Dopo una vita dedicata alla matematica e diversi album scritti quasi per hobby e pubblicati su Bandcamp, Sean Keel, professore all’Università del Texas, ha avuto l’occasione di pubblicare “A Dry Scary Blue”, primo album per una label, la Icons Creating Evil Art. Da sempre appassionato alla musica folk e country, Keel ci ha parlato della genesi del lavoro e di questa opportunità, raccontando anche diverse curiosità sulle sue esperienze.

Ciao Sean, benvenuto su SpazioRock! Come stai?

Ciao! Bene, grazie!

Prima di iniziare a parlare del tuo nuovo album, vorrei chiederti una cosa. Sei un professore di matematica all’Università del Texas. Come ti sei approcciato alla musica, che evidentemente non è la tua occupazione principale?

Ho iniziato a suonare la chitarra intorno ai 45 anni – ora ne ho 60. Stavo cercando qualcosa che mi distraesse un po’ dal lavoro e mia moglie mi ha suggerito la chitarra, visto che avevo sempre detto che mi sarebbe piaciuto imparare a suonarla. Una decina di anni fa ho iniziato a scrivere le prime canzoni. Uno dei miei figli all’epoca prendeva lezioni di chitarra, quindi suonavamo insieme e abbiamo anche iniziato a scrivere qualcosa. Ovviamente all’inizio i pezzi erano orrendi [ride, ndr]. Ma piano piano abbiamo preso la mano, lui era più bravo sulla musica e io sui testi.

Parliamo invece del tuo nuovo album “A Dry Scary Blue”, uscito proprio in questi giorni. Non è il primo album che scrivi, ma è il primo pubblicato a una label. Com’è successo?

È stata fortuna, in breve. Volevo trovare un modo per far arrivare a qualcuno la mia musica, quindi ho trovato una piattaforma online attraverso la quale pagando 1 dollaro potevi far arrivare una tua canzone a diverse persone, tra cui anche blogger, YouTuber e cose simili. Quindi ho deciso di fare questa cosa e la canzone in una settimana ha avuto 3000 ascolti, che è molto di più di quanto avesse fatto tutto il resto della mia musica in 10 anni [ride, ndr]. In questo modo mi sono imbattuto nella Icons Creating Evil Art, che voleva promuovere qualcuno che fosse un totale outsider, uno che c’entrasse poco con il mondo della musica, quindi me l’hanno proposto. Questo è successo circa un anno fa, e ora il disco sta uscendo, stiamo facendo interviste, promozione e tutto quanto. Spero che riescano a recuperare i soldi investiti… Io sono un professore, non mi interessa fare soldi da questa cosa, ma spero che loro guadagnino qualcosa [ride, ndr].

Parlando invece della canzoni, si tratta quasi di poesie in musica. Quali sono le tue principali fonti di ispirazione?

I pezzi sono tutti autobiografici. Poi ovviamente sono scritti in un certo modo, ma i personaggi sono veri, le situazioni sono vere, sono tutte cose che mi sono successe nel corso della vita.

Vivi in Texas, che è la patria di molti grandi musicisti country e folk. C’è qualcuno da cui hai preso particolare ispirazione?

Sì, vivo qui dal 1989, ma sono nato e cresciuto nel Minnesota da genitori europei. La cosa che mi è piaciuta di più appena mi sono trasferito qui è stata proprio la musica, ascolto country e folk da tutta la vita e all’epoca neanche sapevo che Austin fosse la patria di molti grandi musicisti. Gente come Townes Van Zandt, Guy Clark e molti altri. Ancora prima di iniziare a suonare ascoltavo già quel tipo di musica. Pensa che un mio caro amico italiano, matematica anche lui, mi ha raccontato che lui e la moglie da giovani ascoltavano questi stessi artisti e hanno praticamente imparato l’inglese grazie alle loro canzoni. Era anche in una tribute band di Bob Dylan all’epoca.

Nell’ultima canzone “I Hate The West” c’è una cantante ospite. Di chi si tratta e come avete deciso di lavorare insieme?

Sì, si tratta di un’amica, è una grandissima cantante. Si chiama Nora Predey e suona in una band che si chiama Large Brush Collection. Ci siamo conosciuti in un bar, abbiamo fatto amicizia e avevamo già lavorato insieme in un disco dei Bill The Pony, che è la band che ho con amici e famiglia. Le avevo chiesto di suonare il basso in “I Hate The West” e ha proposto di cantarci su. All’inizio non credevo che fosse una bona idea, era una canzone un po’ strana, ma quando l’ho sentita ho cambiato idea. Tra l’altro quella è l’unica canzone su cui il produttore non ha fatto niente, è tutto opera di Nora. Ha anche suonato le percussioni.

