Melancholia: forse una delle band più originali e uniche passate attraverso un talent, capaci di conquistarlo con l’emotività di una musica viscerale e personale. Un bisogno di esprimersi che ha conquistato anche un ambiente mainstream, da chi mainstream non è. La cantante Benedetta Alessi ci apre il mondo dei Melancholia in maniera non scontata e non banale, proprio come è nella sua personalità. Passato, presente e futuro si intrecciano in parole e racconti che lasciano il segno, proprio come la loro musica.

Ciao Benedetta, per prima cosa è un piacere averti qui con noi di SpazioRock! Come stai? Come vanno le cose in questo periodo?

Nell’ultimo periodo siamo stati un po’ fermi, perché in estate abbiamo avuto tante date, circa una ventina, ed è stata una grandissima soddisfazione poter cominciare questo tour e portarlo avanti. Era una fatica che in realtà non vedevamo l’ora di provare.

Benissimo. Credo sia stata una grandissima soddisfazione per voi poter tornare a suonare live visto tutto quello che è accaduto: il vostro vero ambiente è proprio il palco. Ti volevo chiedere quali sono state le emozioni provate durante questo tour. Tutti noi abbiamo aspettato tantissimo tempo di poter ritornare a vivere i live.

Sì, noi abbiamo appunto questo rapporto molto forte con i concerti. Viviamo sia la parte di farli, ovvero di stare sul palco, sia quella di vederli, ascoltarli e viverli. Anche perché abbiamo costruito la nostra amicizia anche andando ai concerti e quindi siamo davvero legati a questo mondo. Penso di poter dividere il tour in tre fasi. La prima fase, con la prima data è stata quella con le emozioni più grandi ed intense, perché comunque non facevamo un concerto da un anno e mezzo, l’ultimo l’avevamo fatto a fine febbraio 2020, per poi risuonare il 3 luglio 2021! Non avremmo mai pensato nella nostra vita di dover aspettare così tanto per salire nuovamente su un palco. All’inizio c’è stata un’emozione fortissima, che ha fatto da traino a tutto ciò che è venuto dopo. Poi ci siamo consolidati sul palco, perché ormai suoniamo insieme da sei anni ed abbiamo sempre fatto concerti, abbiamo sempre suonato ancora prima di fare uscire il materiale. Diciamo che ci siamo consolidati in maniera diversa, poiché siamo cresciuti sotto altri punti di vista, affrontando anche tantissime cose derivate dal programma X-Factor, che abbiamo vissuto. La terza fase è stata quella dell’avere tanti feedback, ed è una cosa che costruisci data per data, incontrando sempre persone diverse ad ogni concerto, tante storie diverse e tante energie diverse. E alla fine, tirando un po’ le somme ci siamo accorti che la gente che ci circonda crede molto nel nostro progetto più di noi. Sono queste direi le cose principali per il tour e per ogni data che abbiamo fatto.

Penso fosse una vostra speranza, ma vi aspettavate questo riscontro così intenso a livello di tour nei vostri confronti?

Assolutamente no. Anche perché credo che la fase negativa del periodo “post-talent” sia quella che non riesci a capire a livello effettivo quanto hai realmente sulle mani. Sembra tutto molto lontano e molto effimero. Quindi il tour schiaffato sulla faccia così è stata la cosa migliore che ci potesse capitare, perché ci ha concretizzato tutte quelle insicurezze che poi abbiamo scavallato durante il tour. Ci ha fatto crescere a livello umano e professionale sotto un altro punto di vista, perché è stato il primo tour che abbiamo fatto effettivo nella nostra carriera e ci è servito tantissimo.

Partiamo dal principio, come nascono i Melancholia?

