Ciao ragazzi! Benvenuti su SpazioRock. Come state?

Ciao a te Maria Chiara! Grazie mille, è un piacere poter fare questa intervista con voi, stimiamo molto il vostro sito.

Sono rimasta molto colpita dalla scelta del nome della vostra band perché racchiude una profonda amicizia e unione fra di voi. Partendo da questo presupposto, cosa significa essere “fratelli da madre diversa” nella creazione di nuova musica? Siete sempre d’accordo su tutto ?

Questo significato ci è sempre piaciuto, proprio perché il rapporto che ci unisce è rappresentativo di una forte comunione di intenti. La forza del progetto dipende dalla condivisione di una visione ben precisa, sia dal punto di vista musicale che di stile di vita. Tra fratelli ci si scontra, ognuno prende le proprie scelte e responsabilità, ma sappiamo sempre che alla fine c’è un fil rouge che ci lega. La vera bellezza racchiusa nel nome, però, è che ognuno può essere un Keemosabe; l’importante è condividere la nostra missione artistica. Ci sono molte persone che abbiamo incontrato che riconosciamo essere dei veri Keemosabe e ci auguriamo che saranno sempre di più.

Il singolo “The Lights Go Down” anticipa il vostro nuovo album “Look Closer”, in uscita il prossimo autunno. Quanto pensate che il singolo rispecchi le sonorità del nuovo album?

Abbiamo scelto “The Lights Go Down” come primo singolo proprio per dare un assaggio di diversi elementi che contraddistinguono questo disco. Parti elettroniche insieme a chitarre elettriche, dinamismo, qualche tempo dispari qua e là, una coda strumentale molto esplosiva. Sono elementi che probabilmente hanno poco a che fare con le produzioni delle Top 40 odierne, ma che sono parte della nostra musica e della musica che amiamo. All’interno dell’album questi saranno poi approfonditi e manipolati a seconda dello stile degli altri brani.

Non ho potuto fare a meno di notare che nel video, fra i vari elementi, predomina il colore blu e le sue gradazioni, dal colore del maglione della protagonista all’ambientazione nella parte finale del video. Che significato ha per voi questo colore?

Il colore blu è per noi innanzitutto un simbolo di rinnovamento. Il nostro disco porterà con sé un invito all’esplorazione del nostro Io, al fermarsi e al dare peso alle piccole cose. Mai come in questi tempi difficili tante persone si stanno trovando forzatamente ad affrontare questi aspetti. La nostra vita è sempre stata un alternarsi di esperienze caotiche in diverse metropoli, ma abbiamo trovato un rifugio sicuro nella nostra casa nei boschi sul Lago Maggiore, dove abbiamo costruito uno studio e dove spendiamo la maggior parte del nostro tempo. L’elemento di riconnessione con se stessi e il mondo circostante è davvero importante per noi e aleggia in tutto ciò che facciamo e suoniamo. Il blu ci sembrava un colore che in qualche modo si avvicina a questo tipo di sensazioni e perciò abbiamo deciso di renderlo l’elemento cardine di questo nuovo percorso.

Per quanto riguarda la canzone in sé invece, quel è stato il processo creativo che ha portato alla nascita del singolo? Siete soddisfatti del risultato?

La canzone è stata composta proprio nella casa nel bosco di cui ti parlavamo prima. Eravamo bloccati da settimane su questo brano e non riuscivamo a dargli un senso logico e soprattutto un significato. Abbiamo ascoltato una vecchia conferenza del filosofo Alan Watts in cui parlava delle maschere che un attore indossa durante un’opera teatrale, che sono parte di una finzione programmata ma che inevitabilmente diventano parte di lui fino a fargli perdere il senso della propria identità. Questo è un tema che ci ha affascinato molto e che si sposava perfettamente con ciò che immaginavamo sul piano musicale. Da lì in poi, in letteralmente 10 minuti, il brano era scritto da capo a coda. Siamo soddisfatti di questa canzone proprio perché rappresenta noi stessi. Si rifà a nostre grandi fonti di ispirazione come Biffy Clyro e Nothing But Thieves, ma mantiene comunque la sua anima e la sua unicità.

Avete qualche aneddoto o curiosità particolare riguardo al singolo?

Abbiamo deciso di rendere omaggio ad Alan Watts con un estratto di quella conferenza che ci ha ispirato, inserendo all’interno della canzone la frase “Behind the scenes, you always have a tiny sneaky suspicion that you might not be the you that you think you are”.

Avete preso parte alle audizioni durante la scorsa edizione di X-Factor. Quanto pensate vi abbia aiutato questa esperienza nella vostra crescita come band?

