⁠⁠Our music has saved us in many ways. My old dear didn’t have the luxury of finding something that could save her. […] We strive to make music that invigorates people to express themselves freely without prejudice or mockery. Now you can see that we’ve put everything into our art so that maybe you can too. Don’t go gentle. All is love.

Joe Talbot

Chi meglio di Joe Talbot può raccontare la fredda crudezza che divora la carcassa di un’esistenza che si prepone di essere unica e spensierata. La realtà è durissima, non c’è spazio per le favole e per le filastrocche in “Brutalism”, così come nelle nostre vite, poiché tutto può trasformarsi, da un attimo all’altro, nella più tremenda e asettica scultura di dolore ed insofferenza, la stessa che sorregge, come Atlante, il mondo racchiuso nel primo full-length degli Idles.

A cinque anni di distanza, l’esordio discografico degli inglesi è rimasto un colosso di marmo stagliante nel mezzo della foschia inglese, una manata a palmo aperto in faccia alle diseguaglianze e alle prevaricazioni sociali, al finto perbenismo, ai soprusi di genere e ad una situazione politica in profonda mutazione: “Brutalism” testimonia lo stuccarsi di una corda in tensione, l’ingrossamento delle tempie, l’esalazione della rabbia più feroce e lucida di un giovane gettato al centro di un turbinìo di dolorosi cambiamenti.

Un album che all’occhio di tanti – e al netto della discografia – potrebbe risultare acerbo e poco rifinito, ma che invece trova la sua spietata efficacia proprio nella sua scorza rude, crudele, affilata come un machete, poiché portatore e trascinatore di un vulcano interiore in fase di violenta eruzione, un lavoro tanto diverso dal suo successore “Joy as an Act Of Resistance”, completamente lontano dall’ultimo, più intenso ed emozionale “Crawler”. Ciò non sottolinea lacune di qualche tipo in origine, ma circoscrive più una tappa primordiale e strettamente necessaria, la miccia che brucia gradualmente e permette di evolversi, nel sound e nelle intenzioni, fino a raggiungere il completamento di una vera e propria cerimonia di purificazione, coincidente con l’ultima, sopracitata, fatica del gruppo, pubblicata nel 2021 e capace di installare la prima boa come primo punto di arrivo nella giovane carriera dei Nostri.

Photo Credits: Ellie Rumbold

Insomma, l’inizio di un ciclo, un debut che sarà esagerato definire pietra miliare, ma che, considerando la scossa che ha provocato nell’industria musicale e l’incredibile e meritata ascesa che ne è conseguita, ci possiamo prendere il rischio di affibbiargli. “Brutalism” è viscerale punk senza troppi fronzoli, chitarre sparate, basso nervoso, una batteria che è una mitragliatrice in continua funzione, il perfetto pavimento sonoro per le coltellate vocali di Joe Talbot che, passateci il termine, è incazzato con il mondo e si sente, nel tono inquieto, dirompente, graffiato dal dolore che gli ha divorato l’esistenza, dolore che, nonostante ciò, riesce ad esplicare con la pungente ironia che impregna le lyrics del lavoro.

Perchè “Brutalism” è sì il debut album degli Idles, ma è più che altro il manifesto di vita di un giovane frontman alle prese con la morte della madre – avvenuta proprio durante la registrazione del disco -, dopo anni complessi, infarciti di abusi di sostanze stupefacenti e alcool, descritti in maniera più ampia ed intimistica nell’intenso “Crawler”. È a lei che è dedicato “Brutalism”, ed anche in questa nuova versione che prende il nome di “Five Years Of Brutalism“, uscita per il quinquennale dell’album, il bellissimo ritratto in bianco e nero della donna riappare sul retro dell’artwork, lasciando il fronte al titolo del disco in caratteri cubitali, semplice, diretto, esattamente come il contenuto al suo interno. Un refresh del look in limited edition – diecimila copie in vinile rosso – e con una versione digitale che contiene il “Live from BBC Introducing at Glastonbury”, dove i Nostri hanno suonato per intero il loro disco d’esordio on stage.

Una bella celebrazione per un album che, nel suo piccolo, ha rimescolato le carte del rock a livello internazionale, ma che, soprattutto, ha inizializzato un processo di depurazione e di redenzione fondamentale per Joe Talbot e per i suoi bandmates, ma importante anche per noi, schiacciati dalle ossessioni della società e dal peso di un’esistenza che sa essere talvolta soffocante. Ma è sufficiente poggiare sul piatto “Brutalism”, sentire quel “No surrender!” gridato prima che la nervosa batteria di “Heel/Heal” ci travolga per l’ennesima volta, facendoci stringere i muscoli e danzare in bilico sui nostri nervi tesi, in un animalesco cerimoniale che ha il sapore di liberazione.

We’re done.

Photo Credits: IDLES official Instagram page

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