Arriva dicembre ed è tempo di bilanci e resoconti. Durante un anno che ha visto finalmente il rifiorire della musica live, sono state anche tantissime le pubblicazioni degne di nota, molte delle quali proveniente da realtà appena nate e in attesa di sbocciare. Ecco quindi una raccolta – con relativa playlist – dei migliori album di esordio pubblicati in questo 2022, rigorosamente in ordine di uscita.

Yard Act – The Overload
(Island Records)

Da qualche anno a questa parte, fra Regno Unito e Irlanda, la scena post-punk sembra stare andando incontro a un interessante revival. Dopo una serie di gruppi di punta che ci hanno regalato degli ottimi album d’esordio e non (IDLES, Fontaines D.C., Black Midi, Black Country New Road), gli Yard Act sono indubbiamente la rivelazione dell’anno per questo genere: le undici tracce di “The Overload” sono una brillante combinazione di influenze indie rock anni 2000, hip-hop anni ’90 e testi politici di una prolissità (e, soprattutto, lucidità) dissacrante. A Elton John l’album è piaciuto così tanto che ha voluto collaborare con la band a una nuova versione della ending track: forse è proprio il caso di tenerli d’occhio.

Traccia consigliata: 100% Endurance (Elton John Version)

Bloodywood – Rakshak
(Autoproduzione)

Le sonorità della musica anglo-statunitense vi annoiano e vi sembrano tutte uguali? Rivolgete occhi e orecchie ad est, in direzione di Nuova Delhi e scoprirete una band che unisce la potenza del metal più moderno alle sonorità del folk indiano. “Rakshak”, il disco di esordio dei Bloodywood, mette subito le cose in chiaro: i ragazzi non sono qui per scherzare. Con riff affilati come rasoi e testi politicamente schierati, riescono a catturare l’ascoltatore, affascinandolo con un sound decisamente particolare e probabilmente mai sentito nel panorama metal. La voce di Jayant Bhadula riesce a padroneggiare tanto il growl quanto le melodie della musica popolare indiana (rigorosamente cantate in hindi), confezionando un esordio che sottovalutare sarebbe un crimine.

Traccia consigliata: Gaddaar

King Hannah – I’m Not Sorry, I Was Just Being Me
(City Slang)

Non sembrano venire da Liverpool il duo psych-rock conosciuto con il nome di King Hannah. E il sound fuligginoso, tensivo, sperimentale della città lo si respira tutto in questo primo LP d’esordio che strizza l’occhio ai Portishead e Red House Painters nel suo andamento ieratico, quasi a rievocare una psichedelia che suona moderatamente vintage (suggestivi i richiami alle distorsioni anni ’70 nelle chitarre di Craig Whittle). Quello che colpisce del primo LP della band è una raffinatezza nella scrittura e nella ricerca del suono: bastano pochi strumenti per creare le atmosfere noir che rendono l’ascolto ipnotico, immersivo nei suoi groove in grado di dilatatare il tempo. Come una moderna PJ Harvey, la voce di Hannah Merrick racconta storie d’infanzia fino all’età adulta, da un punto di vista vivifico nei suoi particolari con dosi uguali di decadenza e umorismo. E con il racconto, crescono all’unisono le dinamiche che spaziano da terreni più grunge al blues statunitense.

Traccia consigliata: Go-Kart Kid (Hell No!).

caroline – caroline
(Rough Trade Records)


Ci sono dischi che è possibile descrivere solo attraverso sensazioni, ed in questa categoria va ad adagiarsi l’omonimo debut dei giovani caroline. Ad inquadrare appieno l’essenza musicale che gli otto ragazzi di Londra – sempre più fervente fucina di talenti – costruiscono, sperimentando tra morbido slowcore e acide dissonanze, non sono sufficienti le esili lyrics che adornano l’ascolto: “caroline” è un’esperienza sonora articolata, a tratti levigata e avvolgente, subito dopo annegata in momenti nevrotici che diventano sempre più vividi ed ossessivi man mano che l’album cresce di minutaggio. Un’opera apparentemente ostica, ma che stimola sensazioni necessarie a descrivere pienamente l’anima che pulsa al suo interno, un nucleo indie stracontaminato da lampi folk, noise e ambient capaci di illuminare e mettere a nudo emozioni fino ad ora rimaste in penombra. Nonostante qualche tonalità acerba assolutamente perdonabile, il debut dei londinesi promette benissimo.

Traccia consigliata: Dark Blue

The Mysterines – Reeling
(Fiction Records)

A tutti gli amanti e nostalgici degli anni ’90, l’album d’esordio dei The Mysterines permette di fare un bellissimo tuffo nel passato. Con “Reeling” sembra difatti di tornare nel periodo d’oro del grunge, eppure Lia Metcalfe e compagni con Seattle non hanno nulla a che vedere (la band è difatti originaria di Liverpool). Il disco si apre con una dichiarazione, “Life’s A Bitch (But I Like It So Much)”, che ci lascia perfettamente intendere quello che ascolteremo durante le 13 tracce di “Reeling”: un linguaggio esplicito, testi dall’animo decadente, un’attitudine strafottente ed il rock fatto di chitarre di quattro ragazzi arrabbiati. Sonorità che strizzano un po’ l’occhio allo shoegaze si fondono perfettamente alla voce potente ed intensa di Metcalfe. Forse non sarà la cosa più originale che ascolterete, viste le evidenti influenze che si percepiscono qua e la nei brani, tuttavia i quattro dimostrano che quello che fanno lo fanno decisamente bene.

