Gli X Ambassadors tornano questo venerdì con “Townie”, un album che rappresenta un ritorno a casa non solo metaforico per Sam e Casey Harris, che, insieme al resto della band, hanno registrato parte del lavoro proprio vicino a Ithaca, città di origine dei fratelli Harris.
Abbiamo parlato con Sam, Adam Levin e Russ Flynn della genesi di “Townie”, esplorando i motivi che hanno portato la band ad affrontare il concetto di “casa” e di riavvicinarsi alle proprie origini proprio in questa loro specifica fase di vita.

Ciao ragazzi, è un piacere incontrarvi. Come state? Siete in tour in questo momento, come sta andando?

Sam: Ciao, il piacere è nostro! Siamo in tour da 3 settimane e la stanchezza inizia a farsi sentire. Nonostante questo, sta andando tutto benissimo, gli show sono veramente una bomba. Saremo in Europa ancora per una decina di giorni e poi torneremo negli Stati Uniti. 

Manca pochissimo alla pubblicazione del vostro nuovo album “Townie”. È un disco che parla di origini, quindi partirei proprio da qui. Sam, com’è stato crescere a Ithaca?

Sam: È stato bellissimo. Ithaca è una piccola città universitaria persa nell’Upstate New York. Per circa 3 mesi all’anno è uno dei posti più belli del mondo. Io e mio fratello Casey abbiamo avuto la grande fortuna di crescere nel bel mezzo della natura, nel senso più vero del termine. Ci sono cascate, laghi e fiumi bellissimi, e noi ce la siamo vissuta in tutto il suo splendore. Per il resto dell’anno, invece, è freddo e grigio, è tristissimo.

Un po’ come Milano oggi.

Sam: (ride, ndr) Sì, ma immaginati questo per il 90% dell’anno. La peculiarità di Ithaca è quella di essere una città di passaggio, essendo una città universitaria. Ci sono studenti che vanno e vengono in continuazione, è una sorta di tappa intermedia, un po’ come l’università stessa, che infatti è un po’ una fase di passaggio tra la tua vita da adolescente e quella da adulto. Noi che siamo cresciuti lì e vivevamo lì veniamo chiamati i “tipi di città” (townie, ndr). Abbiamo visto gente andare e venire costantemente, e credo che questo abbia fatto sorgere in me questa irrequietezza che ho sentito dentro per tanto tempo. Volevo andarmene a tutti i costi. Ce l’ho messa tutta per riuscirci, e, alla fine, ce l’ho fatta. Crescendo, ho sentito sempre di più questa sorta di richiamo verso la mia città di origine, credo sia molto naturale. È un posto che sento legato a una parte molto profonda della mia anima, e più tempo ci passo, più riesco a riconnettermi con le persone con cui sono cresciuto, con quelle che mi hanno cresciuto e con le persone che ho lasciato indietro. È un processo che rafforza molto l’identità. Da cantautore, quello che cerco di fare sempre è ricercare la verità nelle cose, e in questo caso, un senso di identità. Ognuno è definito anche dal posto da cui proviene e dalle persone con cui è cresciuto. È per questo che credo che questo disco sia molto identitario per noi come band.

Come mai hai sentito la necessità di affrontare questo tema proprio adesso?

Sam: È un’ottima domanda. Ho 35 anni, sto entrando in una nuova fase della mia vita adulta in cui tutti stanno cambiando e stanno iniziando a crescere. Ho dei figli, sono un genitore, e ho più o meno l’età che avevano i miei quando mi hanno avuto.

Credo che ci siano due motivi. Il primo è la morte del mio insegnante e mentore Todd Pearson avvenuta nel 2021. La canzone “Your Town” è dedicata a lui. Quando è morto ho fatto a pugni con il mio senso di colpa per non averlo più cercato, per non avere più risposto alle sue chiamate e ai suoi messaggi. Mi dava quasi fastidio quanto si curasse del fatto che stessi bene, si lamentava del fatto che non lo chiamavo abbastanza spesso. Mi sono sentito molto in colpa per il fatto di non averlo sentito di più, soprattutto quando penso che lui stesse attraversando un momento difficile. Vorrei esserci stato per lui, e penso anche che anche la mia comunità avrebbe potuto stargli più vicino. Non che sia colpa di qualcuno, ma è una cosa che mi ha colpito davvero molto. 

Oltre a questo, vedere mio fratello sposato e padre di due figli, si è fatto la sua vita. Parte della mia identità è determinata da mio fratello, essendo il fratello di una persona portatrice di una disabilità. Vederlo in questo ruolo di cura, in una dinamica in cui non sono io a occuparmi di lui, mi ha fatto pensare molto a me stesso e a chi sono. 

