Dopo gli impegni con i Porcupine Tree di Gavin Harrison e l’uscita dell’album solista di Bruce Soord, finalmente abbiamo potuto riaccogliere i Pineapple Thief, che hanno da poco pubblicato il nuovo album “It Leads To This”. Proprio della creazione di questo lavoro e del suo significato, a partire dai grossi problemi in cui volge oggi il mondo, abbiamo parlato con il frontman, che si è detto prontissimo anche per il 7 marzo, quando la band inglese tornerà in Italia, all’Alcatraz di Milano. Sperando anche di bissare nel prossimi mesi…

Ciao Bruce, benvenuto su SpazioRock! Finalmente avete pubblicato il vostro ultimo album “It Leads To This”, ma lo scorso anno è stato davvero impegnativo per voi. Voglio dire, Gavin era con i Porcupine Tree, tu hai pubblicato un disco solista…

Sì, è stata una cosa davvero old school, ho pure fatto un tour per quel disco alla veccia maniera, noi, un furgone e si guidava. È stato pazzesco. Comunque sì, è stato un anno impegnativo, ricordo che la prima settimana di gennaio 2023 sono andato da Gavin e abbiamo finito di scrivere. Poi abbiamo passato il resto dell’anno a mixare e quando i Porcupine Tree erano impegnati per le date estive abbiamo lasciato andare Gavin e io ho finito il mio disco solista. Quindi sì, è un anno stato senza sosta.

Parlando del disco, penso che sia un naturale seguito del precedente e che si adatti davvero bene alla vostra discografia. Quello che mi piace davvero è l’equilibrio tra le canzoni più melodiche come “Put It Right” e le tracce che hanno i tratti più prog come “Rubicon” o “Now It’s Yours”. Quindi come avete lavorato per raggiungere questo equilibrio?

Sì, diverse persone hanno notato questo tipo di equilibrio e penso che sia qualcosa che ho sempre amato. Ho sempre amato la musica, fin da quando ero ragazzino. Quando sono cresciuto ascoltavo progressive rock, ma mi piacevano molto i gruppi melodici che facevano entrambe le cose. C’è un album, dei primi anni ’70, chiamato “Crime of the Century” dei Supertramp, che è stato fondamentale per la mia crescita. Aveva una buona componente pop, melodie accattivanti, ma aveva anche profondità. Questo è qualcosa che ho sempre voluto fare, ho sempre voluto provare a replicarlo. Quindi è una cosa cosciente, ma non è che mi siedo e penso: “Allora, per questo album farò questo e quest’altro”, è proprio una sorta di sviluppo naturale del modo di scrivere le canzoni.

Te lo chiedevo perché penso che queste parti melodiche siano più evidenti in questo disco che nel precedente o anche rispetto ad album più vecchi come “Magnolia” o “Dissolution”.

Sì, c’erano alcune parti melodiche, ma non è come ora. È bello sapere che si noti, perché è quello che voglio. Voglio quelle melodie e penso che poi quando suoni dal vivo sia davvero divertente fare quelle sezioni più pesanti e particolari, ma ci vuole equilibrio. Una cosa che ho notato è quanto il pubblico riesca a entrare in contatto con la musica e con l’artista su queste parti più melodiche, anche cantando. Si vede che sentono i pezzi esattamente come li sento io. E questo è stato un altro sviluppo per me come cantante, sto trattando molto di più la voce come strumento principale.

Parlando di questo, sono rimasto davvero sorpreso quando ho ascoltato per la prima volta la prima canzone, “Put It Right”, perché come dicevamo, ci sono anche altre canzoni melodiche, ma penso davvero che questa abbia qualcosa di diverso. È un bell’esperimento perché è melodica ma in qualche modo è anche dark. Cosa puoi dirmi di questa canzone?

L’etichetta discografica ha detto la stessa cosa quando l’ha ascoltata, credevano che dovesse essere la prima dell’album proprio perché suona così nuova e fresca. Se l’avessimo scritta 10 o 15 anni fa avremmo avuto un’intro sempre minimalista, con voce, piano e basso, ma poi avremmo avuto una sezione centrale più massiccia o comunque il pezzo sarebbe esploso fino alla fine. Quello che abbiamo imparato è che in realtà non è necessario farlo. Si può rimanere in questo mood più oscuro, sottile e passare a una sorta di sezione centrale, ma senza fare il tipo di cose che forse avrei fatto prima. Quindi ho pensato di fare una sorta di anti-ritornello, dove il pezzo invece di esplodere, finisce quasi nel nulla. Un momento del genere dal vivo è bellissimo, perché realizzi che il pubblico è sorpreso e nel silenzio riusciresti a sentire anche uno spillo che cade. La sezione centrale è tutta incentrata sul basso e ricordo di essere partito da lì. Tra l’altro è stata la prima canzone che abbiamo scritto per l’album ed era nel bel mezzo della pandemia, quando eravamo tutti chiusi in casa. Ricordo di essere venuto nel mio studio, che sono fortunato ad avere nel mio giardino, e ricordo di aver guardato il cielo. Era particolarmente azzurro e limpido. Non c’era nessun rumore di sottofondo in città, perché tutti erano a casa. È stato un momento davvero strano e questo mi ha ispirato a scrivere la canzone. Sì, mi piace molto perchè non c’è alcuna esplosione e niente del genere, ma è comunque una canzone davvero dinamica, ha momenti diversi.