Traccia consigliata: All These Things

Wet Leg – Wet Leg
(Domino)

Il lavoro omonimo del duo inglese getta secchiate di vernice colorata sul nero dei sentimenti negativi, tracciando i solchi di un LP adornato da un songwriting quasi fumettistico, variopinto, efficace, sfacciato al punto giusto, una soluzione che trova giusta dimora in un’indie-rock che duetta con il pop, senza cedergli mai troppo la corda, facendo la spola tra i rimandi all’alternative rock di Beck e alle Goat Girl.  I temi ricorrenti si alternano, come in uno sproloquio senza capo né coda, che però le Wet Leg riescono a cucire con maestria per tutto il disco, dalla critica sociale ed umana alla malinconia amorosa derivante dalle relazioni finite, argomento trattato, comunque, con quella maturità capace di tramutare il dolore passato in spassoso cinismo. Pungente al punto giusto, spassosissimo e capace di scalare le classifiche in pochissimo tempo, il lavoro di Hester Chambers e Rhian Teasdale diventerà il vostro manuale liberatorio contro le noie della vita.

Traccia consigliata: Chaise Longue

Lalalar – Bi Cinnete Bakar
(Bongo Joe)

La dark wave incontra il rock, che incontra l’elettronica e il folk turco in questo interessantissimo disco d’esordio del gruppo ottomano Lalalar. Il titolo “Bi Cennete Bakar” significa letteralmente “Tutto ciò che serve è la frenesia”, un mantra che serve come incoraggiamento per sopravvivere al tragico stato del mondo. Non chiamatelo semplicemente anatolian rock, è molto di più. Con 15 canzoni e 70 minuti, l’album di debutto di Lalalar si dispiega come un’ampia distesa sonora, guidando gli ascoltatori attraverso un paesaggio caleidoscopico di groove funk cinetici, chitarre rauche e psichedelia assolata. Ricerca è la parola chiave, il gusto per la composizione è il fil rouge che unisce tutte le tracce ma a farla da padrona è la modernità degli arrangiamenti.

Traccia consigliata: Isyanlar

The Smile – A Light For Attracting Attention
(XL Recordings)

Il debut dei The Smile, nuovo progetto dell’allettante trio composto da Thom Yorke, Jonny Greenwood e Tom Skinner, dialoga con la libertà,  la sfida, la assorbe: è di libertà artistica che parliamo, perchè i Nostri fanno effettivamente quello che vogliono, cambiando tempo e umore rapidamente, innalzando un albero sonoro dalle fitte ramificazioni. Dall’irriverente punk rock alla celebrazione post-punk e new wave, dai frangenti math rock all’elettronica dosata col contagocce, venature stilistiche che ornano un lavoro variegato, a tratti esaltante, a tratti toccante, in un rimescolarsi costante e pungente di emozioni sempre differenti. “A Light For Attracting Attention”, nonostante le influenze, nonostante i numerosi anni di esperienza nel mondo del music business, ha odore di fresco, brilla di una luce particolare, quella dell’ingresso di una nuova stagione, che ammalia, che crea consapevolezza. Uno dei migliori esordi dell’anno, ma anche uno degli album più belli di questo 2022.

Traccia consigliata: Skrting On The Surface

Sedimentum – Suppuration Morphogénésiaque
(Me Saco Un Ojo Records)

Chiunque abbia una minima dimestichezza con le sonorità estreme, si accorgerà della natura abietta dell’album di debutto dei canadesi Sedimentum prima che la musica in esso contenuta inizi a maciullare i padiglioni auricolari. Il titolo “Suppuration Morphogénésiaque”, il grottesco artwork opera di Brad Moore, il monicker stesso della band che richiama – e non soltanto per la comune desinenza – i Mortiferum, non possono riferirsi ad altro che a un death metal vecchia, scuola umido e fetido, immerso in atmosfere così claustrofobiche e irrespirabili da causare rovina e desolazione geologica ovunque germogli. Un diluvio di sporcizia raccapricciante, tipico dei roster di Me Saco Un Ojo Records e Memento Mori, sotto cui pullulano melodie capaci di intrappolare, in maniera subdola e malefica, il corpo e le anime degli essere viventi. Chapeau.

Traccia consigliata: Excrétions Basaltiques

Leatherette – Fiesta
(Bronson Recordings)

L’Italia risponde al mondo di influenze provenienti dall’Oltremanica, in cui l’esplosione di un revival del post punk ha dato vita negli ultimi anni ad una serie di nuove band ormai ben affermate nella scena musicale. Sebbene affondino le radici in questo mondo, i Leatherette sono riusciti a confezionare un pacchetto di dieci tracce che prendono ispirazione da un vasto numero di generi, creando un album con una forte inventiva e maturità. La band bolognese accompagna l’ascoltatore in un’esperienza dalle tonalità più disparate, cullandolo tra suoni acidi, aggressivi e momenti più introspettivi, grazie anche al ruolo cruciale del sax tenore di Jacopo Finelli. La giusta quantità di sperimentazione e coraggio fanno ben sperare in questo quintetto emiliano che in questo ultimo periodo dell’anno è coinvolto in un piccolo tour presso alcune città italiane.

Traccia consigliata: Come Clean

Comments are closed.