È finalmente uscito “Electric Sounds”, undicesimo album di uno dei trii più potenti del panorama rock, i Danko Jones. Per l’occasione, abbiamo potuto parlare con John Calabrese (in arte JC), bassista della band, che ci ha raccontato i segreti dietro a questo nuovo lavoro e ad una carriera ormai molto longeva,

Ciao John, che piacere ritrovarti. Dove ti trovi in questo momento?

Io abito in Finlandia, mi trovo proprio al nord, nel mezzo della Finlandia. Sono a 400 chilometri al nord di Helsinki. Abito proprio in un paesino piccolino e qui dietro c’è la foresta. Oggi siamo sui 15 gradi, perciò si sta bene. Non è come in Calabria, il tempo a ottobre è sempre bello in Calabria, si mette il giacchettino.

Sei stato in Italia per le vacanze?

No, l’estate è molto difficile perché dobbiamo fare un po’ di cose, poi vado a ottobre che è un ottimo periodo, c’è mia mamma, c’è mio fratello lì al paese, torno al mio piccolo paese.

Che bello! Bentornato su SpazioRock diciamo sono già parecchie volte che ci sentiamo e questo ci fa sempre molto piacere in vista delle nuove uscite e delle date come in questo caso. Il vostro nuovo album, “Electric Sound”, è appena uscito. Come sta andando? Sei contento della risposta del pubblico fino adesso anche alla nuova musica?

Sì, in precedenza sono uscite delle tracce del disco, tutti quanti hanno apprezzato il nostro genere di rock and roll. Come al solito noi non cerchiamo di portare il nostro pubblico e i nostri fan attraverso un’epifania musicale per dire. Quando ascolti i Danko Jones sai che ascolterai rock and roll e basta perciò siamo molto felici di aver fatto questo disco e finora la risposta è positiva.

Ho letto che ci sono dei riferimenti al periodo pandemico in questo disco soprattutto nel songwriting, che comunque richiama un po’ a quei momenti dove eravate un po’ tutti divisi. Mi puoi raccontare un po’ di questo processo, di com’è nato il disco e cosa c’entra la pandemia?

È stata brutta la pandemia che ci ha diviso tutti quanti e ci ha messo in isolamento forzato. Io ho deciso di fare un’altra cosa mentre è successa la pandemia: di iniziare a scrivere le nostre canzoni online, soprattutto io e Danko ci siamo messi a fare i pezzi così. Sono più di venticinque anni che io e lui suoniamo insieme perciò abbiamo una connessione musicale che magari un gruppo giovane non avrebbe, che supera anche gli ostacoli della distanza. Per “Power Clear”, il disco precedente, abbiamo fatto tutto online prima di registrare il disco, perché c’è stata la pandemia. Perciò quando ho avuto tempo per scrivere “Electric Sound”, ovviamente io che vivo qui in Finlandia, il batterista che abita in un’isola in Canada (lontano da Toronto, tipo due ore di aereo) e Danko ancora a Toronto. Perciò ho detto: “Ok ragazzi dobbiamo fare così, continuiamo come abbiamo fatto con “Power Clear” e continuiamo a fare la pre-produzione delle canzoni online”. Perciò abbiamo riportato una cosa positiva della pandemia, però è stato anche un modo in cui utilizzare le nuove attrezzature, i nuovi metodi di registrazione a nostro vantaggio.

E comunque siete anche riusciti a pubblicare un disco durante la pandemia, ma stavolta è diverso, si può andare in tour. Senti una differenza tra il disco precedente e questo? Cambia qualcosa in voi?

Cambia il fatto che apprezzi il fatto di poter continuare a fare quello che facciamo. Per raccontare una piccola storia, l’ultimo concerto che avevamo fatto prima della pandemia è stato in un club piccolissimo, in un posto che si chiama Huntington Beach in California e c’erano tipo 80 persone, era un piccolo bar. Mai mi sarei aspettato di fare una tournée così, non c’era nessun backstage, non c’era niente, eravamo nel furgone. Il concerto è andato bene il concerto, poi è arrivata la pandemia e per un anno ho detto: “Potrei fare 100 di quei concerti”, perciò tutto questo ti fa apprezzare il tutto un po’chettino’ di più. Non è che non abbia apprezzato il concerto in quel momento però ho detto “Ci sono altri concerti che potevamo fare, sarebbe stato meglio”. Ma riesci ad apprezzare la cosa base, che è proprio avere quella connessione col pubblico, poter fare quello che ami, suonare musica e condividere una sala con delle persone.