Hai pensato magari di duettare con lei sul pezzo?

Non credo che fosse una buona idea per quel pezzo. Però ci capita spesso di cantare insieme quando suoniamo a casa o con gli amici.

Il produttore dell’album è Gabriel Rhodes. Com’è stato lavorare con lui?

Qui è un’artista molto famoso e apprezzato. È stato in tour con Willie Nelson e sua mamma è famosissima nell’ambito folk/country. Ha lavorato con persone molto famose e attraverso dei contatti sono riuscito a conoscerlo. I miei dischi precedenti erano molto “nudi”, la produzione era quasi inesistente, c’ero solo io che suonavo. Ho deciso quindi di lavorare con lui per provare qualcosa di diverso e siccome all’epoca c’era la pandemia non ci siamo neanche incontrati all’inizio, gli ho solo mandato le tracce registrate a casa. Gli ho detto di tenere la voce e per il resto di fare quello che volesse [ride, ndr]. Quindi insomma, le canzoni sono praticamente delle collaborazioni. All’inizio quando me le ha rimandate neanche mi piacevano, erano troppo piene e pretenziose per me [ride, ndr]. Ma poi ascoltandole dopo un mesetto hanno iniziato a piacermi e quindi siamo andati avanti a lavorarci. Mi piace lavorare con lui e abbiamo già altro materiale che potremo pubblicare più avanti. Tra l’altro è un musicista fantastico, suona un sacco di strumenti e di stili. Quando facevano qualcosa che mi sembrava troppo bello o elaborato dovevo chiedergli di suonare peggio, in modo che si adattasse alle canzoni [ride, ndr].

Invece dal punto di vista della scrittura ci sono state delle differenze tra questo disco e i tuoi precedenti?

No, l’approccio verso la scrittura è stato molto simile. Se ascolti il mio album “Long Ways Till Winter” noterai che lo stile dei testi è lo stesso, mentre invece con i Bill The Pony è leggermente diverso, ma anche perché suoniamo anche un genere un po’ diverso.

Credi che ora, dopo la pubblicazione dell’album, farai qualche data?

Sono stato invitato a suonare ad un festival svedese, ma devo ancora vedere. Il fatto è che un problema alle corde vocali, infatti nell’album il mio modo di cantare è abbastanza strano. Questo mi rende molto difficile cantare dal vivo più di 6-7 canzoni di fila. Ovviamente riesco a parlare senza problemi quanto voglio, ma cantare è una cosa diversa. Ci sto lavorando e sto facendo terapia per cercare di migliorare. In studio infatti, con le varie pause e tutto il resto non ho problemi. Per ora quindi tolto questo festival in Svezia a cui vorrei andare e una data qui in inverno non ho programmi. Al massimo qui se non ce la faccio chiederò ai miei amici di cantare [ride, ndr].

Se non sbaglio hai anche scritto un romanzo e diverse poesie…

Sì, ma non ho mai pubblicato nulla di scritto. Per quanto riguarda il romanzo forse dovrei chiedere alla label se conoscono qualcuno per farlo! Insomma, non è niente di incredibile, ma non è male, è una storia fantasy per giovani. Anche se comunque non mi considero certo uno scrittore, mi riesce meglio la musica. Anche perché la musica è condivisione, io sono un matematico e passo già troppo tempo a lavorare per i fatti miei [ride, ndr]. E soprattutto, scrivere una canzone è relativamente veloce, la scrittura di un romanzo occupa mesi o anni. La matematica invece è infinita [ride, ndr].

Parlando di questo, secondo te c’è qualcosa che in qualche modo lega il tuo lavoro come matematico e quello come musicista?

Sì, secondo me la matematica è una sorta di arte. Poi nello specifico si lega bene alla musica. Ci sono moltissimi matematici europei che sono anche musicisti, anche se di solito si tratta di musica classica. Non credo sia un caso. Il processo creativo in qualche modo è simile, la ricerca di qualcosa di bello. La differenza principale è appunto la tempistica, lavorare su un certo problema può prendere anni, ma se lavori da anni su una canzone, allora forse non è una grande canzone [ride, ndr].

Grazie mille per il tuo tempo Sean, questa era l’ultima domanda. Ti va di lasciare un messaggio ai nostri lettori?

Certo! Sono convinto che la maggior parte delle persone non apprezzeranno la mia musica, semplicemente perché non è quello che cercano. Ma anche se c’è una piccola percentuale di persone a cui può piacere, considerati quanti siamo, il numero può diventare grande. Quindi insomma, se vi piace Tom Waits e Townes van Zandt, allora probabilmente vi piacerà anche questo mio disco. Non è per tutti, ma se vi piace quel tipo di musica potresti trovarlo interessante.

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