Io ho incontrato inizialmente Fabio nonostante conoscessi Filippo da quando sono molto piccola perché siamo dello stesso quartiere e la cosa che subito ci ha legati è stata una difficoltà comune nell’espressione e nell’esprimersi. Siamo tre persone molto particolari che hanno vissuto un po’ in una bolla per parecchio tempo, per cui insieme abbiamo deciso di intraprendere un percorso musicale che rispecchiasse anche una crescita personale perché avevamo tanto desiderio di esprimerci ed esporci, ma ci mancava il coraggio di farlo e tramite la musica ci siamo riusciti. La musica ci ha dato questa opportunità, ci ha dato il coraggio per diventare chi siamo ora, e forse anche chi diventeremo. Alla fine per ora non siamo diventati ancora nulla, e chissà se in futuro semmai diventeremo qualcosa. Ti parlo non solo dal punto di vista artistico. Il diventare è sempre un processo che porta alla fine di qualcosa. Raggiungi un fine. Mentre è bello secondo me pensare a questo come un flusso, un flusso continuo che non inizia e non finisce perché sempre in crescita continuamente. Durante la nostra dura gavetta (ci siamo messi a suonare insieme quando io avevo 16-17 anni ed ora ne ho 23), abbiamo sempre suonato moltissimo. Abbiamo avuto l’appoggio di uno studio che ci ha sempre aiutati e supportati, ci ha permesso di crescere sotto tutti i punti di vista soprattutto a livello tecnico per comprendere come funzionasse la musica in generale. E poi abbiamo cominciato a calcare i palchi, dai più piccoli, dalle location peggiori location possibili, alle sagre di paese, a qualche locale che ci chiamava in Umbria. C’è stato un vero e proprio un passaparola per farci conoscere, come ai vecchi tempi. La gente sapeva di noi perché avevamo una certa attitudine a stare sul palco e quindi venivamo chiamati a per i live. Questo ci ha permesso di suonare un po’ dovunque in Umbria e poi di fare anche altri tipi di percorsi, ad esempio all’Alcatraz a Milano, all’Orion a Roma, all’Off Topic a Torino e siamo stati anche in Germania suonare ad un festival molto grande, il Taubertal Festival. Poi ci siamo interfacciati per la prima volta con la tv e con X-Factor, che abbiamo deciso di fare perché dal nostro punto di vista in quel momento era la cosa più intelligente da fare dato che con la pandemia era tutto bloccato. Ci siamo detti che era l’occasione giusta per concretizzare quel determinato momento. Ci hanno chiamato da X-Factor e abbiamo partecipato al programma, che poi è andato com’è andato e ci ha fatto aprire un sacco di altre possibilità come l’agenzia, il booking, il management che ci ha portati a fare il tour quest’estate e poi a tante altre cose che poi dovremmo vedere.

Una delle cose più evidenti, è che siete un gruppo molto particolare ed originale, e quindi forse lontano dal mondo dei talent, anche se lo stesso X-Factor negli ultimi anni ha notevolmente cambiato pelle con un percorso culturale e musicale magari leggermente più lontano dal mainstream, o perlomeno non solamente orientato su quello. La vostra partecipazione è stata una sorta di provocazione o comunque era per voi una via come le altre per emergere?

Diciamo che è stato un po’ l’incrocio di queste cose, perché noi siamo partiti anche molto timorosi su questa avventura. Ci dicevamo, “Ok, noi andiamo lì, ma quanto possono plasmare quello che facciamo? Quanto possono cambiarci?”. All’inizio eravamo molto titubanti nell’accettare la partecipazione. In realtà però quello che accade lì dentro è un po’ diverso. Forse noi siamo partiti un po’ troppo prevenuti, ma alla fine quando siamo arrivati all’interno del programma tutti hanno apprezzato il nostro modo di fare musica e non ci hanno voluto cambiare. Perché hanno capito che c’era tanta performance musicale quanto aspetto personale all’interno del nostro gruppo. Penso che nemmeno noi glielo avremmo permesso. Penso che l’unica cosa intoccabile nella mia vita è il modo in cui mi esprimo, e lo faccio tramite la musica. Non avrei potuto per permetterlo neanche a livello personale, perché sarebbe stato come sfregiare la mia persona. La partecipazione l’abbiamo fatta quindi sia per crescere a livello personale sia perché il periodo era un po’ buio, e anche perché avevamo bisogno di uscire dal piccolo contesto umbro. L’Umbria ci ha dato tanto, abbiamo mangiato quello che potevamo mangiare lì e non rinnegheremo mai la nostra patria, però è sempre difficile uscire dalle proprie mura. Ci serviva uno spintone, un calcione che ci mostrasse a più persone possibile per vedere poi quali di queste persone ci potranno seguire per sempre, quali solo per un determinato momento, e quali sono state sostenitrici e poi ci hanno abbandonato, senza ovviamente aver nulla contro queste persone.

Durante X-Factor ho notato una specie di contraddizione che ha portato comunque tanto giovamento alla vostra band. Voi siete stati voi stessi in un ambiente decisamente mainstream. E allo stesso modo la parte mainstream dei social media ha alimentato la vostra popolarità ed il vostro successo. Trovi qualcosa di paradossale in tutto questo?