Come quei concerti streaming, che sono invecchiati pure male.

È molto diverso, quelli erano orribili. Sono anche invecchiati male adesso riguardandoli.

Ci sono anche un paio di ospiti niente male nel disco, per esempio ho amato “She’s My Baby” e l’ho sentita un po’ punk, con questi elementi molto aggressivi, mi è piaciuta tantissimo. Tyler Stewart dà il massimo.

Abbiamo una connessione pazzesca con i Barenaked Ladies. Tyler e io ci conosciamo da 27 anni, siamo di Toronto. Durante uno dei nostri primi concerti che abbiamo fatto a Halifax nel 1997 loro erano nel pubblico a guardarci, avevano appena iniziato la loro carriera musicale e ci siamo sempre tenuti in contatto. Un nostro amico, è il loro tecnico della chitarra, quindi c’è questa connessione. Poi c’è Eric Ratz, il produttore del nostro disco, che sta anche facendo da produttore anche a loro e quindi ha detto a Dan: “Chiamiamo Tyler”.

Ma quindi ci volete anticipare che anche nel disco del Barenaked Ladies ci sarà un’apparizione di Danko Jones?

Non so se sia successo, però so che Danko era lì nello studio quando stavano registrato i loro pezzi perciò tutto può essere. Ma penso di no.

Invece quale canzone del disco ti sei divertito di più a scrivere e a suonare?

I pezzi sono arrivati a me per primo, li scriviamo io e Danko. Io faccio tutti gli arrangiamenti, ad esempio per “Good Times”, lui mi ha illustrato un’idea di 40 secondi e da lì ho creato la canzone. Lui mi mandava le cose di notte, guardavo qui le cornacchie nella foresta e ho messo la canzone a posto. È una di quelle canzoni che ho immaginato al volo e poi quando gliel’ho mandata mi ha detto: “Non avrei mai pensato ad un arrangiamento come questo”. E la canzone era finita.

Quindi “Good Times” è quella più divertente per te.

Sì, “Good Times” e “Electric Sounds”, anche lì ho fatto delle aggiunte su quello che era l’inizio della canzone. Poi l’ho messo più in focus, per avere il risultato come lo sentiamo ora.

Senti, invece per quanto riguarda l’artwork, che a me è piaciuto da impazzire, ci vuoi dire qualcosa? Perché secondo me è fatto apposta per essere pubblicato in vinile, e se devo essere sincero mi ricorda un pochino “Lightning Bolt” dei Pearl Jam come stile di disegno, è bellissimo.

Grazie. Io non volevo prendere ispirazione dal titolo del disco, fare dell’elettricità una cosa musicale, perciò ho detto all’artista, che si chiama Martin, che volevo fare qualche cosa con la cimatica. Non so se hai presente? Ci sono dei piatti di ferro che venivano suonati e apparivano queste diverse immagini suonando ad una diversa frequenza. Perciò gli ho detto: “Prendi questo spunto e poi vai con quello”. Poi lui mi ha detto: “Perché non facciamo una cosa con quell’idea? Voglio prendere come ispirazione questo disco “Rock and Roll Over” dei Kiss.” ha usato questa ispirazione per il layout, ci ha messo il suo elemento di cimatica ed è venuta fuori la copertina.

ElectricSounds

Bellissimo e ovviamente lo vedremo anche in vinile no?

Sì, c’è il vinile. Abbiamo anche i vinili splatter, che sono venuti molto molto belli. Infatti quando facciamo i dischi penso sempre come lato A e lato B perché sono cresciuto ascoltando quei dischi. Poi mi facevo le cassette per il walkman, c’era la cassetta a 46, quella a 90, che dovevi girare per ascoltare tutto. Quindi ho sempre in mente come organizzare i pezzi nell’album, in modo che sembri un ascolto da lato A a lato B.

Sì, infatti si vede, anche perché a metà c’è questo suono molto forte proprio perché è pensato come se il disco dovesse essere girato sul lato B.

