Questo è un periodo pieno per gli Hooverphonic. La storica band belga, che l’anno prossimo festeggerà 30 anni di attività, è ancora nel pieno delle proprie forze e, oltre a pubblicare il nuovo album in studio “Fake Is The New Dope” il 22 marzo, la sera prima sarà anche ai Magazzini Generali di Milano (biglietti QUI), per un concerto che si preannuncia magico. Abbiamo parlato di tutto questo e di molto altro con Alex Callier, fondatore e bassista della band.

Ciao Alex, benvenuto su SpazioRock! Come stai?

Ciao! Tutto bene, grazie!

Immagino che questo sia un periodo pieno per voi, tra tour e album. Come sta andando?

Penso che stiamo vivendo un periodo strano. Tutto è successo allo stesso tempo, abbiamo finito di registrare e di mixare l’album un anno fa e abbiamo iniziato a pubblicare singoli a marzo dell’anno scorso, quindi il build up per l’album è stato davvero lungo. Prima non era così, pubblicavi un singolo e dopo tre mesi l’album era fuori. Ma comunque siamo eccitati. Contemporaneamente siamo in tour per questo nuovo album, ma anche per 25 anni di “Blue Wonder Power Milk” e i 20 anni di “Sit Down and Listen to Hooverphonic”. Ormai siamo in giro da tanto e quindi ai live non possiamo suonare tutto un nuovo album. Penso che suoneremo cinque nuove canzoni, ma le persone vogliono anche sentire “Mad About You”, “Anger Never Dies” e così via. Ci sono tante canzoni che dobbiamo suonare, e ovviamente siamo orgogliosi di questo. Ma l’album è un grande album, è un po’ diverso da quello che normalmente pubblichiamo.

Parliamo proprio di questo. Il vostro nuovo album uscirà il 22 marzo e si chiama “Fake Is The New Dope”. Direi che il titolo è già eloquente, ma cosa puoi dirci di questo lavoro, sia dal punto di vista tematico che da quello musicale?

Dal punto di vista dei testi parla un po’ di come le cose sono andate nella nostra società, mentre prima con la musica provavamo sempre a creare una sorta di fuga dalla realtà, un qualcosa di più onirico. Forse invecchiando penso più alla politica e a quello che succede nel mondo. Tempo fa abbiamo visto Bowling for Columbine, un film di Michael Moore in cui dice che in America i politici e i media vogliono che le persone siano spaventate perché così è più facile fare ciò che vogliono. Mi ricordo che ho detto a Raymond (il nostro chitarrista) che fortunatamente viviamo in Europa, ma venti anni dopo anche qui è tutto molto simile. C’è una grande negatività nei media e nella stampa. C’è tanta sottomissione. Ora si sta anche sviluppando l’intelligenza artificiale, che è un qualcosa di molto particolare, molta gente ne è attratta e allo stesso tempo ne è spaventata in qualche modo. È per questo che l’album si chiama “Fake is the New Dope”. Siamo tutti dipendenti dai nostri telefoni, usiamo Photoshop, prendiamo le foto, le modifichiamo, rimuoviamo parti che non ci piacciono. E questo vale anche per la musica, c’è l’autotune e ora si sta anche sviluppando l’AI per la scrittura. Penso che stiamo vivendo in tempi interessanti. Sono abbastanza progressista su queste cose, non ho paura di usarle in un certo modo. L’AI è molto utile se utilizzata come una sorta di assistente, invece che averne uno in carne e ossa. Ma sai, è piuttosto divertente, l’album si chiama “Fake is the New Dope” e ad esempio nella title track ci sono un sacco di strumenti programmati. Ma vabbè, questa non è una novità, succede dagli anni ’80 praticamente, solo che ormai fai davvero fatica a capire se uno strumento è suonato davvero o no ascoltando una canzone. Prima magari i suoi erano più “plasticosi”, ma era ovviamente una cosa voluta. Oggi a volta capita di usare un plug in al computer per un synth, poi magari provi a ricreare lo stesso suono con un sintetizzatore molto costoso e suona meglio il plug in, è assurdo. A volte succede anche con le chitarre, ma la cosa importante per quanto mi riguarda è che funzioni. Non importa se è programmato, non importa se è generato da AI, se mi piace e mi tocca dal punto di vista emozionale, allora va bene. Per me è così. Ma è vero che, per il momento, le persone sono ancora meglio dell’AI. Diciamo che forse è più utile per cose che sono una via di mezzo, quindi per la musica pop, ma per il resto se devi andare all’estremo di qualcosa usare l’AI attualmente non è la scelta migliore. Tante persone nel nostro settore hanno paura dell’avvento dell’AI ma personalmente non credo che un artista possa essere rimpiazzato in questo modo, ci sarà sempre spazio per buoni musicisti e autori. Pensa che ho fatto un test e ho chiesto a ChatGPT si scrivere un testo in stile Hooverphonic e il risultato non era proprio veritiero [ride, ndr]. Ok, c’era qualcosa di dark, ma mancava qualcosa, mancava lo humor che ci contraddistingue. Comunque l’album ha tanta elettronica, penso che musicalmente sia ispirato agli anni ‘90, all’elettronica di quel periodo. Anche se ora in tour suoniamo tutto live, senza computer, senza sample. Abbiamo dieci persone sul palco ed è una prova che le canzoni sono buone davvero. Crediamo che un live debba essere un’esperienza, qualcosa di diverso da un album in studio e no n abbiamo paura di fare un album prettamente elettronico e suonarlo poi con strumenti elettrici. Se un live deve essere la copia esatta, tanto vale ascoltarsi l’album.

