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Qualche mese fa si parlava di come noi italiani, spesso, stiamo troppo a guardare l’erba del vicino, senza accorgerci che nel nostro giardino fiorisce di tutto. Non ci accorgiamo che quanto accade dall’altra parte del globo può accadere anche qui. È accaduto a novembre ed è accaduto ancora: l’Alcatraz sold out per un gruppo rock italiano. E questa volta forse c’è ancora più clamore, poiché il gruppo non è affatto recente: se i Ministri avevano dalla loro parte il fatto di suonare a casa e di avere una fanbase ancora abbastanza giovane, non si può di certo dire la stessa cosa dei Marlene Kuntz. Eppure, i cuneesi registrano sold out non solo a Milano, ma in quasi tutte le date del tour commemorativo di “Catartica”, il loro album d’esordio. A casa loro – o almeno, vicino casa, Torino – doppia data sold out. Alla faccia degli anglofoni, potremmo dire.

Che si festeggia un trentennale, si vede. L’età media del pubblico è sui 40, con pochissime presenze under 30 – per lo più figli che accompagnano (o meglio, seguono) genitori – e parecchi over 50, probabilmente coetanei degli artisti, che quindi hanno vissuto davvero gli anni di quel disco e di quella scena, in cui il rock italiano emergeva dall’underground per prendersi le masse.

Da buoni quarantenni, l’energia e la carica purtroppo non sono più quelle dei ventenni e questo si vede già dall’inizio della serata: sono pochi, rispetto ai 3000 paganti, coloro già presenti all’apertura delle porte e alle esibizioni dei primi artisti. Prima gli Speakeasy, quintetto brianzolo di recentissima formazione, che con la loro manciata di singoli ricordano un po’ i Negrita, un po’ i Goo Goo Dolls, ma con un songwriting in italiano fresco e molto orecchiabile. Poi Umberto Maria Giardini, che qualcuno magari ricorderà meglio con lo pseudonimo ormai abbandonato Moltheni, che invece gioca un po’ di più sulla psichedelia e sull’intimità, preparandoci a ciò che verrà dopo.

Ore 21 passate, Alcatraz stracolmo, inizia lo show. Gli MK puntano sul minimalismo: uno schermo bianco sullo sfondo, Davide Arneodo e Sergio Carnevale dietro, rialzati, Riccardo Tesio, Cristiano Godano e Luca Saporiti davanti. Outfit formale – unica accezione la camicia tribale di Godano – e tanto, tanto, tanto fumo. Eccetto i momenti in cui il frontman è illuminato direttamente da alcuni fari, i musicisti non sono poi così tanto in risalto sul palco.

Facciamo subito caso anche ad una scelta di suono particolare: a differenza del disco, che punta sulla botta in faccia, qui è tutto più rotondo. Le chitarre sono sempre protagoniste ma è il basso a spiccare, spesso e volentieri, sull’insieme. Se si pone attenzione si colgono i dettagli lanciati da Arneodo, uno su tutti il tamburello. La voce di Godano c’è, rafforzata da Arneodo e Saporiti. E la batteria? Quasi assente, rinchiusa dietro le sbarre, o meglio, le onde sonore degli altri. Insomma, sembra di essere a un concerto shoegaze e bisogna ammettere che funziona tutto – giusto la batteria un filino meno ovattata poteva starci, ecco. Le atmosfere dilatate, tipiche del genere suddetto, vengono interrotte dai momenti noise delle chitarre (“Canzone di domani”, “L’agguato”) e dalle urla del frontman (“Lamento dello sbronzo”), che è anche l’unico a muoversi della band: è come se fosse un tutt’uno con la sua chitarra, ondeggia se non viene addirittura preso dall’elettroshock, scattando con tutti i muscoli del suo corpo in quella che sembra quasi una crisi epilettica.

La setlist, inutile dirlo, è incentrata soprattutto su “Catartica”, ma c’è spazio anche per qualcosa dei dischi immediatamente successivi. Si parte con “Trasudamerica” e si prosegue per quasi 2 ore in un viaggio negli anni ’90. Il pubblico, come già detto, è abbastanza tranquillo: nessuno poga, pochissimi saltano nel parterre, l’energia viene sprigionata dalla voce. Tantissimi accompagnano i versi di Godano, con foga (“Nuotando nell’aria”), ma anche senza, canticchiando o semplicemente mimando col labiale (“Gioia (che mi do)”).

All’inizio del bis, il momento in cui un po’ tutti speravamo: “La prossima è una canzone che ho scritto pensando a Luca Bergia. Godano dice che questo tour è dedicato interamente a lui e il pubblico risponde con l’applauso più sentito di tutte la serata, mentre il cantante ci suona “Ti voglio dire”, tratta dalla sua discografia solista. Il bis interrompe così il viaggio nel tempo che abbiamo percorso finora, offrendoci una post-2000 “Bellezza” in chiusura definitiva. E la festa è finita. Beh, non ci resta che fare i complimenti ai Marlene Kuntz, perché la promessa è stata mantenuta: non è stata una festa del cazzo.

Setlist

Trasudamerica
Canzone di domani
Gioia (che mi do)
Fuoco su di te
Aurora
L’agguato
Lamento dello sbronzo
Mala mela
1° 2° 3°
Infinità
Ineluttabile
Lieve
Festa mesta
Sonica
Nuotando nell’aria
Ti voglio dire
Come stavamo ieri
Ape regina
M.K.
Bellezza

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