Quindi, sì, direi che questi sono stati i due eventi principali che mi hanno riconnesso a Ithaca, ovvero mio fratello che si prende cura dei suoi due figli mi ha fatto rendere conto del fatto che non è più necessario che io mi prenda cura di lui, o, almeno, non come ho sempre fatto. E la perdita di Todd. Questi due eventi mi hanno portato a scrivere questo album. Gli altri membri della band hanno capito cosa stavo passando. A un certo punto eravamo a Los Angeles, all’inizio dei lavori su questo disco, e ho avuto un momento di crollo. Eravamo in studio e ho detto loro “Non ce la faccio a lavorare qui”. Abbiamo iniziato a pensare a dove andare, anche in posti assurdi e lontani, e poi ho detto “Magari, possiamo andare nell’Upstate New York”. Così abbiamo trovato uno studio bellissimo lì, ed è qui che abbiamo fatto la maggior parte del lavoro sul disco. Avere fatto questo viaggio insieme ai ragazzi ha permesso loro di capire quanto sentissi questa cosa.

Per voi com’è stato, invece?

Russ: Credo che sia stato importante finalizzare il disco nell’Upstate New York. Abbiamo registrato in questo bellissimo studio. Penso che sarebbe stato un disco completamente diverso se l’avessimo registrato da un’altra parte. L’esperienza di vivere questo posto cupo è stata fondamentale nel dare forma insieme a questo disco.

Sam, hai citato il brano “Your Town”. C’è un verso che dice “Don’t forget about your town”. A chi ti stai rivolgendo con queste parole?

Sam: Quella frase è detta dal punto di vista di Todd, dal punto di vista di qualcuno che vive ancora in quel posto che tu hai lasciato. È un modo per dire di ricordarsi cosa ti rende la persona che sei.

Ti stavi riferendo anche a te stesso, in un certo senso? 

Sam: In un certo senso, sì. È un’arma a doppio taglio, alla fine. Si crea questa dinamica complicata quando qualcuno è un riferimento per qualcun altro e poi se ne va, mentre l’altro rimane. A volte è difficile gestire il fatto che la persona che se n’è andata a volta ritorni. Sembra quasi che la persona che ritorna sia colpevole del fatto di essersene andata. Ma è molto importare ricordare a questa persona che se n’è andata che ok, sei in una rock band e fai tour in tutto il mondo, stiamo spuntando delle cose dalla lista delle cose che volevamo dare che sono davvero fantastiche, che non speravamo nemmeno di riuscire a fare, ma in fondo sono ancora quel ragazzino di 14 anni insicuro e alla ricerca di attenzioni che ha paura di diventare invisibile.

XAmbassadorsBand

Cos’è casa per voi quindi?

Adam: Io, Sam e Casey viviamo a Los Angeles. Io sono di Los Angeles, e ho avuto un’esperienza opposta rispetto a quella di Sam. Sono cresciuto a Los Angeles, una città dove tutto è possibile. Conoscevo star, attori, non avevo il desiderio di andarmene. Ho vissuto a New York 10 anni, è lì che ci siamo incontrati, e anche quella è stata casa per me per un po’. Ma Los Angeles è sempre stata casa per me. È interessante il fatto che sono ritornato nella mia città natale, anche se è un tipo di esperienza diversa, perchè l’ho sempre amata e ho sempre voluto tornarci. Non ho mai provato quella sensazione di dovermene andare a tutti i costi, come invece è successo a Sam. È una commistione di cose interessante, comunque.

Sam: Casa è comunità, è il senso di comunità che si crea con le persone intorno a te, le persone delle quali scegli di circondarti. È un fattore estremamente determinante.

Russ: In un certo senso, almeno in questo momento della mia vita, per me casa è anche essere in tour con loro. Si crea un legame difficile da spiegare. C’è un certo senso di casa, nonostante si viaggi perpetuamente.

Tutto l’aspetto visivo legato all’album è fatto tanto anche di repertorio analogico. Nei video che avete pubblicato ci sono pezzi di girato molto vecchi, oppure nel video di “No Strings” avete scelto questo bianco e nero che riporta un po’ al passato. Come avete approcciato questo aspetto?

Sam: il disco è molto coerente, ci siamo aperti al nostro sound più vero. Con questo intendo dire che quando abbiamo iniziato eravamo 4 ragazzi in una stanza che suonavano degli strumenti, un momento di autenticità di questo progetto. C’è poi questa tendenza naturale, quando qualcosa è molto intimo e personale, almeno per quanto mi riguarda, di essere attratto da cose un po’ nostalgiche, come la pellicola, vecchie videocamere e cose di questo tipo. Abbiamo provato ad approcciare questo tipo di estetica senza cadere nel mondo della nostalgia, cosa molto allettante, anche perché, diciamocelo, a chi non piace un bel viaggione nostalgico? Comunque, penso che abbiamo esplorato questo confine sottile tra qualcosa che ci rappresenta in questo momento, ma che comprenda anche questo posto, quello da cui veniamo io e mio fratello, che è ancora molto nella mia mente e nei miei occhi.

La musica è mezzo perfetto di escapismo. Lo è stato anche per voi mentre crescevate?

