In uscita venerdì 1 settembre per Silver Lining Music, “Memorial” rappresenta un ulteriore passo in avanti per i Soen. Il batterista e leader Martín López ci parla di come la guerra abbia plasmato questo disco più di ogni altro.
Ciao Martin, benvenuto su Spaziorock! Come stai?
Ciao! Sto bene, grazie. Spero che tu non stia registrando lo schermo perché come puoi vedere sono in camera di mia figlia, piena di unicorni e altre cazzate. (ride, ndr)
No assolutamente, la tua reputazione è al sicuro! Ad ogni modo, i Soen stanno per pubblicare il loro sesto disco, “Memorial”, ed è il primo dopo la pandemia. Il titolo è un rimando a quel periodo?
No, direi che non lo è, o almeno non nello specifico, siccome in realtà tutto è cambiato dopo la pandemia; la vita in Europa è cambiata un po’. Però direi che il titolo commemora più in generale il nostro pianeta, come se la nostra società potesse guardarci dal futuro e vedere che lo stiamo uccidendo.
Quindi c’è un messaggio ecologico dietro?
Non solo. L’umanesimo, la morte dell’empatia o la stupida empatia basata su cose non importanti.
È un disco molto più hard rock dei precedenti. Le canzoni sono più corte, meno complesse. Sembra che vi siate concentrati di più sulle emozioni da comunicare.
È vero, ma non direi che le canzoni sono meno complesse perché in realtà è stato difficile proprio scrivere canzoni più dirette ma che comunque suonassero come canzoni dei Soen. Abbiamo dovuto lavorarci molto. È stato più complicato fare canzoni più corte e dirette piuttosto che aggiungere delle parti qua e là.
È stato qualcosa di nuovo per voi.
Sì. Poi sai, sono successe un sacco di cose nel mondo mentre scrivevamo l’album. La guerra in Ucraina, la rivoluzione in Iran, dove hanno anche ucciso quella ragazzina che non portava il velo… Credo che tutte queste cose ci hanno fatto provare rabbia, rabbia che poi abbiamo incanalato nel disco. Abbiamo deciso di fare un disco diretto, sia nelle canzoni sia nei messaggi.
Potrebbe essere una specie di concept album sulla nostra società e i suoi problemi?
Sì. Noi parliamo sempre di questi temi, società, ingiustizie e così via. Più lo facciamo e più ci sembra di fare la cosa giusta.
Musicalmente parlando il disco sembra mostrare il vostro lato più “classico”. Avete avuto delle ispirazioni diverse stavolta?
In realtà non saprei. I due fattori che erano diversi stavolta è che siamo stati parecchio in tour, e quando sei in giro non riesci a scrivere come quando sei a casa. L’altro è stato “Imperial” (disco precedente del 2021, ndr), perché abbiamo voluto spingere il nostro sound all’estremo, mantenendo comunque il lato melodico/emotivo.
Quindi per voi “Memorial” è più pesante di “Imperial”?
Direi di sì. Anche Joel (Ekelöf, cantante, ndr) canta con più forza stavolta. Credo che le parti pesanti siano più pesanti e quelle più tranquille, più tranquille. Cerchiamo sempre di scrivere al meglio e ovviamente le cose evolvono di album in album. Quale hai preferito tu?
Sinceramente “Memorial”, ma credo si tratti semplicemente di gusti, sono entrambi ottimi dischi.
(sorride, ndr) Ti ringrazio, ma anche io preferisco questo. Mi piace “Imperial”, ma in confronto è un po’ troppo meccanico.
Mi è piaciuta molto anche la copertina. “Restare insieme nei tempi più duri”, è questo che mi comunica. È triste ma il cuore colorato indica che c’è sempre speranza. Che ne pensi?
Esattamente! (ride, ndr) Ho fatto un centinaio di interviste per il disco e tu sei il primo a capire, cazzo! Tutti mi hanno detto la loro idea ma sono andati fuori strada, idee troppo complicate. Invece è così semplice, ma così potente.
Sono onorato allora! Chi l’ha realizzata?
Non ne ho idea, l’abbiamo trovato e acquistato. Non ci rivolgiamo ad artisti specifici perché appena spieghi a qualcuno cosa fare, quando si tratta di arte… Credo sia sempre meglio lasciare libertà d’espressione, lasciare che scorra la loro magia perché poi è bellissimo trovare la magia che può rappresentare la tua musica, invece che tentare di ottenerla, capisci?
Certo, certo. Tuttavia, se ho ragione sulla copertina, allo stesso tempo la title track parla di guerra, perdita, mancanza di speranza. Come fa a coesistere tutto ciò nel disco?
Allora, ci sono 3 canzoni nel disco che sono interconnesse perché sono 3 diversi punti di vista della guerra. “Memorial” parla di chi va in guerra e torna con la sindrome da stress post-traumatico. “Icon” parla invece di chi manda i propri cari in guerra e delle conseguenze, sperare che tornino vivi, chiedersi il senso di tutto ciò. E infine “Incendiary” parla degli invasi. È la prima volta che abbiamo fatto una cosa del genere.
La guerra vi ha influenzato molto perché vi tocca personalmente?