Sì, esatto. Un piccolo dettaglio.

Fa la differenza secondo me in queste cose quando pensi all’esperienza dal punto di vista di chi lo ascolta. Poi dopo si sente in un modo o nell’altro, anche inconscio, però è lì. Parlando d’altro, nel 2019, Danko disse durante un’intervista che in America, se sei l’opening act, ti fischiano, o comunque potrebbero fischiare. Secondo te la reazione del pubblico è diversa in Europa? È cambiato qualcosa in America da questo punto di vista.

In Europa diciamo che c’è un’accoglienza migliore. Per esempio crescendo in Italia, come sai te, puoi guardare fuori e hai una connessione immediata col tuo passato. In America quella connessione non esiste, c’è il fast food, c’è Starbucks… In Italia e in Europa c’è più un gusto del passato che non esiste in America. È un po’ più chiusa la vista sugli opening act. Ma anche se ci fischiano, continuano a suonare, se c’è della gente a cui piace il gruppo, gli piace. Però sì, è molto chiuso il modo in cui la musica viene vista delle volte negli Stati Uniti. Non sempre, ma spesso le cose vengono proprio messe nelle scatoline: se ti piace rock, puoi stare nel rock; se ti piace il metal, non puoi ascoltare hip hop. Cioè, delle cose stranissime.

Sono tipo sottoculture che non si possono mischiare?

Sì, ma è una cosa che a me non è mai piaciuta, però esiste.

Essendo in tour in così tanti Paesi diversi e vedendo così tante audience diverse, avete anche un po’ imparato negli anni a capire in base a dove andate, che repertorio portare magari oppure come approcciarvi con il pubblico?

Secondo me con la lingua, perché Danko parla solo inglese, ma riesce a fare sentire al pubblico l’emozione che sente mentre suona le canzoni. Secondo me il pubblico non è ingenuo, riesce a capire se ai tre ragazzi sul palco piace fare quello che fanno: si vede a volo, non c’è modo di nascondersi da quello che facciamo. Alla base di tutto c’è che abbiamo un rapporto molto buono con i ragazzi nel gruppo e quella energia positiva, è quello che l’audience riesce a capire e riesce a prendere.

Io penso che i Danko Jones insieme ai Muse siano uno dei trii nella musica rock che hanno il sound più potente, sia in studio che sul palco. Quali sono i vantaggi di essere in un trio quando appunto si tratta di suonare e quali invece sono gli svantaggi?

Oh, grazie, bel complimento! Ti dico, uno dei vantaggi è che c’è meno attrezzatura da portare in giro (ride, ndr). Lo svantaggio è che se qualcuno fa un errore suonando sei molto esposto al pubblico. Devi essere sempre allerta, bisogna suonare nel modo giusto.

A livello di sound pensi vi dia qualche vantaggio essere in tre? Magari un po’ più di agilità?

In studio hai sempre quel vantaggio di aggiungere delle chitarre, di fare un ritornello più potente. Però quando si è live in tre persone c’è solo una chitarra, un basso e una batteria: la cosa più difficile è suonare creando della dinamica. Riusciamo a farlo molto bene perché lo facciamo da tanti anni.

A proposito di live, il prossimo dicembre sarete a Milano e non vediamo l’ora di rivedervi qua. Secondo te cosa rende uno show un grande show? Ci sono delle novità in serbo per questo tour?

Secondo me, a rendere bello uno show è la gente felice, me ne accorgo sempre quando suoniamo. C’è proprio una positività, un’energia positiva nella sala e la gente esce con un sorriso in faccia: quella è la cosa più bella che si può avere. Per quanto riguarda le novità, mi sa che ci saranno dei nuovi brani che suoneremo da “Electric Sounds”. Sarà bello ritornare in Italia, anche se a Milano non è il Sud Italia, però l’accetto volentieri (ride, ndr).

Questa era la mia ultima domanda. Se ti va, puoi lasciare un messaggio ai tuoi fan e ai lettori di SpazioRock.

Ok, se volete seguire tutte le notizie sui Danko Jones, andate sul nostro sito. Andate anche sui social ovviamente e se potete ascoltate il nostro nuovo disco.

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