Si associa solitamente il metal alle nottate di decibel, sudore e birra, a scatenarsi sotto a un palco, anche piccolo e rotto, fino a tornare a casa all'una con le ossa e le orecchie doloranti.
Oppure, al limite, la luce del sole sull'enorme palco di un festival, con dozzine di band e piccoli scaglioni di pubblico man mano interessato.
Ma un concerto, uno solo, fa quantomeno sorprendere se è all'ora del tè: eppure, è quello che è successo all'Orion di Roma, il 25 Febbraio, dove dalle 17.30 il consommè veniva servito dagli Striker. Apertura per il "gran finale" Sonata Arctica; l'atmosfera moderna, quasi steampunk, del locale aiuta a calarsi nel ruolo: ma sì, fingiamo che siano le nove, tanto è buio. Un gruppo di musicisti in bilico fra l'eccesso e la sguaiataggine degli anni '80, fatti di giubbotti di pelle e chitarre Jackson, e la pulizia della gioventù e del metal moderno, calcano il palco per una proposta decisamente in linea con la loro immagine. Ragazzi di oggi che propongono un hard&heavy fortemente ispirato al glam anni '80, con chitarre taglientissime, armonie vocali, vibrati sobbalzanti e soprattutto una presenza scenica coerente e dinamica. E anche se viene voglia di etichettare una band anni '80 formata da -si fa per dire- fanciulli come pacchiana o poco necessaria, la risposta del pubblico è sempre più eloquente: c'è attrazione verso il baldanzoso eccesso, è un'attitudine dura a morire e che, a questo punto, non morirà mai.
Passata l'ora del tè, si cambia anche tiro: l'aperitivo lo servono i Triosphere, band melodic sostenuta dalla carismatica bassista e vocalist Ida Haukland. La proposta risulta certamente meno satura e meno dinamica degli Striker. Un heavy metal molto più preciso e simmetrico, esattamente come la presenza scenica dei Triosphere, in perfetta fila indiana chitarra-basso-chitarra, coreografia tutto sommato interessante, tenuta con coraggio.
Ma tè e aperitivo sono solo antipasti per la cena, servita un po' prestino a dire la verità, dai mitici finnici di Toni Kakko: alle 19.30 spaccate i Sonata Arctica tingono il palco di viola facendo il loro ingresso in un Orion piuttosto attivo. I Sonata presentano il nuovo disco The Ninth Hour, e con esso aprono, fra le ragazze in visibilio e una percentuale maschile più elevata dei precedenti concerti della band a cui chi scrive, fan (deluso) da tempo immemore, ha assistito.
Nonostante si cerchi sempre di discostarsi dal solito, insopportabile "i vecchi dischi erano meglio", il tempo non sempre è benigno, e con i Sonata Arctica è stato piuttosto avaro. Con il tempo unicità e voglia di emozionare si fanno un po' da parte per accontentare tutti, costringendo un gruppo già provato da sperimentazioni più o meno riuscite, ma sempre poco apprezzate, ad un "ritorno alle origini" forse un po' forzato, certamente anacronistico.
L'ispirato ed emozionante prog di "Unia", ai tempi, non colpì quanto invece un lavoro del genere avrebbe meritato; non che questo fosse un motivo per buttarsi sul versante opposto con l'opinabile "Stones Grow Her Name"; la morale è che sono due/tre dischi che la band finlandese tenta in tutti i modi di tornare agli antichi fasti del power metal.
Ma il tempo è tiranno: la (sempre) splendida voce da baritono spinto di Toni Kakko è destinata ad abbassarsi, la scena ad evolversi. Ciò che invece aiuta è riproporre i grandi classici, da "Tallulah" a "Fullmoon", intelligentemente abbassate per il range non più spaziale di un cantante ancora formidabile.
Preponderante la presenza in scaletta di brani dell'ultimo disco, scelta coerente per un tour promozionale di questo tipo; numerose le interruzioni, i bis, le pause, le backing track ma grazie a Dio anche le interazioni con il pubblico. Belle parole di gratitudine anche su un palco e una folla decisamente lontani da quelli di uno stadio, dove trova spazio anche un condivisibile invito a supportare sempre di più la musica dal vivo. Segue a questo interludio il cavallo di battaglia "Don't Say A Word": la presenza scenica della band è l'usuale, con Elias Viljanen robot dalle due funzioni: guardare la chitarra e sistemarsi i capelli; Toni Kakko sempre intimo con il pubblico e gli altri, bassista compreso, attivi e decisamente rockstar.
Così, all'ora in cui molti di noi cominciano a sedersi a tavola, i Sonata Arctica già chiedono della Vodka, fanno lanciare gli ultimi urli ad un pubblico comunque soddisfatto e probabilmente si precipitano a comprarla, la vodka, al supermercato di Ciampino, che se si sbrigano è ancora aperto.
SETLIST
Closer To An Animal
Life
The Wolves Die Young
In Black And White
Tallulah
Fairytale
Fullmoon
Among The Shooting Stars
Abandoned, Pleased, Brainwashed, Exploited
We Are What We Are
The Power Of One
Misplaced
I Have A Right
Don't Say A Word
Vodka (commiato)