Abbiamo partecipato a XF13 per solo un paio di puntate durante le audizioni, perciò sicuramente non possiamo dire di aver vissuto appieno l’esperienza di un talent. Nonostante ciò, ci siamo divertiti molto, sono piattaforme che ti danno visibilità su scala nazionale nel giro di pochi minuti, una cosa impossibile da raggiungere in altri modi per un musicista indipendente. Da questo si possono trarre tantissime considerazioni positive e negative, ma dobbiamo dire che sicuramente la nostra esperienza è stata una doccia fredda, che ci ha permesso di vedere più chiaramente molti aspetti dell’industria musicale e della musica come elemento di intrattenimento di larga scala. Inutile dire che questo ci ha permesso di crescere tanto sul piano mentale e soprattutto ci ha portati ad analizzare il nostro prodotto in maniera più oggettiva.

Pur essendo italiani scrivete testi in inglese. C’è un motivo particolare per questa scelta?

Questa scelta è stata in primis una necessità, nel senso che per anni alcuni di noi hanno vissuto negli Stati Uniti e lo stesso progetto KEEMOSABE ha fondato le sue radici a Londra. La lingua inglese è stata all’inizio una scelta quasi forzata perché era l’unico modo di inserirci nelle scene musicali delle città in cui vivevamo. In seguito, complice anche il nostro ritorno in Italia, ci siamo interrogati tante volte sull’eventualità di passare alla lingua italiana, ma è un qualcosa di tanto lontano dalla musica che componiamo e in un certo senso ci siamo affezionati alla lingua inglese, che si sposa meglio con le nostre parti strumentali. Mai dire mai, ma per ora l’inglese è quello che ci rappresenta di più e soprattutto che ci permette di tenere tante porte aperte anche sull’estero.

Il vostro primo EP è stato registrato agli Abbey Road Studios, un vero luogo di culto. Com’è stata questa esperienza? Com’è andata invece la registrazione di “Look Closer”?

L’esperienza di Abbey Road è qualcosa che racconteremo ai nostri nipotini quando saremo pieni di rughe e attaccati a un catetere! Un vero sogno! Solo l’idea di aver registrato nelle stesse sale dove tutti i nostri idoli musicali hanno inciso pezzi di storia, fa venire i brividi. La parte più bella era stata poi l’essere stati invitati a suonare dal vivo nel leggendario Studio 1 (il più grande di Abbey Road, destinato principalmente alle colonne sonore). È stata un’esperienza che non dimenticheremo mai. Per “Look Closer” invece abbiamo scelto un approccio più intimo e familiare, proprio perché come ti dicevamo prima per noi è molto importante legare la nostra musica a sensazioni e stati d’animo. Abbiamo optato per “La Sauna Recording Studio” in provincia di Varese, uno studio unico, pieno di macchine, microfoni e strumenti vintage meravigliosi. Lo studio è stato ricavato da una vecchia sauna in riva al lago di Corgeno, ci abbiamo speso diversi mesi. Arrivare ogni mattina in un luogo dove davanti a te vedi solo prati, acqua e montagne è qualcosa che inevitabilmente va a influenzare il tuo processo artistico. All’interno dello studio abbiamo trovato anche due fonici molto disponibili, Luca Martegani ed Enrico Mangione, che sono diventati indispensabili per la composizione del disco, fino a diventare i produttori artistici di questo album.

A livello di musicale non vi definite in un unico genere e ne uniti vari, ma c’è qualcosa che in futuro vorreste sperimentare e non avete mai provato?

Se c’è un artista che ci ha sempre affascinato in tutto e per tutto, questo è David Bowie. A nostro avviso la sua capacità più grande è stata quella di essere un artista multiforme, che non si è mai preoccupato di essere etichettato in un solo genere e che nella sua carriera ha sperimentato qualsiasi cosa, spesso prevedendo rivoluzioni musicali che ancora non si erano sviluppate. Questo è per noi un modello da seguire ed è ciò che vorremo essere negli anni. Mantenere una salda percezione di noi stessi, senza mai assomigliare a noi stessi. Non sappiamo ancora dove ci porterà il nostro prossimo capitolo, ma sicuramente ci sono elementi all’interno del mondo delle produzioni elettroniche e trap che ci affascinano molto. Sarebbe bello vedere come una band rock si destreggia con 808 e sample, ma chissà!

Nel futuro vi piacerebbe collaborare con qualche artista in particolare?

Ce ne sono così tanti che ci sarebbe da fare una lista della spesa! Qualche nome che ci viene in mente potrebbe essere Kevin Parker dei Tame Impala, Travis Scott, Motta, Kanye West, Blake Mills… Ce ne sono troppi!

Vi chiedo, in chiusura, di lasciare un messaggio speciale ai nostri lettori e ai vostri fan.

Ci teniamo a ringraziarvi per questa bella intervista, speriamo che qualche nuovo lettore si incuriosisca riguardo al nostro progetto. Ai nostri fan mandiamo sempre tanto amore e li ringraziamo per il sostegno costante. In questi tempi bui è fondamentale per noi tenere una luce di speranza accesa e non lasciarci trascinare da facili egoismi. Auguriamo a tutti buona fortuna e buona salute! Grazie per il tempo che ci avete dedicato!

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