L’attesa del piacere è essa stessa il piacere” è un detto che conosciamo tutti. Ma forse lo scrittore tedesco Gotthold Ephraim Lessing, quando ha scritto questa bellissima frase, non ha tenuto conto di alcune eccezioni. Se ci ritrovassimo in un’attesa interminabile, giorni, mesi, anni con le nostre aspettative che crescono sempre più, solo per scoprire che questo piacere ci deluderà? Allora, forse, sarebbe stato meglio accorciare i tempi.

Ben 12 anni sono passati dall’ultima esibizione dei Fucked Up nel nostro Paese. Ridotti da 6 membri a 5, tre album in studio, qualche altro disco live e raccolte, innumerevoli singoli: i ragazzi – ora adulti – di Toronto si sono tenuti molto impegnati per tutto questo tempo, mentre qui in Italia qualcuno aspettava con ansia il loro ritorno, avvenuto martedì sera al Legend Club di Milano.

L’improvviso forfait dei torinesi Rope coglie di sorpresa i pochi presenti, costretti ad attendere ancora un’altra ora prima di farsi scaldare da chitarre distorte e urla strazianti. L’inizio del live sembra lontanissimo, ma qualche birra e la possibilità di entrare comunque all’interno del club aiuta il pubblico a non perdersi d’animo.

Giunte finalmente le 22:01, le luci della platea si spengono e parte un’entrata elettronica, quasi eterea, mentre i musicisti prendono posizione. Si rivela tutto un inganno però: quattro colpi di charleston e i Fucked Up partono subito con “Reset the Ride”, un vortice hardcore così potente che farebbe gettare a terra il deambulatore e lanciare in mezzo al pogo perfino il più affaticato degli anziani. Invece, qui tutto è fermo. Magari serve ancora qualche minuto per scaldarsi, oppure i primi brani sono solo per i cosiddetti “since day one”, coloro che già nei primi anni 2000 in qualche modo seguivano la band e conoscono anche le loro tracce meno note.

Fucked Up
Foto: Jeaninne Kaufer

Ma perfino “Queen of Hearts” non smuove la folla. Uno dei brani più celebri e più orecchiabili, che si sposta verso un hardcore più melodico sia nell’armonia delle chitarre, sia nelle melodie delle voci, che qui diventano tre grazie alla bassista Sandy Miranda e al chitarrista ritmico Josh Zucker. Nessuno poga, nessuno salta, tutti fermi immobili a guardare; eppure, non c’è chissà quale gioco di luci, né uno schermo con grafiche accattivanti. E sì che le loro canzoni in studio suonano un po’ più aperte e meno in faccia, ma il legame dei Fucked Up con l’hardcore punk non è certo qualcosa di nascosto. Beh, ci troviamo al concerto hardcore più pacato mai visto.

Il frontman Damian Abraham se le inventa tutte, ci grida in faccia con gli occhi fuori dalle orbite, si getta a terra, si attacca una bottiglietta vuota in testa, ma nulla da fare: la platea offre solo gelidi applausi e pochissimi urli. Nemmeno l’italiano piuttosto sciolto del batterista Jonah Falco fa i miracoli. Non è da fraintendere quanto è successo al Legend: la band ha suonato molto bene, dall’inizio alla fine del loro set di quasi 60 minuti – compresi un assolo di chitarra di Mike Haliechuk e uno di batteria –, e la fatica di mantenere il tiro a quel livello, nonostante una scarsa risposta del pubblico, era ben visibile sui loro volti.

Forse i fan si aspettavano di più? O forse i fan non c’erano proprio? Quest’ultima è una domanda che sovviene in modo spontaneo dopo aver assistito a tutto ciò. Può essere che i fan dei Fucked Up si siano stufati di attendere tutti questi anni e non siano venuti, che quindi il pubblico presente al Legend fosse del tutto estraneo alla band e fosse venuto per caso, giusto per assistere a un concerto. Ipotesi plasuibile, ma che non abbiamo modo di verificare. In ogni caso, sembrerebbe che i cinque canadesi si siano divertiti: Abraham stringe le mani della transenna, con un magnifico sorriso in volto.

Setlist

Reset the Ride
Color Removal
David Comes to Life
The Chemistry of Common Life
Queen of Hearts
Normal People
Living in a Simulation
Broken Little Boys
I Think I Might Be Weird
Roar
Glass Boys
Dose Your Dreams

Comments are closed.