A meno di due anni di distanza dalla precedente release omonima, gli Oceans Of Slumber tornano con “Starlight And Ash”, che segna un importante cambiamento nelle scelte stilistiche della band texana. Per l’occasione abbiamo avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con il mastermind Dobber Beverly, che ci ha parlato del concept dietro il quinto full-length con uno sguardo sulla propria vita personale, nonchè dell’incontenibile emozione di ritornare abitualmente ad esibirsi dal vivo.
Ciao Dobber, benvenuto su SpazioRock! Innanzitutto come stai?
Sto bene. Sto cercando di prepararmi per lo spettacolo di stasera.
A proposito di concerti dal vivo, ora che piano piano stanno riprendendo (per fortuna), quanto a voi artisti è mancato tutto questo dopo il lockdown?
È ovviamente molto importante per noi poter suonare dal vivo, quindi ci mancava molto. È più o meno la stessa cosa di quando impari a leggere o parlare, è intrinseco nella natura di noi musicisti. Vorremmo solo fare dei bei spettacoli e divertirci, siamo emozionati e nervosi allo stesso tempo, ma la band è più che pronta, fondamentalmente è un modo per tornare alla normalità ed essere ciò che siamo. Ed è anche davvero fantastico perché abbiamo una buona reputazione come band dal vivo, del tipo vecchia scuola, non usiamo basi, creiamo tutto in tempo reale, i cambiamenti di tempo, le improvvisazioni sono uniche. Un nostro spettacolo non è un ricreare a mo’ di copia-incolla ciò che è sul disco, è sempre una versione migliore di qualsiasi cosa che abbiamo mai registrato. Renée Fleming, il famoso soprano americano, diceva: “Non dai mai la tua migliore esibizione nei migliori spettacoli, ma se riesci a dare l’80% del tuo meglio ogni volta che ti esibisci è tanto”. Ecco perché ci prepariamo a dare sempre il 110%. Le nostre aspettative sono molto alte e quindi potremmo sentirci male ogniqualvolta non raggiungessimo quel livello, ma il fissare un obiettivo elevato rende lo spettacolo migliore anche per l’ascoltatore.
Avete da poco pubblicato il vostro nuovo album, “Starlight and Ash”, per cui vi faccio i miei complimenti! Com’è stato il processo di realizzazione di questo nuovo lavoro, musicalmente parlando?
È venuto fuori tutto naturalmente, come il resto dei lavori precedenti. Ho deciso che questo è proprio il punto in cui mi trovo nella mia vita in questo momento. Per quanto riguarda il processo di scrittura di questo album, per una band come gli Oceans Of Slumber ero venuto a patti con l’idea di rimuovere l’ego e il divertimento che avremmo potuto pensare di avere, fondere tutte queste cose metal e far diventare questo lavoro ciò che mi rappresenta di più come persona. E così ho voluto fare un passo indietro e iniziare a guardare a quelli che sentivo davvero essere gli aspetti più importanti della band e che erano sicuramente Cammie, la cantante, mia moglie. E quello che volevo fare era mettere alla prova la mia capacità di stesura e scrivere canzoni che si adattassero alla sua voce e darle la migliore opportunità di brillare. Ma ciò suona piuttosto premeditato. Abbiamo semplicemente scritto canzoni che pensavo davvero sarebbero suonate bellissime con il suo canto, ed è stato così. Comunque l’onestà è ciò che ci guida, e noi abbiamo avuto molta ispirazione nell’ultimo anno e mezzo, quindi è stato facile scrivere questo disco.
Mi sembra – ad una prima impressione – un concept album, una raccolta di brani che parlano del dolore, della disperazione e del senso di solitudine che possono toccare l’essere umano. Puoi spiegarci un po’ meglio?
Il concept del disco è nato dall’esplorazione dei traumi infantili, quindi dalle storie di tutti nella band, e poi dalle storie personali di me e di Cammie. Quindi abbiamo sostanzialmente ampliato queste idee e storie, alcune delle quali sono vere. Alcuni brani sono più fantastici, elaborati ma riguardano cose che hanno a che fare con la reale solitudine. Penso che alcuni degli scritti che sono iniziati a venire fuori con questo disco s’incentrino sulla solitudine dei bambini cresciuti con i genitori che lavorano, che fanno del loro meglio per nutrirli. Ogni canzone è unica ma sono legate l’una all’altra: in alcune vi è un narratore interno che descrive ciò che accade intorno e dentro sè, poi si passa ad un punto di vista esterno e si parla di quello che succede al protagonista e nei posti che quest’ultimo non riesce a vedere, come l’interno di una casa standone fuori. Ecco di cosa si tratta. È un disco molto profondo, concettualmente.
