La prima domenica di febbraio nella profonda Pianura Padana è sinonimo di nebbia, freddo e poche parole. Ma nel foyer del Gran Teatro Geox il clima è brillante. La situazione è quella che solo i grandissimi nomi della storia del rock sanno creare: una miscellanea generazionale di avventori ed avventrici che si mescolano tra la zona bar e quella del merch. Camminando in mezzo ai gruppi ordinati (e molto rispettosi delle costrizioni sanitarie, giusto notarlo) di fan in attesa dello spettacolo, si intercettano argomenti e discussioni alimentate dal DJ set tematicamente proposto da Zedlive. Una volta in sala, la proiezione alle spalle del palco non pone dubbi: campeggia la scritta “The Prog Years”. E questo ci piace molto.
Le luci si abbassano e sullo schermo compare una definizione in stile Tarantiniano del termine Prog Rock, accompagnata da diversi frame di dedica ai grandi del genere: da EL&P ai Genesis. La sensazione è che si stia per assistere ad una lectio magistralis progressiva.
“Nothing Is Easy” apre il set ed uno Ian Anderson subito aggrappato al celebre flauto entra nel vivo di quello che si prospetta come un live di grandi classici. Lo spirito da folletto dei boschi non manca e le movenze che l’hanno reso celebre non si fanno attendere. Le proiezioni indicano i titoli delle canzoni, come per aiutare il pubblico ad orientarsi all’interno di questo percorso nella produzione Tulliana. “Love Song precede un’eccellente versione rivisitata di Thick As A Brick”.
Anderson introduce i brani, narrandone storia e tempo, dando un senso molto lineare ai più di 50 che ci separano da molte delle composizioni eseguite. Con “Living In The Past” lo sfondo si tinge delle immagini iconiche di Woodstock e delle manifestazioni guidate da Martin Luther King, forse a prima visione un po’ in disaccordo con un’esibizione clinica del brano.
Dopo una curioso racconto riguardo il gatto di casa Anderson che divora la piccola fauna del quartiere, il tutto ad introdurre una “Hunt By Numbers” in chiave molto moderna, arriviamo a “Bourée In E minor”. Qui escono i Jethro Tull più classici, nel loro essere barocco e limitando le sonorità del nuovo millennio che invece sembrano prevalere negli arrangiamenti fino ad ora ascoltati. “Black Sunday” scivola via abbastanza dimenticabile, ma ci porta al brano che chiude la prima parte del live: “My God” è ben fatta, coerente, divertente e profonda allo stesso tempo. Primo grande highlight della serata.
Un quarto d’ora accademico di pausa e lo spettacolo riparte con una triade di brani (“Clasp”, “Wicked Windows”, “The Zealot Gene”) a sfondo politico e sociale che sono accompagnati da slide animate di politici e controparti marcatamente anti digitalizzazione e social media. È un frangente un po’ più debole ed il pubblico sembra rilassarsi un po’ nell’attesa di qualche classico. “Song From The Wood” e “Pavan In E-Sharp minor”, con arie da musica da camera sono il preludio ad un’accoppiata di pietre miliari della carriera Tulliana.
“Aqualung”, in una versione decostruita e rimaneggiata, infiamma gli spiriti del Geox, che dedicano una standing ovation alla successiva “Locomotive Breath”, di fattura ancora migliore. Il concerto è finito, condito da un siparietto tutto UK con sullo sfondo delle bandiere dell’Unione Europea a sventolare in segno di disaccordo con l’attuale situazione politica. Inchino e tutti nel backstage.
Quello che resta da questo concerto è la voglia di Ian Anderson di comunicare gli anni del prog in questi tempi, riuscendoci a volte bene, altre volte con più difficoltà. Forse le sonorità muscolari e già vecchie nella loro modernità non aiutano questo compito che il cantautore e musicista britannico ha deciso di affibbiarsi.
Uscendo dal teatro la gente mormora un po’ di “troppa politica sul palco”, ma questo è sintomo di un pubblico che è sempre meno disposto a riflettere sul significato trasversale della musica. Un voto in più a Ian Anderson per aver fatto esattamente ciò che voleva da questo punto di vista, utilizzandosi per qualcosa di più di un passato e di un flauto ancora fortemente illuminato dalla luce del suo genio.
Setlist:
Nothing Is Easy
Love Song
Thick As A Brick
Living In The Past
Hunt By Numbers
Burée In E Minor
Black Sunday
My God
Clasp
Wicked Windows
The Zealot Gene
Songs From The Wood
Pavane In F-Sharp Minor
Aqualung
Locomotive Breath
The Dambusters March