Guarda, non sappiamo neanche noi come! È vero, e stiamo cercando anche di capire, come mai tanta gente si è immedesimata in un tipo di musica meno mainstream e non perfettamente fruibile con semplicità. Io credo che la cosa più facile da annettere a questo concetto sia il fatto che noi nella vita di tutti i giorni siamo esattamente come ci mostriamo sul palco. Quello che diciamo è esattamente quello che viviamo e probabilmente anche la persona che non ascolta normalmente il nostro genere riesce a percepire questa verità. Percepisce l’emotività, che secondo me deve stare alla base di qualsiasi tipo di arte. Il nostro modo di fare musica è per l’85% emotività e per un 15% tecnica, suono, bel canto, bell’esecuzione e tutto il resto. Però l’emotività fa veramente tanto ed è quella che ci lega alle persone che, anche se ascoltano mainstream, rimangono comunque colpiti da quello che facciamo.

Concordo in pieno. Anche perché sempre paradossalmente, la vostra eliminazione è stata assolutamente improvvisa ed inaspettata, proprio alla luce di quello che trapelava dai social, dal vostro seguito e dai pronostici, che vi vedevano se non vincitori, perlomeno pronti a giocarvi la finale. Forse però questo vi ha comunque dato ulteriore forza ed energia. Credo che a prescindere dalla vittoria, avete lasciato nel programma ed in quell’ambiente la vostra impronta, avete seminato qualcosa di importante per poi ricavarne i frutti una volta usciti.

Sì, è vero. Ci sono persone che vanno ad X-Factor e lo vedono come un obiettivo da raggiungere. Noi l’abbiamo proprio preso come una cosa da fare. Un passaggio. Un modo per aprirsi a più persone. Quindi abbiamo cercato proprio di seminare e di far vedere a chi seguiva la trasmissione quello che potremmo essere e che siamo sul palco. Abbiamo probabilmente instillato molta curiosità e penso che chi poi ha vissuto il tour quest’estate ha realmente capito cos’è il progetto Melancholia. Perché poi una delle cose che più spesso ci hanno detto le persone che sono venute a vederci, era il fatto che rimanessero stupiti dall’impatto live, che rimane un’esperienza totalmente differente dal vedere una band in tv o ascoltarla su Spotify. Diciamo che siamo stati anche fortunati nella casualità di tutti gli eventi, perché se nessuno ci avesse chiamato ad X-Factor, non saremmo mai riusciti a fare questo tour, quindi noi dobbiamo molto a quella opportunità. Poi magari siamo stati anche bravi a cavalcarla nonostante la nostra testardaggine, ma ci ha comunque dato tante soddisfazioni.

Sono stato sin da subito incuriosito, come tantissimi, dal tuo modo di esprimerti sul palco, molto in contrapposizione con la figura magari più timida che puoi avere fuori dai riflettori. Credo che questo abbia colpito molto tutte le persone che vi hanno supportato e i giudici: totalmente magnetica in ogni performance. Te l’hanno detto spesso i giudici, ma è davvero così e soprattutto in maniera naturalissima e non costruita. Chi è davvero Benedetta?

Io penso che la Benedetta vera sia un incrocio tra quella che abita tutti i giorni nel suo corpo e quella che poi è sul palco, perché probabilmente ho iniziato a cantare pensando di dover diventare qualcosa. Poi però ho capito che quello che potevo diventare poteva insegnare molto di più alla Benedetta che esiste nella vera realtà che il contrario. Quindi ho cominciato a vivere meglio con me stessa quando ho iniziato a suonare molto, quando ho cominciato a performare, quando ho cominciato a capire che era un modo per affrontare la difficoltà che avevo nell’esprimermi e che è stata sempre un cruccio nella mia vita. Il mio essere generalmente pacata era uno “zittirmi” automatico. Quindi la quantità di espressione e di emotività che c’è quando suoniamo è data da questo, dal fatto che è come se io avessi tenuto me stessa dentro una bolla per tantissimo tempo e poi piano piano sono riuscita a prendere dell’aria per quell’oretta in cui suonavo. Adesso piano piano sto cercano di far coincidere le due cose anche per essere più equilibrata con la mia persona. In realtà sono sempre io ovviamente, sono molto pacata nella vita perché sfogo tutto quello che ho sul palco e poi dormo due giorni! (ride ndr)

C’è qualche cantante che ammiri molto e da cui prendi ispirazione, sia a livello tecnico che magari anche a livello di performance?