HooverphonicMilano

Come dicevi prima, sono passati molti mesi dalla pubblicazione dei primi singoli a quella dell’album. Quindi voglio chiederti, quando avete lanciato queste canzoni avevate già deciso di pubblicare un nuovo album? E se sì, perché avete aspettato così tanto?

La ragione per cui abbiamo aspettato così tanto è le piattaforme tipo Spotify e Apple Music supportano la tua musica quando è nuova. Se pubblichi un singolo dopo aver pubblicato un l’album che lo contiene per loro è una canzone già vecchia, e quindi riceve meno promozione. Ormai funziona così, tanti musicisti credono che non abbia neanche più senso fare degli album. Che poi alla fine pensandoci anche negli anni ’60 era così, una band lanciava i singoli e poi si diceva, ok, ora abbiamo abbastanza hits, facciamo un album. Va tutto a ondate, ora siamo tornati agli anni ‘60 e il singolo è più importante che l’album. Ma parlando di noi, siamo musicisti, ci piace molto fare album, ci piace raccontare una storia. Questo disco parla dell’uscire dalla depressione. Alla fine della pandemia ho dovuto lottare contro la depressione, non me lo sarei mai aspettato perché non mi era mai capitato, ma è stato il risultato di due anni di Covid. La scrittura dell’album è un processo che mi ha aiutato a uscire dalla depressione.

Quindi hai scritto anche durante il lockdown?

Sì, molto. Ma anche in altri momenti, ad esempio “The Night Is Long” l’ho scritta mentre ero in viaggio. A dicembre del 2021 abbiamo fatto tre concerti in Francia, mi ricordo che ero così depresso da non voler neanche andare a suonare, ma la realtà dei fatti è che ero in quella condizione proprio perché non potevo più suonare. Quindi mia moglie mi ha costretto ad andare e ovviamente dopo tre o quattro ore di viaggio in Francia mi sentivo già un po’ meglio, ero con amici e tutto il resto. La prima sera abbiamo suonato a Metz ed è stato come rinascere. Anche l’anno prima ho avuto dei momenti brutti, ero in terapia e la mia psicologa mi ha chiesto ad un certo unto cosa fosse cambiato nella mia vita. Io le ho detto che avevo smesso a scrivere canzoni e secondo lei avrei dovuto riprendere nonostante tutto. Quindi ho iniziato a scrivere di nuovo e mi sono sentito meglio. Poi ho continuato a scrivere, ma a quel punto non potevo più suonare dal vivo. Quindi ho imparato che ho bisogno di entrambe le cose, non solo di essere in studio, ma anche di andare in tour. Una cosa bella dell’avanzamento tecnologico è il fatto che si può scrivere ovunque, è come avere uno studio di registrazione nel computer. Prima mi annoiavo molto in tour, ora posso scrivere. Ho scritto alcune canzoni anche in Italia, c’è un amico che ha una bellissima casa vicino Firenze e a volte organizza delle settimane di scrittura, diciamo. Ho lavorato con persone che ho conosciuto lì e ne sono uscite alcune canzoni, come ad esempio “The Best Days Of Our Life”. È ironico, perché l’album parla dell’uscire dalla depressione e poi hai versi tipo “The sun always shines for you”. È un album che racconta cosa è successo ad un musicista durante quel periodo e come ne è uscito.

Parlando della title track, “Fake is the New Dope”, qualche giorno fa avete pubblicato un video live di questo brano. Come mai questa decisione per un singolo?