Beh, io sono nato in Svezia da due rifugiati. Il nostro bassista Oleksii è ucraino, ha lasciato il Paese pochi giorni prima dell’invasione. E sai, quando arrivi a quest’età, hai dei figli e vedi bambini, famiglie venire bombardate… È così folle, insopportabile… Certe persone cercano di giustificare dicendo che la NATO ha sbagliato, altre dicono che Putin è un mostro, ma non si tratta di politica. Il punto è che qualcuno è pronto a bombardare innocenti e non mi interessano i motivi. Abbiamo bisogno di unione. Tutti hanno il diritto di difendersi, di combattere per la propria libertà, ma le cose che stanno accadendo ora, come la ragazza in Iran che dicevo prima… Io non posso tacere a riguardo, non è giusto. Poi non sopporto che appena parli di queste cose ricevi una sentenza, destra o sinistra, ma il punto è che nessuna delle due ha le risposte. Stupidità che aumenta sempre più, comunicazione orrenda. Nella band ci sono persone sia di destra che di sinistra ma siamo tutti amicissimi, perché se ci uniamo con un unico obiettivo, la pace, l’istruzione, la fine della fame nel mondo, non importa come ci arrivi, se da destra o da sinistra. Abbiamo provato tutto: comunismo, dittatori, repubbliche, democrazie e nulla ha funzionato. Nessuno ha le risposte in mano, ma dobbiamo comunicare e trovarle insieme.
Hai fatto un bellissimo discorso. Ma tornando alla musica (Martin ride, ndr), i vostri ultimi due dischi sono stati prodotti da Iñaki Marconi. Avete di nuovo lavorato con lui?
No, stavolta è stato Alexander Backlund. Abbiamo iniziato semplicemente a registrare la batteria con lui e mentre le canzoni prendevano forma ci è piaciuto molto lavorare insieme, era ciò che cercavamo per il disco, perciò abbiamo scelto di fare tutto con lui.
Inoltre, è la prima volta che fate due dischi con la stessa lineup. Com’è stato?
Nella scrittura direi che non è cambiato molto perché di solito scriviamo io e Joel, gli altri si aggiungono al processo un po’ dopo. Ad esempio Cody (Lee Ford, chitarrista, ndr) prende i miei riff e li suona meglio e poi scrive i suoi assoli, che sono una grossa parte del nostro sound. Oleksii è ancora “nuovo” nel gruppo ma ci capiamo, suona bene, è un bassista formidabile. E poi c’è Lars (Åhlund, tastierista, ndr) che scrive le sue parti e fa gli arrangiamenti. È stato bello fare questo disco perché ci conoscevamo già, soprattutto a livello professionale perché io ho degli standard molto alti. Devo sapere a che livello puoi arrivare perché poi ognuno dovrà lavorare al massimo delle proprie capacità. Lo dobbiamo ai fan che ci pagano, pagano i biglietti e i dischi.
Parlando delle canzoni in particolare, ho amato la prima e l’ultima.
“Vitals” è stata scritta principalmente da Lars, è diversa dalle altre, ma bellissima. Abbiamo scritto il testo insieme a Joel in studio ed è stato un viaggio emotivo. “Sincere” parla del bisogno d’attenzione che c’è oggi, di questo bisogno di piacere a persone che nemmeno conosci, attraverso i social. Mentire su te stesso pur di piacere, questo ti rende un essere umano fottutamente vuoto. Siamo buoni e cattivi, forti e deboli, amiamo e odiamo: dovremmo accettarci per quel che siamo. Mostrarci sempre perfetti, questo grido d’attenzione che chiede la fama, solo perché si hanno dei begli occhi o si indossano vestiti diversi, tutto ciò ci rende stupidi. Gli umani sono complessi, è questo il bello. È per questo che ognuno è diverso e speciale a modo suo. Ma sembra che ci disperiamo solo per soldi e fama.
Gli umani sono belli, secondo me, perché sono macchine imperfette.
Certo! A nessuno piace la perfezione, le persone non capiscono che la perfezione sono le Barbie di plastica, non è interessante. Ma abbiamo accettato il capitalismo non solo come ideologia, bensì come una religione. Siamo ciechi per vedere il valore delle persone intorno a noi. “Sincere” parla di questo.
La traccia più interessante di tutte però è sicuramente “Hollowed”, poiché avete collaborato con Elisa, una cantante italiana molto famosa che però non appartiene alla scena metal. Com’è successo?
Noi lavoriamo con un sacco di persone italiane e il nostro agente, Francesco Grieco, è il suo tour manager. Lavoravamo alla canzone da molto tempo e a un certo punto abbiamo deciso di trasformarla in un duetto, per ottenere la drammaticità che volevamo e soprattutto perché il testo è stato scritto per essere un duetto. Ne abbiamo parlato con l’etichetta, Grieco ci ha fatto sentire Elisa e… Wow. Le abbiamo mandato il pezzo, le è piaciuto e ha registrato la sua parte.
Pazzesco. Riguardo all’Italia, avete suonato a Milano a giugno e tornerete a settembre a Bologna. Vi piace il nostro Paese?
Italia, Spagna e Portogallo sono posti speciali dove andare in tour, vorremmo andarci sempre. Amiamo il calore delle persone, il cibo, anche il tempo di solito è migliore rispetto a qui.
Martin, ti ringrazio davvero per questa bellissima chiacchierata e per il tempo che hai speso per noi. Vorresti lasciare un saluto ai lettori di Spaziorock e ai tuoi fan italiani?
Grazie per averci supportato in questi anni, speriamo di vedervi presto.