brutal death metal/grindcore e arrembanti sin dalle battute iniziali dell’esibizione. Con Alessio Pacifici, altresì alle quattro corde negli ottimi Devangelic, al comando della ciurma, il combo capitolino continua nell’opera di infiammare la moltitudine, tra emissioni gutturali, rigurgiti di pig squeal, riff granitici, ritmiche ipercinetiche, bagliori slam e testi gore da leccarsi le dita, magari dopo averle lasciate a bagnomaria in una piaga purulenta. Mancavano soltanto le frattaglie guaste scagliate su un pubblico dai torsi ignudi e in delirio sistematico, e allora sì che avremmo assaporato il contorno perfetto per brani sinistri e grondanti abominio, eppure – a loro modo, beninteso – orecchiabili. In un locale pieno come un uovo e caratterizzato da temperature ai confini del sopportabile, che spingono a qualche cortese imprecazione anticristiana, le truculente “Maggots Under Skin”, “Viscera”, “Grotesque Corpse Sculpture”, “Brutal Carnage”, “Reanimated Dead Corpse”, provvedono, dunque, a incarnare al meglio la storia discografica della band, con tre full-length all’attivo spalmati dal 2012 al 2018 (rispettivamente “Rotting Remnants”, “Viscera”, “From The Deep Of Rotten”). Rimane lo spazio per l’inedita “Horror 90”, che sa tanto dei film notturni trasmessi da Italia 1 durante le afose notti estive degli anni ’90, e la gloglottante “Splatterbrain”, primo brano composto dai laziali e contenuto nell’EP d’esordio “Rigore Mortis” (2008). Prestazione da incorniciare, per un gruppo che procede sulla propria strada imperturbabile e sventrante, cambiando poco o nulla di sé, come ironicamente sbandiera dai microfoni lo stesso Pacifici: ed è anche a motivo di ciò che vogliamo loro un gran bene.

Setlist

Brutal Carnage
Cannibal Grinder
Horde Of The Dead Flesh
Maggots Under Skin
Viscera
Tools Of Torture
Blood Tribute
From The Deep Of Rotten
Grotesque Corpse Sculpture
Reanimated Dead Corpse
Horror 90
Splatterbrain

Dying Fetus

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Puntuali più di un orologio svizzero e protagonisti di una performance della durata di sessanta minuti secchi, i Dying Fetus prorompono in scena alle 22.30, aizzando, con i soli gesti delle mani, un locale tanto saturo di spettatori e cattivi odori che molti dei presenti preferiscono uscire, accontentandosi di ascoltare dall’esterno un concerto denso e di enorme intensità psicofisica. I tre statunitensi, che sembrano dieci vista la potenza sonora sprigionata, beneficiano, da veri mostri sacri dell’universo extreme a stelle e strisce, di ventilatori alla massima rotazione, capaci di sconvolgere l’ordine della lunga criniera dell’estroso bassista Sean Beasley e di solleticare la barba non troppo fulva dell’iconico John Callagher, la cui chioma rossiccia, raccolta all’interno di un leggero zuccotto, non subisce sconquassi di sorta. Trey Williams, che, purtroppo per lui, si trova relativamente distante dal refrigerio dei mulinelli d’aria, appare tuttavia così preso dall’incastonare le proprie elucubrazioni percussive negli arzigogoli dei due colleghi, da non accorgersi della canicola circostante, anzi, si alza spesso e volentieri dallo scranno sito dietro le pelli, incitando la folla a non smettere di pogare. Il gruppo di Baltimora, uno dei massimi progenitori del movimento deathcore e con “Make Them Beg For Death” pronto all’uscita il prossimo settembre, riesce a sintetizzare, in una ben selezionata scaletta, il percorso di una carriera eccezionale, benché l’abbandono di Jason Netherton dopo il leggendario “Destroy The Opposition” (2001), ne abbia parzialmente compromesso il livello qualitativo generale. Il brutal death degli statunitensi offre, comunque, quelle suggestioni di polimorfa tipologia che contraddistinguono un sound riconoscibile tra milioni: ritmiche tiratissime, breakdown colossali, stacchi furiosi, il tutto corroborato da una sotterranea e corrosiva matrice grindcore e da una tecnica esecutiva eccelsa, con la chitarra di Callagher intenta a smontare e rimontare lick senza smarrire forza e fluidità. Tanto le vecchie “One Shot, One Kill”, “Justifiable Homicide”, “From Womb To Waste”, “Kill Your Mother, Rape Your Dog” quanto “Compulsion For Cruelty” e “Unbridled Fury”, direttamente dal nuovo LP, scaricano una quantità di adrenalina tale che anche il più schivo degli spettatori avrebbe mandato a quel paese la propria riservatezza, magari unendosi allo stage diving delle prime file, al quale, invero, non si sottrae, poscia adeguata rincorsa, neanche uno dei roadie della band. Alle 23.30 Beasley e Callagher salutano la folla ringraziando, Williams, invece, scende dal palco, si mescola e saltella con i residui della medesima, chiudendo la serata nella migliore delle maniere possibili. Chapeau allo spirito hardcore che ruggisce nel cuore del batterista.

Setlist

One Shot, One Kill
Grotesque Impalement
Subjected To A Beating
Compulsion For Cruelty
In The Trenches
Unbridled Fury
From Womb To Waste
Your Treachery Will Die With You
Wrong One To Fuck With
Kill Your Mother, Rape Your Dog

Una mattanza in piena regola, dunque, baciata da un’acustica piuttosto soddisfacente e da tre performance di grande coinvolgimento: che Reaping Flesh, Dr. Gore, Dying Fetus e il death metal tutto ci assistano e proteggano, per saecula saeculorum.

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