Sul calar della sera il popolo dell’Auditorium Parco della Musica di Roma raggiunge la cavea, dove a breve suonerà Yusuf Islam, ai più conosciuto con il nome d’arte degli anni ’60, Cat Stevens. Appena il tempo di aspettare che il sole sparisca dietro l’orizzonte, e intorno alle 21.20 fa il suo ingresso sul palco, quasi sommessamente, il gigante del folk britannico. Si parte subito dagli anni Settanta con “The Wind” e “Moonshadow”, e al pubblico è evidente che sul palco, insieme a Yusuf, questa sera ci sarà anche Cat Stevens, ormai alla soglia dei 75 anni. Una dicotomia che è difficile non tenere in considerazione quando si parla dell’artista che, forse più di ogni altro, ha un prima e un dopo segnati nella sua vita e nella sua musica, la conversione religiosa. L’emozione è tanta già dai primi accordi di chitarra, dalla quale l’artista inglese non si separerà per tutta la durata del concerto, se non per passare al piano elettrico. Due motivi bastano per rendere il concerto degno di nota. Nove anni sono passati dall’ultima volta che mise piede in Italia per esibirsi, ma anche perché Yusuf/Cat Stevens è reduce dalla pubblicazione del nuovo album intitolato “King Of A Land” (pubblicato da BMG e Dark Horse Records). Questa diciassettesima fatica è il risultato di dieci anni di lavoro, come Yusuf spiega più volte sul palco mentre annuncia le nuove canzoni, da Higness a Pagan Run, e che lo vedrà in tour, oltre che in Germania e Spagna, anche nel Legends Slot del Glastonbury Festival.

Tuttavia, ciò che rende questo concerto straordinario è la dimostrazione di come il suo viaggio artistico porti con sé una filosofia unica nella musica e nella vita. È un atto d’amore personale, di impegno civile e di fratellanza, con un occhio di riguardo ai bambini: “Siamo stati tutti bambini, ma purtroppo a un certo punto cresciamo”, dice dal palco poco prima di intonare ”(Remember the Days of the) Old Schoolyard”. E poi ancora l’amore per sua moglie (in “Hard Headed Woman” che omaggia Elvis) e per il suo cane (“I Love my Dog”), dimostrano la gentilezza d’animo di un artista nato per parlare al cuore di tutti, senza filtri, come in “Trouble”, in cui si rivolge direttamente ad un fantomatico problema, uno di quelli che tutti abbiamo nella vita, e gli dice: “Vacci piano con me”. Ci sono molti altri omaggi durante lo spettacolo, da Nina Simone (“Colei che ha influenzato la mia voce più di chiunque altro”) a George Harrison con “Here Comes the Sun” (“Colui che mi ha incoraggiato a cercare l’ispirazione” sono le parole che gli dedica sul palco), o ancora John Lennon e Paul McCartney con una festosa versione di “All You Need Is Love”. Si torna indietro nel tempo con il capolavoro “Tea for the Tillerman” in una versione dai toni gospel o la straordinaria “Morning Has Broken”. Ci sono poi i brani che hanno lasciato un segno nella storia e nella vita di molti come “Wild World”, “Father and Son”, e “Peace Train”. Incredibile quanta verità ci sia nelle parole che accompagnano le esibizioni: “Se sei un cantautore non puoi essere il proprietario di una canzone, ma la regali a tutti”. Così si può catturare l’essenza del gigante del folk britannico, massimo esponente di quella corrente che ha visto ergersi – e a volte cadere – molti di coloro che hanno reso grande il genere, dai Fairport Convention passando per l’estro jazz dei Pentagle, ma che lui solo ha saputo trasformare in canzoni per la gente, di quelle che fanno il giro del mondo e si depositano sul cuore dell’ascoltatore.

Yusuf non teme il confronto con il suo sé del passato e spesso scorrono sullo sfondo immagini di Cat Stevens da giovane, e persino un duetto che attraversa il tempo, mostrando il suo percorso di crescita e ritrovata serenità come artista dopo anni di stop. Sfoggia un sorriso placido per tutta la durata del concerto e parla di temi come l’ambientalismo, la guerra e la pace (addirittura immagina di rinchiudere tutti i leader politici nello zoo di Londra), il capitalismo e molto altro ancora, accompagnati dalle splendide illustrazioni in formato cartone animato di Peter Reynolds, che scorrono sullo sfondo. Arrangiamenti dal gusto sopraffino, una band che tutti i musicisti vorrebbero e una voce che con gli anni ha guadagnato colore sono poi gli elementi che completano il successo di questa incredibile data romana di Cat Stevens. Una lezione di mestiere a tutti i cantautori di oggi che, ahiloro, devono fare i conti con il calibro artistico di chi li ha preceduti. E il finale è sempre positivo, dopo sei decenni di lavoro, cento milioni di album venduti, una discussa conversione all’Islam, ma una ricerca inesauribile della spiritualità che passa anche attraverso la musica.

Setlist

The Wind
Moonshadow
I Love My Dog / Here Comes My Baby / The First Cut Is the Deepest
Matthew & Son
Where Do the Children Play?
Oh Very Young
Hard Headed Woman
Sitting
Tea for the Tillerman 
(Remember the Days of the) Old Schoolyard
Trouble
O’Caritas
All Nights, All Days
Morning Has Broken
Take the World Apart
Here Comes the Sun
Don’t Let Me Be Misunderstood
Highness
Peace Train
Pagan Run
Wild World
Father and Son
Maybe There’s a World / All You Need Is Love
If You Want To Sing Out

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