PineappleThief2024

E parlando invece di “Frost” e “Every Trace of Us”, come mai avete deciso di pubblicarle prima del resto dell’album?

È una bella domanda. Di solito faccio ascoltare le canzoni di un album a mia moglie, che è molto critica e mi dice quali le piacciono e quali no. Ma di questo album le piacevano tutte e non sapeva neanche lei quale scegliere. E quindi abbiamo pensato di scegliere due canzoni e basta, senza motivi particolari. Il problema del music business moderno sia che spesso le band regalano quasi l’intero disco prima che venga pubblicato. Inizialmente l’etichetta discografica voleva fare quattro singoli, ma sarebbe stato mezzo album. E così mi sono chiesto, cosa è successo a questa eccitazione del giorno dell’uscita, quando tutti possono ascoltare il disco? Quindi per questo motivo abbiamo scelto solo quelle due canzoni. “The Frost” perché ha un grande impatto. I tempi sono cambiati, i singoli non sono più fisici e l’attenzione che viene prestata alla musica non è più la stessa, quindi volevamo scegliere una canzone che colpisse immediatamente. “Frost” sembrava perfetta, con quel riff. “Every Trace Of Us” invece credo che riassuma bene il disco perché ha strofe e ritornelli melodici e una sezione centrale piuttosto intensa. Questa è un’altra delle canzoni che ho scritto durante le sessioni a casa di Gavin. Ho sentito che quelle due canzoni avrebbero dato un buon assaggio di quello che sarebbe successo poi con tutto l’album.

Sì, sono d’accordo su questo. E mi piacerebbe parlare delle copertine degli album e dei singoli: in “Every Trace of Us” possiamo vedere un anziano, mentre in “Frost” una ragazza. Qual è il loro significato? Le copertine sono legate in qualche modo ai temi espressi nelle canzoni.

Sì. Quando stavo parlando con l’etichetta mentre stavamo mettendo insieme l’artwork, stavo pensando a “Your Wilderness” che per noi è stato disco rivoluzionario in termini di raggiungimento di un pubblico molto più vasto. È stato pazzesco perché all’epoca pensavo che fosse finita per la band e volevamo chiudere con “Your Wilderness”. Grazie a Dio quell’album è andato molto bene e la band è restata unita. Ma ho guardato la copertina e ho pensato “sarebbe davvero carino se potessimo avere una specie di seguito di quella copertina”. Ci sono una mamma e la figlia che guardano la natura selvaggia e mi piaceva l’idea di avere lo stesso tipo di atmosfera americana. E sì, le immagini delle persone che invecchiano riassumono gran parte dell’argomento del disco, che è in un certo senso è il rivalutare la propria vita, pensando agli errori che hai commesso, alle cose giuste, alle cose non giuste, alle cose che avresti fatto diversamente. A questo proposito parlando anche di rendersi conto a dove siamo arrivato come umanità, rendersi conto di essere parte del problema perché forse decenni fa non capivamo cosa fosse il surriscaldamento globale e cosa sarebbe successo di lì a pochi anni. Nelle canzoni ci sono questi aspetti, i pensieri rispetto al futuro che avranno i nostri figli e il cercare di capire se possiamo fare qualcosa per mettere a posto le cose. E credo che possiamo farlo. Ma ovviamente non è un disco completamente oscuro. La copertina è piuttosto distopica, il titolo dice “It leads to this”, quindi è una sorta di condanna. Ma non dobbiamo per forza arrivare a questo, c’è ancora molta speranza e molte brave persone nel mondo.

Dopo l’uscita del disco andrai in tour in Europa e suonerete anche in Italia, a Milano. Cosa possiamo aspettarci da voi questa volta?

Sì, è un peccato che possiamo fare solo Milano, perché ricordo che Roma, ad esempio, era un posto fantastico in cui suonare. Se il tour andrà bene, torneremo a suonare in qualche altra città in Italia. Comunque la cosa centrale dello spettacolo sarà guardare e suonare la band che suona. Non dico che sia sbagliato, ma personalmente non mi fa impazzire quando vedo una band con scenografie enormi e un sacco di immagini e video che scorrono. Personalmente penso che non ho pagato per venire a vedere qualche video su un grande schermo, sono venuto a vedere una band e ad ascoltare la musica. Voglio vedere la band che si emoziona, voglio vedere l’emozione sui loro volti mentre suonano. Poi il pubblico italiano è fantastico. Abbiamo fatto le prima date da headliner piuttosto tardi lì, dopo “Dissolution” e non sapevamo cosa aspettarci, se ci sarebbe stata gente e così via. Invece abbiamo suonato alcune date e a Roma e Milanoè andato tutto esaurito. L’atmosfera è davvero fantastica, c’è qualcosa nel pubblico italiano che è semplicemente unico.