Avevamo registrato alcune esibizioni in Belgio, questa era in teatro bellissimo e quindi abbiamo pensato di farci un video che fosse proprio registrato dal vivo, anche per differenziarlo dagli altri. Poi c’è da dire che prima di andava in tour per promuovere l’album, ma ormai è il contrario, si pubblicano canzoni per promuovere i tour, quindi ho pensato che fosse bello mostrare alle persone come fosse vedere gli Hooverphonic dal vivo. È venuto bene e Geike è come sempre magica.

A proposito di questo, manca pochissimo alla data italiana, suonerete questo giovedì a Milano. Cosa dobbiamo aspettarci?

Non vediamo l’ora perché è un sacco che non veniamo in Italia ed è ancora più tempo che non ci veniamo con Geike. Suoneremo canzoni da vari album, ci sono pezzi da “Blue Wonder Power Milk” (che ha appena fatto 25 anni), come “Eden” (che è il nostro singolo preferito da mio padre) o “Club Montepulciano”. Ma non preoccupatevi, suoneremo anche “Anger Never Dies” e “Mad About You” [ride, ndr]. È sempre difficile, perché non credo che si possa suonare più di due ore, le persone fanno fatica a rimanere concentrate per più tempo. Due ore è già molto, quindi non è semplice scegliere tutte le canzoni che possono piacere al pubblico e che ognuno vuole ascoltare. Comunque per questo tour facciamo solo poiche date in città grandi, perché avere 10 persone sul palco è molto costoso, significa portarsi in tour sedici persone, che ovviamente devono essere pagate e tutto quando. Quindi insomma abbiamo deciso di fare Londra, Lille, Milano e Parigi e ci abbiamo messo anche Ginevra perché era più o meno di strada. Un vantaggio di essere più vecchi è che hai maggiori possibilità di scegliere, quindi abbiamo deciso così. Sono molto curioso per la data di Milano perché di solito non suoniamo in piccole club, quindi spero che ci sia tanta gente [ride, ndr].

Sicuramente sarà così! L’anno prossimo arriverà il 30esimo anniversario della vostra band, come ti senti a riguardo?

È incredibile essere ancora in giro e suonare per tante persone. È incredibile il fatto che ad esempio abbiamo ancora 4 milioni di stream al mese. Tanti musicisti in Belgio hanno molta difficoltà, quindi siamo contenti di questo. Questo però significa anche che bisogna essere realisti e che tante persone ci seguono per quello che abbiamo fatto negli anni e quindi ad esempio nei concerti non possiamo suonare interamente tutto un nuovo album. E se ad esempio suoniamo cinque canzoni dovranno essere distribuite in un certo modo nella setlist. Una cosa che non faremo mai è suonare in generale tutto un album nello stesso ordine della tracklist, anche perché quell’ordine è stato deciso per essere ascoltato su disco, ma dal vivo è diverso, ci sono dinamiche differenti. A esempio tante volte su un album si tende a mettere il singolo migliore tra le prime canzoni, mentre invece dal vivo i pezzi migliori devono essere alla fine per costruire una sorta di climax. Comunque sono contento di questo. Molte band odiano suonare le proprie hit, ma non sono d’accordo, non suonarle sarebbe una mancanza di rispetto verso chi viene a sentirti e paga. Tu magari le suoni 100 volte, ma loro le sentono una volta sola. Quindi sono grato di essere ancora qui, di poter suonare fuori dal Belgio e in un sacco di posti e contesti diversi. A volte suoniamo anche in festival jazz, che è un po’ strano, ma alla fine la nostra musica ha molte influenze. Ci piace ancora sperimentare, qualche mese fa abbiamo un concerto privato in cui abbiamo suonate 12 nostre canzoni intervallate da pezzi classici, con orchestra e tutto quanto. Mi piacerebbe un sacco fare una cosa del genere alla Scala a Milano [ride, ndr]. Ma stiamo pensando di fare un tour del genere l’anno prossimo, magari in Belgio. È una cosa molto bella e vorremmo dare ai fan l’opportunità di vederla.

Sì, credo che sarebbe fantastico! Questa era l’ultima domanda, grazie mille per questa intervista! Vuoi lasciare un messaggio ai fan che verranno a vedervi tra qualche giorno a Milano?

Venite con i vostri amici, voglio vedere il locale pieno [ride, ndr]. Ci divertiremo insieme, ormai sono tanti anni che suoniamo insieme e siamo diventato come una sola cosa sul palco. Sarà un modo molto diretto e intimo per ascoltare la nostra musica, potete aspettarvi questo.

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