La mia “attitude” sul palco è in realtà tutta una grande jam session, faccio quello che mi passa per la testa. In realtà però ho diverse muse, che prego prima di salire sul palco. La prima è Björk perché l’ho ascoltata tantissimo e mi ha dato veramente un sacco di spinta artistica, anche perché quello che lei riesce a fare va oltre la musica a volte. È proprio su un livello utopico superiore, c’è l’iperuranio e poi c’è Björk! (ride ndr) Però diciamo che negli ultimi anni ho scoperto artisti come Poppy o Grimes che mi hanno molto aperto la mente su altri generi e su altri modi di approcciare l’elettronica e non solo, e ancora oggi sono forse le artiste che più mi fanno vedere quanto si può aprire la musica. La stessa FKA fa robe pazzesche. Sono queste le muse che tengo sempre nel cuoricino e che so che quando ho qualche dubbio posso invocare insomma! (ride ndr)

Ti chiedo di parlarci del vostro nuovo singolo “Medicine”, una canzone strepitosa, che racchiude le vostre caratteristiche musicali, ma segna una sorta di evoluzione nel vostro sound. È una canzone che ha qualcosa di magnetico e a tratti disturbante, ma ha un tiro pazzesco. Credo che in questo pezzo abbiate trovato un fantastico equilibrio tra i vostri elementi caratteristici, e forse ancora più di “Leon” e “Alone” per me questo rappresenta il vostro vestito perfetto. Sarà questa in particolare la vostra strada per il futuro?

Sicuramente sì, questa è la direzione che stiamo prendendo anche perché i pezzi che erano già usciti e facevano parte dell’album precedente erano tutti brani che rappresentano la storia del nostro gruppo da 5-6 anni, quindi sono usciti con così tanto tempo di distanza rispetto a quando li abbiamo scritti che ovviamente è stato sempre molto difficile interiorizzarli. Li abbiamo scritti nel corso di una crescita, durante un percorso in cui sono successe veramente tante cose. Mentre ora siamo in una situazione in cui possiamo davvero concentrarci e porre tutte le nostre energie verso una direzione ben precisa. Una direzione in cui ci sarà tanta melodia, ma anche molti elementi disturbanti. Tante parti dure e tante altre morbide, perché questo bipolarismo è un qualcosa che ci ha sempre caratterizzati. C’è quella costrizione, ma c’è sempre anche quell’apertura melodica; il disturbo, ma annesso anche a qualcosa di più dolce. Per cui “Medicine” è solamente l’inizio di questo progetto che stiamo sviluppando e che non vediamo l’ora di divulgare. Però non possiamo ancora dire nulla sui particolari. Ma sono comunque molto d’accordo con tutto quello che hai detto.

Mi ha particolarmente colpito anche il video. Specie nell’immagine dove tu cammini in questo campo di girasoli appassiti. Credo sia un’immagine perfetta, iconica, quasi da copertina. Davvero incisiva e che racchiude tutto il vostro mondo in un flash.

Sì, quel campo in realtà non era all’interno delle location scelte per girare il video, ma era esattamente di fronte al campo che avevamo scelto noi. L’abbiamo trovato per caso e abbiamo pensato che fosse pazzesco, per cui abbiamo subito colto l’occasione. Come dici tu sono d’accordo che sia molto vicino a noi, alla nostra estetica ed ai nostri concetti.

Se dovessi citare un libro, un film ed un luogo che rappresentano al meglio i Melancholia ed il loro universo?

Molto bello! Allora parto dal luogo perché mi va, e forse il luogo più adatto sarebbe quel vulcano islandese con il nome impronunciabile (Eyjafjöll, ndr) perché sento quell’energia del vulcano assopito che quando vuole esplode e può fare molti danni. Per quanto riguarda un libro (anche se purtroppo non leggo da un po’, visto che dopo che fai l’università rimettersi a leggere libri  diventa difficilissimo) posso andare su “La metamorfosi” di Kafka, perché c’è appunto quel “disturbo” che hai citato tu prima e quel continuo chiedersi “Cosa c’è di sbagliato? Sono sbagliato io o è sbagliata la situazione? Cosa c’è che non va?”. Un altro libro che posso mettere è “Soffocare” di Chuck Palahniuk, uno scrittore che spesso cito anche nei testi. “Soffocare” credo sia l’opera più bella che abbia scritto. Sui film potrei citartene duemila, ma per l’alienazione che cerchiamo sempre di far emergere ti dico “Doogtooth” di Yorgos Lanthimos, che è un filmone da guardare e che può assolutamente sempre rappresentare il “disturbo”. C’è un’aria molto candida, bianca, situazioni molto pulite e fresche dove dentro si ritrova e si cela poi il marcio peggiore.

