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Polyphia – Remember That You Will Die

Già da tempo, per i Polyphia, era tangibile nell’aria l’arrivo di qualcosa di grande. Insieme dal 2010, i quattro musicisti texani avevano già fatto faville con il terzo album in studio (“New Levels, New Devils”, uscito nel 2018), con cui si erano distaccati dalle radici strettamente djent e math rock degli inizi per abbracciare una polifonia di generi mai vista. Nei mesi precedenti all’uscita del nuovo disco, poi, sembra che la band abbia subito un’ulteriore impennata in termini di notorietà, fra iscrizioni su YouTube duplicate, una comparsata sulla copertina di Guitar World e la creazione da parte dei chitarristi Tim Henson e Scott LePage di tre chitarre firmate con Ibanez.

Da una parte stupisce tutta questa attenzione verso un gruppo strumentale, nonché così improntato sui tecnicismi; dall’altra, tuttavia, non possiamo che ritenerla una fortuna. Quello dei Polyphia è un mondo caleidoscopico fatto di razionalità e minuziosa cura ai dettagli, in un mix che sfida qualsiasi etichetta e che sembra puntare sempre più in alto — cosa percepibile come non mai nella loro ultima fatica, che risulta essere persino più ambiziosa della precedente. Dodici tracce, sei delle quali con tanto di vocals, e ben otto featuring con artisti di ogni sorta, sia indipendenti, sia veri e propri pezzi da novanta: l’eclettismo di “Remember That You Will Die” si vede già dalle premesse.

La prima sezione del disco riprende in parte le sonorità sperimentali a cui eravamo già abituati. Nell’opener “Genesis” i primi ruggiti di chitarra vengono raggiunti da una base classicamente R&B – merito del duo di producer Basstracks, già vincitori di due Grammy – e “Playing God” unisce latineggianti chitarre acustiche a un tocco di bossa nova, mentre “The Audacity” ha dalla sua il produttore poliedrico Anomalie, che ci regala un tripudio di jazz e hip-hop su cui splende la sezione ritmica dei due Clay del gruppo (Hober, al basso, e Aeschliman, alla batteria).

Un brano leggermente trascurabile, “Reverie”, conduce al singolo “ABC”, una delle tracce più interessanti del disco, nonché molto diversa da tutto ciò che la band aveva fatto finora: non solo per la presenza delle inusuali vocals di Sophia Black, che mormora “Made me forget every word, ‘cause, like, that’s a lot of letters” e poi procede a sciorinare alfabeti e hiragana a ritmo di semicrome, ma anche per la strumentale della band, che non sovrasta il cantato e si rimodula invece in una cornice di stampo simil k-pop o j-rock. È come ascoltare la closing theme incredibilmente complessa di un anime, il che, d’altronde, non può che costituire una piacevolissima sorpresa.

Le atmosfere hip-hop tornano nella (quasi) title track “Memento Mori” grazie alla collaborazione con Killstation, le cui lyrics offrono una vaga allusione al significato del titolo di album e brano (“We both know life has to end/Let’s act like love lasts forever”); la traccia scivola abilmente nella successiva “Fuck Around And Find Out”, che tuttavia le risulta musicalmente molto simile, nonostante il contributo emo trap del rapper $not.

Un interludio di un minuto e venti, “All Falls Apart”, precede la penultima traccia strumentale dell’album, “Neurotica”, la quale unisce sonorità elettroniche a tecniche più simili a quelle viste nei primi lavori; il risultato è uno dei brani più alienanti che la band abbia mai creato, un connubio che potrebbe essere tranquillamente prodotto da un androide in un futuro più o meno remoto.

Verso il finale, arrivano gli ultimi tre assi nella manica. “Chimera” e “Bloodbath” portano il disco a nuovi picchi stellari che paiono riassumere tutta l’evoluzione stilistica dei Polyphia. C’è il djent, c’è il math rock, ci sono le influenze latine e soprattutto, ci sono i feat: il trap di Lil West nel finale di Chimera e le vocals eteree di nientedimeno che Chino Moreno dei Deftones in Bloodbath.

La ending track “Ego Death” vede entrare, superato il terzo minuto, una terza chitarra: è Steve Vai, forse il feat più atteso del disco. Il build-up e il pezzo in generale, che si chiude con il ritornello ripreso da un trombettista, sono costruiti divinamente. Forse ci si sarebbe potuti aspettare qualcosa di ancora più “esplosivo” da una collaborazione di questo calibro, sebbene piazzata in coda all’album trasmetta all’ascoltatore un senso di epicità inaudito e soprattutto, lo lascia con una domanda interessante da porsi circa il modus operandi del gruppo: che l’omogeneità finale dell’insieme, tale per cui ogni strumento ha modo di eseguire i suoi mille virtuosismi senza mai dominare sugli altri, sia una definitiva e deliberata “morte dell’ego”?

Viene anche da chiedersi se i Polyphia saranno effettivamente in grado di stupirci ancora, dopo questi ultimi lavori; “Remember That You Will Die” è senz’altro riuscito nell’intento di portare il sound già creato qualche anno fa a nuove vette di sperimentazione e di altisonanza, pur senza rinnovarlo del tutto – la presenza di qualche brano filler, unico neo dell’album, lo conferma. Nessuno, d’altra parte, può sapere cosa i quattro virtuosi avranno in serbo per noi in futuro, ma se Guitar World ha ragione a definire quella con Vai “la collaborazione chitarristica dell’anno”, possiamo stare certi che siamo davanti a qualcosa di molto importante per i guitar heroes delle generazioni a venire.

Tracklist

01. Genesis (feat. Brasstracks)
02. Playing God
03. The Audacity (feat. Anomalie)
04. Reverie
05. ABC (feat. Sophia Black)
06. Memento Mori (feat. Killstorm)
07. Fuck Around and Find Out (feat. $not)
08. All Falls Apart
09. Neurotica
10. Chimera (feat. Lil West)
11. Bloodbath (feat. Chino Moreno)
12. Ego Death (feat. Steve Vai)

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