Adam: Sì, assolutamente. Credo che tutti noi amiamo la musica per quel motivo. Che tu stia cercando di fuggire o che tu voglia radicarti in qualche posto nuovo, è un modo sia di scappare che di vivere le cose. Ed è stato così anche per me da ragazzino, quando mi immaginavo di suonare nelle mie band preferite.

Cosa direste ai voi adolescenti che cercavano una nuova vita attraverso la musica?

Sam: Per tanto tempo ci siamo detti di tenere duro e andare avanti, di continuare a provarci. Se vuoi fare di questo una carriera, continua a farlo. La chiave è la perseveranza. Oltre questo, però, c’è anche il fatto che molti provano a tenere duro in un ambiente artistico, ma non riesco ad arrivare a una situazione di stabilità economica, o, se la raggiungi, avrai un nuovo obiettivo fissato più in alto. Non raggiungerai mai un obiettivo se non te ne sei posto un altro successivo. Credo che la chiave sia dedicarsi a questo per il gusto di farlo. Se hai abbastanza passione, ti ci dedichi e ti piace farlo, semplicemente continua a farlo. E quando non ti piacerà più farlo, smetti di farlo. Sto leggendo questo bellissimo libro di Elizabth Gilbert, “Big Magic”. A un certo punto racconta di questo scrittore che sta facendo una lezione a una serie di studenti. Uno di loro si alza e dice: sai, credo che abbiamo molto in comune, ma tu hai avuto successo nella tua carriera. Perchè io no? E il fatto di non avere avuto il successo che volevo e per cui ho lavorato tanto mi uccide. Mi sento molto frustrato perchè non riesco ad arrivare dove voglio, cosa faccio? E lo scrittore dice: smetti di farlo. Se ti fa stare male, smetti di farlo. E se ti fermi, fai un passo indietro e ti rendi conto che ti senti meglio e ti permette di aprirti ad altre cose, bene. Se ti fermi, fai un respiro e ti rendi conto che ti manca, anche quello va bene, significa che hai riscoperto la tua passione. Ma non cercare di fare carriera nell’arte per fare soldi o per avere dei riconoscimenti, perchè potresti non averne mai. È molto più probabile che tu non li riceva. Fallo perchè ami farlo, fallo perchè ami stare in garage con i tuoi amici a suonare. Tieni a mente quei momenti e cerca sempre di avere quella sensazione.

Russ: Credo che Sam abbia detto bene, sono d’accordo con lui. Un’altra cosa importante è essere autentici nella creazione. Se non si è veri, significa che non si sta creando niente. A volte ho bisogno di prendermi delle pause. A volte ho bisogno di non toccare nessuno strumento per un mese e semplicemente traggo ispirazione da film, cucina o letteratura. È importantissimo essere sempre anche fruitori di arte, sempre. Quando ero un ragazzino ed ero fissatissimo con la musica, quando mi ritrovavo in dei periodi di stallo mi frustrava molto, ma a volte basta cercare l’ispirazione altrove. Un’altra forma d’arte può essere di grande aiuto. Quindi, sì, fare delle pause, creare quello che ci viene dettato dalla nostra ispirazione, e quando non ti senti ispirato, fai una pausa.

Negli scorsi giorni avete postato un reel con una parte di “Half-Life”, scrivendo anche che, ok, la nostra canzone d’amore preferita è sempre stata “Unsteady”, ma ora lo diventerà “Half-Life”. Sono due canzoni d’amore che affrontano il tema in modo molto diverso, scritte in due fasi diverse della tua vita, Sam. Che ne pensi?

Sam: Sì, sicuramente. “Unsteady” in realtà non è proprio una canzone d’amore, è una canzone che parla del divorzio dei miei genitori.

Che comunque è una parte dell’amore.

Sam: Hai assolutamente ragione. È una canzone sul volere quell’amore, avere bisogno di quell’amore, è un grido di aiuto. È molto onesta. E lo è anche “Half-Life”. Questa canzone è nata in un modo molto particolare. Ho scritto con questi due autori di Nashville, Ben Stennis e Joy Williams dei Civil Wars. Adoro i Civil Wars e adoro lei come autrice. Mi ha proposto lei quel titolo. Quando me l’ha nominato, ha fatto risuonare qualcosa dentro di me, perché giocavo a un videogioco che si chiamava “Half-Life” quando ero bambino. Mi piace molto questa sovrapposizione di cose, cioè l’oscurità, lo sci-fi di questo videogioco, e l’amore, perchè dice: ho vissuto la vita a metà finché non mi sono innamorato di te. Io e Joy abbiamo parlato dei nostri partner. Io e mia moglie siamo cresciuti insieme. Anche lei è di Ithaca. La nostra storia d’amore è davvero bella. Ci siamo frequentati un po’ alle superiori e poi siamo andati nella stessa università, e continuavamo a girarci intorno. Dopo il college ci siamo messi insieme. Stiamo insieme da più di 10 anni. Mi sembra un bellissimo modo per rendere omaggio a questa relazione in un modo semplice e diretto. Sono molto orgoglioso di questa canzone.

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