Parlando dei live, vi ho visto diverse volte e ogni volta sono sorpreso dalle vostre performance, che sono perfette. Qual è la cosa più importante nella preparazione per il live perfetto?

Per me credo che sia la capacità di diventare davvero tutt’uno con il pezzo che stai suonando sul palco. E non è una cosa per niente scontata, ci vuole un po’ di tempo per adattarsi ed entrare in questo mood. Quando fai le prove noti sempre qualcosa che non va, ma è come andare in palestra dopo un lungo periodo che non ci vai, è una questione di tempo e di suonare, appunto. Dopo due o tre show riesci a raggiungere molto più facilmente questo posto etereo dove sei tutt’uno con la musica e con il pubblico. Per me la cosa più importante è arrivare a questo punto ed è un qualcosa che è chiaro a tutti quando succede, lo senti e lo percepisci anche da come si comporta il pubblico.

ItLeadsToThis

Come abbiamo detto prima hai pubblicato il tuo ultimo album solista a settembre. Quanto è difficile trovare il corretto equilibrio tra la musica che scrivi per la band e quella che scrivi per il tuo progetta solista?

Penso che sia diventato più facile, perché la band è diventata più democratica, direi. Ora è un processo completamento. Magari scrivo la maggior parte delle melodie, i testi, non completo mai una canzone da solo. Metto i pezzi iniziali e a quel punto, la mando a Gavin, o vado direttamente a casa sua, e la componiamo insieme. Tutto questo deriva dall’unità, perché siamo una band. Le canzoni su questo album sono pezzi che non avrei mai potuto fare da solo. Quando scrivo solo, è un processo molto diverso, la mia mente è in un luogo completamente diverso. Questo ultimo album è molto acustico, molto introspettivo, aveva parti con gli archi. Quindi quello che faccio ora per gli album solisti assomiglia a quello che facevo quando scrivevo i primissimi album dei Pineapple Thief.

Lo scorso ottobre hai anche fatto alcuni concerti da solista…

Sì e il mio lavoro solista è molto più piccolo in termini di seguito, quindi il tour a questo livello è stato davvero difficile, ma anche interessante. Dalla Brexit in poi viaggiare in Europa da qui è molto più costoso, quindi abbiamo fatto davvero il minimo indispensabile. Non avevamo nessuna crew, quindi dovevamo anche fare tutto il lavoro che fa solito la crew quando sei in tour (anche con i Pineapple Thief) e tutto questo mi ha fatto capire quanto siamo fortunati e privilegiati ad avere questa possibilità. Insomma, portavo la mia attrezzatura, la sistemavo, poi i posti erano molto piccoli, quindi nel frattempo chiacchieravo anche con i fan. Poi una volta finito lo show, bisognava risistemare tutto in fretta e furia e andare in hotel, perché il giorno dopo dovevamo svegliarci alle 7 e ripartire, guidando fino alla tappa successiva. Quindi è stato davvero difficile, ma comunque divertente, e mi ha fatto capire quanto sono fortunato a suonare con una band che possono fare tour più in grande. Lo show era più intimo, era come stare in una sala a casa di qualcuno, si riusciva a parlare con il pubblico e così via.

Quest’anno è il 25° anniversario di fondazione della band. Essere ancora qui dopo tutti questi anni è un grande risultato, pensate di celebrare in qualche modo?

Me ne sono reso conto qualche giorno fa ed è incredibile. Come è anche incredibile il fatto che ora siamo nella fase della nostra carriera in cui stiamo avendo più successo. Siamo stati fortunati perché ci sono stati alcuni momenti in cui abbiamo praticamente riniziato da capo e il più importante credo che sia stato l’ingresso di Gavin, da “Your Wilderness”. Il segreto è il fatto che è stato come avere una nuova band e ancora adesso sto pian piano conoscendo Gavin sempre meglio. Siamo una band molto unita e abbiamo molta motivazione.

Poi non è scontato che andasse tutto così bene, perché comunque stiamo parlando di un musicista molto famoso nella scena e magari non è sempre semplice trovare tutti gli incastri giusti quando qualcuno di nuovo entra in una band.

Soprattutto in Italia, è molto famoso. Ha anche suonato con artisti italiani molto famosi come Claudio Baglioni. Credo che sappia anche un po’ di italiano. Comunque hai ragione, infatti all’inizio non è entrato subito direttamente nella band, suonava semplicemente la batteria per noi e io a pensarci ero veramente incredulo. Pensavo “ma quello è Gavin Harrison, come è possibile suoni con noi?” [ride, ndr]. Infatti mi ci è anche voluto un attimo per riuscire a trattarlo come una persona normale [ride, ndr].

Grazie mille per questa intervista Bruce e congratulazione per “It Leads To This”! Un’ultima cosa, vorresti lasciare un messaggio ai vostri fan italiani?

Spero che vi piaccia l’album e non vedo l’ora di venire a Milano. Spero anche che torneremo più avanti per suonare in altre città, solo Milano è troppo poco per l’Italia.

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