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The Damned – Machine Gun Etiquette

Articolo a cura di Ivan Perilli

Si crede di sapere, questo è l’errore madornale, se non proprio fondamentale, di qualsiasi esistenza condotta in maniera grossolana e ignorante. Grossolano è chi crede che la musica classica sia noiosa perché si addormenta sentendo gli illimitati valzer viennesi in TV il giorno di Capodanno, chi crede che la pallacanestro sia tirare un pallone di gomma in un cerchio o chi pensa che i Pink Floyd siano solo quelli soporiferi di “Shine On You Crazy Diamond”. Entrando nel vivo a seguito di questa opinabile apertura, grossolano è anche chi crede che il punk sia solo quello “tre accordi e via” dei Ramones e dei Sex Pistols. Anche chi aggiunge che il punk originale sia quello, e solo quello. No, il punk non è solo quello, è tanto altro. I Clash, pesantissimo valore aggiunto, le New York Dolls – i fondatori – e tanti altri sporchi cattivoni (Sham 69, Vibrators, Dead Kennedys) o simpatiche canaglie come i Buzzcocks. Poi, man mano che si decide, consapevolmente, di andare oltre la banale dicitura di qualsiasi genere musicale o artistico, ecco che – sviscerando davvero cosa sia stato il punk – troviamo una miniera in cui avventurarci, anche ad occhi chiusi, inciampando, finendo di faccia per terra e finalmente ascoltiamo dalle pareti una valanga sonora, un baccano bellissimo e variopinto, nero, viola, verde militare e blu scuro, sputato, vellutato, veloce, sincero ma anche complesso. Lampeggia il 1979, è Londra e questa miniera non può che non essere in territorio punk. Ma è davvero tutto questo “solo” punk? Ecco, abbiamo fatto bene a inciampare, ora stiamo ascoltando “Machine Gun Etiquette”, degli incredibili Damned. Punk, glam, art-rock, cultura.

È il loro secondo album, giusto per dare qualche informazione enciclopedica. Un titolo che vale un Pulitzer sia per il significato sia per come suona. Prova a dirlo ad alta voce, senti come parte aspro e duro e poi s’ingentilisce: Machine Gun Etiquette. Non è formidabile?

…e conseguentemente parte davvero aspro, una botta di chitarre e poi la rabbia punk, vera e pure suonata bene, quella di “Love Song”, e spero che qualcuno si sia davvero innamorato cantando “I’ll be the rubbish, you’ll be the bin” – una roba che va ben oltre i flowers in the dustbin degli addirittura più presentabili Sex Pistols, in questa occasione. Perché se dobbiamo parlare di presenza e stile, i Damned ne hanno sempre avuta da vendere. In ogni caso non tiriamo il fiato, siamo ancora in appena con la veloce title track, abbiamo già due canzoni belle e finite e sono passati quattro minuti e centinaia di colpi di rullante. Tutto suona cattivo, pieno di risentimento, tutto tremendamente nichilista.

Ma di sorpresa ci coglie la terza traccia, il miracolo dark-punk intitolato “I Just Can’t Be Happy Today”. Rieccoci nella grandiosità nella scelta dei titoli, proprio come l’album, associato a un testo di stampo tanto sociale quanto fondamentalmente criptico. Ma la vera meraviglia è il sound così avanti per il 1979, con un assolo di tastiera, synth o quel che stanno usando per tagliare l’aria e mettere in chiaro che ci sanno fare eccome, nonostante siano… punk.

“Melody Lee” e “Anti-pope” resettano i binari sul punk veloce e cupo che avevamo inteso all’inizio, ma poi una strampalata e decadente “These Hands” ci spiattella uno scenario quasi… parigino? Ma che siamo a Montmartre? È un valzer? Ci sembra quasi di sentire delle fisarmoniche o ce le stiamo sognando, con questo strambo colpo di genio? No, niente di tutto questo: siamo al circo e un clown ci sta mettendo le mani al collo, si sta prendendo la sua rivincita. Finisce male per noi, mentre lui se la ride di gusto.

Cosa diavolo significa “Plan 9 Channel 7”? Il primo brano lungo (cinque inammissibili minuti) parla di James Dean e Vampira, della loro storia d’amore, realmente accaduta. Horror punk, lo chiamano alcuni – altri invece comedy punk, perché prende ispirazione, botta sonora e riferimenti cinematografici da “Plan 9 From Outer Space”, un filmone di quelli che lasciano il segno un po’ nel trash, e un po’ nell’arte pop – quando l’arte era ancora per prima cosa un tentativo e poi, solo eventualmente, un successo. La protagonista di quel film era proprio Vampira. I Damned quindi vi ci fanno una romantica canzone punk a proposito, su quei due personaggi non proprio tra i più buoni a scuola, anche se quella scuola si chiamava Hollywood.

Cosa c’è di più accattivante di tutto ciò? Altro ancora. Basta infatti sorbirsi tre canzoni “tradizionali” ed ecco che arriva qualcosa di ancora più entusiasmante di Dean&Vampira: “Smash It Up”, la chiusura dell’album: brano – ma non era necessario – demarcato in parte 1 e 2, che ci invita, dopo una tanto gentile quanto sospettosa introduzione tutta arpeggio e malinconia, alla più ovvia delle conclusioni, col sorriso sulle labbra e la puzza di morto che ci rimbalza davanti agli occhi, ci siamo inzaccherati in grande baldoria finale e l’unica cosa da fare è spaccare tutto quello che ci capita a tiro, senza pensarci e anzi festeggiandone le conseguenze, o proprio non pensarci, perché siamo sempre nel 1979 e la musica punk non avrebbe mai pensato di arrivare sana e salva al mattino dopo.

Tracklist

01. Love Song
02. Machine Gun Etiquette
03. I Just Can’t Be Happy Today
04. Melody Lee
05. Antipope
06. These Hands
07. Plan 9 Channel 7
08. Noise Noise Noise
09. Looking at You
10. Liar
11. Smash It Up (Part One)
12. Smash It Up (Part Two)

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