Tra i singoli estratti spicca senza dubbio “The Lighthouse”, che è accompagnato da un suggestivo video cinematografico. Com’è stata questa esperienza di riprese?
Abbiamo presentato le storie, i concetti, le sceneggiature con la lungimiranza della compagnia e grazie ai brillanti direttori della fotografia, registi e co-registi abbiamo inventato una storia, e ne hanno girato un concept video mentre ero in tour con i Necrofier un paio di mesi fa negli Stati Uniti a supporto dei Danzig. Poi sono state apportate modifiche, aggiustamenti qua e là e ne uscito un lavoro assolutamente incredibile. Siamo anche tutti molto commossi dai protagonisti del video, hanno interpretato in maniera realistica dolore, angoscia, senso di colpa, odio e amore. Vi piacerà!
La copertina dell’album è piuttosto sorprendente, è stata realizzata dal grande Eliran Kantor e incarna perfettamente lo spirito del contenuto. Gli avete dato qualche suggerimento su quello che avevate in mente o semplicemente gli avete lasciato fare il suo lavoro?
C’è una statua famosa quaggiù sulla costa ad Austin di una donna che abbraccia un bambino, che emana un senso di tragedia, amore, protezione. Perciò abbiamo dato ad Eliran delle idee su questo, il disco e questo è quello che ne ha tratto. C’è un che di etereo nello sguardo sofferente della madre che tiene in grembo il suo bambino, ma allo stesso tempo è il bambino che tiene sua madre. E ognuno ha la propria personale interpretazione, per me è il desiderio di amore e la cura nella protezione. E il faro sullo sfondo ha a che fare con il senso di guida. È tutto molto intenso.
Il vostro stile musicale non è molto definibile in una categoria, tutto quello che ho percepito è che è molto poetico, e parla dritto alle viscere e all’anima, perché è molto onesto, come hai detto. Quali sono i punti fermi nella vita che ti tengono così attaccato alla realtà?
Le uniche cose che mi tengono attaccato alla realtà sono mio figlio, mia moglie e poi mio padre, questo è tutto. Non sono neanche religioso, quindi penso che ci siano solo una manciata di cose da cui dipendo davvero. Gli elementi che ho elencato prima sono le forze trainanti: se non ci fossero loro, sarei volato via da un pezzo, ma loro danno senso al mio bisogno di esistere.
Forse è un po’ presto, ma state pensando di fare un tour mondiale?
Da tutto ciò che possiamo vedere è davvero difficile per noi andare fuori dagli Stati Uniti in questo momento, finanziariamente parlando. Ci piacerebbe tornare di nuovo in Europa, ci piacerebbe andare in Sud America ma spenderemmo quasi il doppio del normale il che rende il tutto un po’ più difficile, servono come minimo 6/7 mila dollari solo per andare laggiù. E poi dobbiamo anche mantenerci per poter viaggiare da un posto all’altro. Sì, ci piacerebbe tornare in tournée all’estero, quando accadrà non lo sappiamo, bisogna anche vedere i promoter locali. Ci piacerebbe esibirci nei piccoli club, siamo davvero stanchi di cercare di adattarci a tutti, io personalmente lo sono. E quindi preferiamo avere un pubblico più piccolo che cercare costantemente festival, tour di supporto, che non corrispondono al nostro sentire, che non funzionano. Vogliamo fare arrivare un messaggio con la nostra musica, e non andare a suonare con una band metal super cool o qualcosa del genere. Vogliamo un qualcosa di nostro, non vogliamo la cosa di qualcun altro.
Stiamo arrivando alla fine dell’intervista. Vorresti lasciare un messaggio finale ai vostri fan italiani e ai nostri lettori?
L’unico messaggio che ho è che sogniamo di tornare in Italia, non c’è molto altro da dire. Ci auguriamo che tutti trovino un posto per il nostro disco; se così non fosse, lo capiremmo ugualmente. Ma se alla fine riuscissimo il prossimo anno ad arrivare presso le vostre coste, stare nel vostro territorio, respirare la vostra aria e tornare in una delle culle della civiltà e della creatività moderne, sarebbe meraviglioso. Ci speriamo.
Grazie mille per il tuo tempo. Speriamo di vedervi presto on the road!
Di nulla. Speriamo davvero presto!