Se dovessi dire le due caratteristiche più importanti dei Melancholia dal mio punto di vista, citerei la capacità di trasmettere in modo diretto emozioni di diverso tipo e la credibilità in ogni contesto, dalla cameretta, allo studio di registrazione, al palco di X-Factor, al palco di un club e qui al telefono con me. Sei d’accordo?

Grazie mille per le tue parole! Penso molto semplicemente che tutto derivi dal fatto che per noi è tutto molto naturale, non c’è nulla di costruito. Diventa credibile perché è vero.

Credo che per il vostro sound siate una band internazionale. C’è stato modo o ci sarà la possibilità di allargare il vostro bacino di utenza oltre l’Italia, magari con live o promozione mirata?

Stiamo cercando gradualmente di arrivarci. Ora abbiamo optato per una strada magari un po’ più lunga, ma che ci può portare a lungo termine molte più soddisfazioni. Quindi stiamo cercando di crescere ed affermarci per ora qui nel nostro Paese e poi piano piano andare in giro a portare ed instillare sempre quella curiosità che avevamo creato già l’anno scorso con un determinato pubblico, per poi espanderci. È una crescita che avviene col tempo e credo possa portare molte più soddisfazioni. Non è un’esplosione, in cui senti la botta, e poi finisce. È il vulcano che erutta! (ride ndr) La nostra musica necessita di una certa attenzione, non è qualcosa di fruibile nell’immediato, non è istantanea, e quindi andiamo completamente in controtendenza a quello che richiede il mercato più effimero. Per questo, come dicevamo, siamo lontani dal mainstream. Ma noi siamo questo, siamo così.

Sarà banale, ma non è detto che chi vince X-Factor abbia poi vita facile e successo al di fuori del programma. Alla stessa maniera chi non vince può comunque ambire ad una carriera di successo. Quali sono secondo te i fattori principali che influenzano il dopo X-Factor? Non posso non pensare a quello che è successo ai Maneskin, al loro percorso ed ai successi che stanno ottenendo di recente.

È vero assolutamente quello che dici. Per prima cosa credo che la nostra più grande fortuna sia stata quella di aver continuato a collaborare con lo studio che ci ha accolto 6 anni fa e con il quale continueremo a collaborare per i nostri prossimi progetti. Ci fa tenere i piedi per terra e ci fa volare basso sotto ogni punto di vista. Anche poi trovare una crew, la nostra agenzia, il nostro management ci ha dato molte sicurezze e ci ha messo in condizioni di non dover niente a nessuno, di fare quello che più ci piace senza compromessi, rimanendo noi stessi con la nostra naturalezza. Questa è stata la nostra fortuna. I Maneskin si sono tolti e si stanno togliendo molte soddisfazioni. Ovviamente noi ci pensiamo e diciamo: “Magari!” Ma comunque anche loro hanno avuto un loro percorso. Non è che hanno vinto Sanremo e l’Eurovision nell’anno che sono stati conosciuti dal pubblico. Hanno avuto la loro gavetta anche dal punto di vista live, che rimane la base fondamentale per me per poter emergere. Noto tanti artisti che hanno avuto tantissimo successo su Spotify con moltissimi ascolti, ma che non sono ancora riusciti a suonare live a causa della situazione attuale, della mancanza reale di possibilità di fare concerti per le normative vigenti. Da un lato è davvero strano vedere la musica sotto questi due mondi così diversi, quasi opposti. Non che uno valga più dell’altro, sono comunque dei tipi di percorsi che uno decide di fare e penso che devi anche deciderlo in base al genere che fai, alla tua resa e a quello che tu vuoi esprimere.

Quali sono ora i vostri programmi per il futuro?

Penso che ci chiuderemo di nuovo in studio perché dobbiamo assolutamente continuare a disegnare la strada che ha già un po’ abbozzato “Medicine”. Non vediamo l’ora di uscire di nuovo con un altro progetto.

Grazie per essere stata con noi, è stato un piacere. Puoi mandare un saluto ai lettori di SpazioRock e a tutti i vostri fan?

Assolutamente sì! Mandiamo un abbraccio e un bacio virtuale a tutti quanti!

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